Sesto ciclo
Anno liturgico C (2018-2019)
Tempo di Pasqua
VI Domenica di Pasqua
(26 maggio 2019)
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At 15, 1-2. 22-29; Sal 66; Ap 21, 10-14. 22-23; Gv 14, 23-29
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La liturgia di oggi delinea già lo scenario di Pentecoste. Gesù annuncia l’invio dello Spirito Santo che si farà nei cuori intelligenza del suo mistero e movimento di rivelazione dell’amore del Padre per il mondo. Il brano evangelico di oggi è la risposta alla domanda di Giuda: “Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi, e non al mondo?”. E la domanda segue la dichiarazione di Gesù: “Chi accoglie [letteralmente: chi ha] i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui” (Gv 14,21). Ciò che aveva colpito l’apostolo Giuda era l’accenno alla manifestazione. Pensava che la manifestazione del regno si dovesse imporre al mondo nel senso che la potenza di Dio avrebbe stabilito il suo regno con forza, vincendo tutti i nemici che fino a quel momento l’avevano avversato. Capisce però che Gesù dice altra cosa e per questo fa la domanda, che è la domanda messianica per eccellenza: come si rivelerà il regno di Dio? Come lo vedremo?
Se il regno di Dio è il regno dell’amore del Padre per noi, allora la manifestazione è dovuta all’amore e non all’evidenza. Sarà l’amore che saprà leggere la storia e non la storia a rivelare l’amore. La storia resta con i suoi drammi e le sue ferite, con le sue tragedie, personali e comunitarie, eppure con Gesù qualcosa di radicalmente nuovo è intervenuto. È caratteristico che Gesù parli della sua pace, della pace che dà lui, diversamente dal mondo, dopo aver promesso l’invio dello Spirito Santo. La pace è il segnale dell’amore goduto, e l’amore è il dinamismo suscitato nei cuori dallo Spirito Santo che Gesù effonde dalla croce e conferma con la risurrezione. Solo in quell’amore l’uomo ha la possibilità di ‘vedere’ il regno di Dio, di vederlo compiersi, di toccarlo e viverne lo splendore. Tanto che la pace che Gesù dà non significa: faccio pace con te o faccio sì che tu sia in pace con me, ma: ti assicuro la pace sempre, nelle tribolazioni e nelle prove, patite per il mio nome. È il dono tipicamente pasquale, il dono messianico per eccellenza, quello che ci permette di gustare la compagnia di Dio, la presenza del Vivente in noi, realizzando nel mondo il senso del nome Emmanuele: Dio con noi! Lo si vedrà bene nel racconto degli Atti degli apostoli, dove lo Spirito è sempre abbinato alla gioia nel contesto delle tribolazioni della vita.
La condizione di possibilità perché ciò avvenga è svelata alla fine del brano, che nella versione CEI suona: “Non parlerò più a lungo con voi, perché viene il principe del mondo; contro di me non può nulla, ma bisogna che il mondo sappia che io amo il Padre, e come il Padre mi ha comandato, così io agisco” (Gv 14,30-31). L’espressione ‘contro di me non può nulla’, tradotta più letteralmente sarebbe: ‘in me non ha nulla’. Siccome in Gesù c’è solo l’amore del Padre, il demonio non ha alcun diritto su di lui nel senso che può rovesciargli addosso tutto il male che vuole [la passione di Gesù, con tutta la violenza e l’ingiustizia che comporta, è vista come l’azione del demonio che tenta di prevalere], ma senza poterlo deviare dal suo scopo, senza potergli sottrarre quell’amore; al contrario, suo malgrado, farà risplendere davanti a tutti quell’amore affascinando i cuori. Questa espressione è costruita allo stesso modo dell’altra che la richiama: ‘chi ha i miei comandamenti’ (v. 21), che la versione CEI traduce: ‘chi accoglie i miei comandamenti’. Quando un cuore è conquistato all’amore di Gesù, non facendo valere altro che i suoi ‘comandamenti’, le sue parole, la verità vissuta delle sue parole, perché in essi ha scoperto le radici del vivere beato, ne conoscerà la potenza di vita e il demonio nulla potrà contro quell’amore, non potrà cioè mortificarlo.
Quando al battesimo e alla trasfigurazione la voce dal cielo aveva proclamato su Gesù: “Questi è il Figlio mio, l’amato”, il significato non è semplicemente da riferire a Gesù ma anche a tutti noi in lui. Vale a dire: tutti noi, credendo a quel Figlio, l’Inviato del Padre e accogliendo la sua parola accordandole il credito di verità per la vita, entreremo nella benedizione di quell’amore di predilezione, nel quale il Padre vuole inglobare tutti. La rivelazione di Dio è sempre per noi perché non c’è rivelazione che non parli dell’amore di Dio per l’uomo. E se nel Padre nostro chiediamo: ‘sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra’, non chiediamo prima di tutto di poter stare fedeli alla sua volontà, ma più direttamente di poter sperimentare la sua volontà di amore per noi nella nostra vita, tanto da godere della comunione con lui al di sopra di tutto. Questo ci otterrà l’azione dello Spirito Santo, che ci farà fare memoria viva del Signore Gesù in questo mondo. Cosa che potrei commentare così: se cerco l’amore avrò la felicità, ma se perseguo la felicità finirò per perdere l’amore.
La letizia pasquale, che è per la comunione, si radica appunto nell’azione dello Spirito Santo nei nostri cuori per renderci, con Gesù, testimoni dell’amore del Padre per tutti. Lo proclama il salmo responsoriale: “Ti lodino i popoli, o Dio, ti lodino i popoli tutti. Ci benedica Dio e lo temano tutti i confini della terra” (Sal 66/67,6.8). L’ansia di comunione non si placa finché tutti i confini della terra avranno veduto la salvezza del nostro Dio: così è la chiesa, che vive della dinamica pasquale. Ma così è anche il nostro cuore, che attende di essere conquistato in tutte le pieghe dall’amore.
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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):
[I testi delle letture sono protetti dal © Libreria Editrice Vaticana e ne è vietata la riproduzione, anche parziale e con qualsiasi mezzo]
Prima Lettura At 15, 1-2. 22-29
Dagli Atti degli Apostoli
In quei giorni, alcuni, venuti dalla Giudea, insegnavano ai fratelli: «Se non vi fate circoncidere secondo l’usanza di Mosè, non potete essere salvati».
Poiché Paolo e Bàrnaba dissentivano e discutevano animatamente contro costoro, fu stabilito che Paolo e Bàrnaba e alcuni altri di loro salissero a Gerusalemme dagli apostoli e dagli anziani per tale questione.
Agli apostoli e agli anziani, con tutta la Chiesa, parve bene allora di scegliere alcuni di loro e di inviarli ad Antiòchia insieme a Paolo e Bàrnaba: Giuda, chiamato Barsabba, e Sila, uomini di grande autorità tra i fratelli. E inviarono tramite loro questo scritto: «Gli apostoli e gli anziani, vostri fratelli, ai fratelli di Antiòchia, di Siria e di Cilìcia, che provengono dai pagani, salute! Abbiamo saputo che alcuni di noi, ai quali non avevamo dato nessun incarico, sono venuti a turbarvi con discorsi che hanno sconvolto i vostri animi. Ci è parso bene perciò, tutti d’accordo, di scegliere alcune persone e inviarle a voi insieme ai nostri carissimi Bàrnaba e Paolo, uomini che hanno rischiato la loro vita per il nome del nostro Signore Gesù Cristo. Abbiamo dunque mandato Giuda e Sila, che vi riferiranno anch’essi, a voce, queste stesse cose. È parso bene, infatti, allo Spirito Santo e a noi, di non imporvi altro obbligo al di fuori di queste cose necessarie: astenersi dalle carni offerte agl’idoli, dal sangue, dagli animali soffocati e dalle unioni illegittime. Farete cosa buona a stare lontani da queste cose. State bene!».
Salmo Responsoriale Dal Salmo 66
Ti lodino i popoli, o Dio, ti lodino i popoli tutti.
Dio abbia pietà di noi e ci benedica,
su di noi faccia splendere il suo volto;
perché si conosca sulla terra la tua via,
la tua salvezza fra tutte le genti.
Gioiscano le nazioni e si rallegrino,
perché tu giudichi i popoli con rettitudine,
governi le nazioni sulla terra.
Ti lodino i popoli, o Dio,
ti lodino i popoli tutti.
Ci benedica Dio e lo temano
tutti i confini della terra.
Seconda Lettura Ap 21, 10-14. 22-23
Dal libro dell’Apocalisse di san Giovanni apostolo
L’angelo mi trasportò in spirito su di un monte grande e alto, e mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scende dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio. Il suo splendore è simile a quello di una gemma preziosissima, come pietra di diaspro cristallino.
È cinta da grandi e alte mura con dodici porte: sopra queste porte stanno dodici angeli e nomi scritti, i nomi delle dodici tribù dei figli d’Israele. A oriente tre porte, a settentrione tre porte, a mezzogiorno tre porte e a occidente tre porte.
Le mura della città poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell’Agnello.
In essa non vidi alcun tempio:
il Signore Dio, l’Onnipotente, e l’Agnello
sono il suo tempio.
La città non ha bisogno della luce del sole,
né della luce della luna:
la gloria di Dio la illumina
e la sua lampada è l’Agnello.
Vangelo Gv 14, 23-29
Dal vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse [ ai suoi discepoli ]:
«Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.
Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.
Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore.
Avete udito che vi ho detto: “Vado e tornerò da voi”. Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate».