Sesto ciclo
Anno liturgico B (2017-2018)
Tempo Ordinario
XIV Domenica
(8 luglio 2018)
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Ez 2,2-5; Sal 122; 2 Cor 12,7-10; Mc 6,1-6
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La liturgia di oggi spiega il legame d’amore di Dio con il suo popolo attraverso la figura dell’inviato, del profeta che è inviato al popolo perché torni all’alleanza con il suo Dio. Gesù si sposta da Cafarnao a Nazaret, cittadina dove era stato allevato e dove tutti conoscevano lui e la sua famiglia. La sua venuta però non suscita grandi entusiasmi e si conclude con una grande delusione: la sua gente non gli fa fiducia, prende le distanze. A dire il vero non si comprende bene come si passi da uno stupore iniziale a una specie di rivolta nei suoi confronti. I passi paralleli di Matteo e Luca ci possono aiutare a comprendere meglio.
Matteo colloca l’episodio di Nazaret a conclusione delle parabole del regno dove il senso generale si risolveva in questo: per il regno di Dio i legami di sangue contano poco (i suoi familiari non lo capiscono) mentre valgono i legami di fede (coloro che ascoltano la parola di Dio sono i nuovi familiari di Gesù). I suoi concittadini restano diffidenti, preludio al rifiuto finale dei capi e dell’autorità religiosa con la condanna alla crocifissione. Il Testimone comunque dell’amore di Dio per il suo popolo resta lui, anche se non accolto.
Luca invece colloca l’episodio all’inizio della predicazione di Gesù, subito dopo il racconto delle tentazioni nel deserto. La scena è solenne, Gesù entra in sinagoga e legge la Parola, probabilmente il brano della liturgia di quel sabato e lo commenta. Si tratta del passo di Isaia 61,1-2, che riporta il testo di consacrazione di un profeta: “Lo Spirito del Signore è sopra di me …”. Gesù si applica quel passo confermando che in lui si compie quello che il profeta Isaia aveva annunciato. Di fronte allo stupore e alla perplessità degli ascoltatori, rammenta gli episodi biblici della vedova di Zarepta al tempo del profeta Elia e della guarigione di Naaman il siro al tempo del profeta Eliseo. In pratica Gesù richiama l’adesione alla fede di Israele da parte di due pagani. Sembra che i suoi concittadini non abbiano accolto di buon grado il ricordo della preferenza dei pagani da parte di Dio e così contrastano la predicazione di Gesù, come gelosi dei doni di Dio.
Anche la prima lettura del libro di Ezechiele, che riporta la grande visione della Gloria di Dio in terra straniera tra i deportati a Babilonia, sottolinea che comunque Dio invia i suoi profeti, sebbene non siano ascoltati. Non viene mai meno la premura di Dio per il suo popolo. Se in terra di Israele il luogo per eccellenza della visione è il tempio, in terra straniera è il cielo, a mettere in evidenza che sempre Dio è con il suo popolo. La visione del profeta, che lo consacra come inviato, non fa che mettere in luce il fatto che la storia di Dio con il suo popolo continua, continua sempre, che Dio non si stanca mai di inseguire, di venire a cercare. E il salmo responsoriale traduce in supplica quello che il popolo potrà capire, anche se confusamente: “A te alzo i miei occhi … finché abbia pietà di noi”.
Così, l’episodio della predicazione di Gesù a Nazaret va letto nella premura di Dio per il suo popolo. La scena è racchiusa da due identici sentimenti di valore però diametralmente opposti. Si apre con la meraviglia, sospettosa, diffidente, che si tramuta poi in ostilità da parte degli ascoltatori presenti nella sinagoga e si chiude con la meraviglia, dispiaciuta, di Gesù che si vede costretto a fuggire: “E si meravigliava della loro incredulità”. Una meraviglia, quella di Gesù, però, che non si tramuta in ostilità con la sua fuga, bensì in tenacia e immaginazione per creare nuove occasioni, fino alla fine, come il resto del racconto evangelico proverà, perché i cuori finalmente si aprano all’amore del Padre testimoniato da lui e dalla sua attività ovunque.
Noi non ci accorgiamo che spesso la nostra incredulità nasconde una cattiva idea di Dio. A dire il vero non si tratta realmente di una mancanza di fede, ma di diffidenza, di riserva mentale. Come per i concittadini di Gesù descritti da Luca 4,16-31: gli ascoltatori della sinagoga si sentono offesi quando Gesù ricorda loro che Dio non ha disdegnato i pagani, come se questa preferenza comportasse un’accusa ai suoi figli. Così è per noi: è vero che ci accorgiamo che Gesù insegna cose belle, cose degne della massima stima, ma essere disposti ad accoglierlo e seguirlo nella sua rivelazione di Dio e nel suo servizio agli uomini non ci è agevole.
La liturgia ci invita allora a cogliere il nodo essenziale della vita: la salvezza è data dalla potenza di Dio ma ha bisogno di essere accolta con fede, senza riserve mentali. Il problema più o meno può essere posto così: perché la grazia non compie tutto ciò che promette? Pensiamo al perdono che domandiamo a Dio per i nostri peccati. Perché, pur chiedendolo sinceramente e ottenendolo, non agisce in profondità da trasformarci completamente? Forse che Dio vincola il suo perdono? Non sarebbe morto per noi! Pensiamo alla richiesta di una virtù: “Signore, fammi umile”. Perché dopo la richiesta restiamo ancora in preda all’orgoglio e all’egoismo? Forse che Dio è geloso dei suoi doni? Non ci avrebbe dato il suo Figlio! Ecco dunque la meraviglia di Gesù: la nostra incredulità.
Dio non si stanca però della nostra incredulità perché sa che il nostro cuore ha bisogno di tempo per cedere, per arrendersi, per sciogliere le sue paure, le sue resistenze, le sue ambiguità. L’importante è non lasciare mai il Signore, lasciarsi sempre riaccostare da lui tanto che, come dice la colletta: “sappiamo riconoscere la tua gloria nell’umiliazione del tuo Figlio e nella nostra infermità umana sperimentiamo la potenza della sua risurrezione”. Il movimento suggerito dalla preghiera è appunto quello di imparare a vedere la gloria, cioè lo splendore dell’amore del Padre per gli uomini, proprio nell’umiliazione del Figlio che si consegna agli uomini perché sappiano quanto lui ama il Padre e quanto è grande il suo amore per noi. Il che significa riconoscersi dentro una provvidenza di bene per noi, stando solidale con i sentimenti di Dio, in favore dei fratelli. Così facendo, potremo sperimentare la potenza della vita che viene da Dio accogliendo in pace le infermità e le afflizioni della nostra storia perché non ci allontanano dalla comunione con Colui che il nostro cuore cerca e di cui potente è la salvezza.
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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):
[I testi delle letture sono protetti dal © Libreria Editrice Vaticana e ne è vietata la riproduzione, anche parziale e con qualsiasi mezzo]
Prima Lettura Ez 2, 2-5
Dal libro del profeta Ezechiele
In quei giorni, uno spirito entrò in me, mi fece alzare in piedi e io ascoltai colui che mi parlava.
Mi disse: «Figlio dell’uomo, io ti mando ai figli d’Israele, a una razza di ribelli, che si sono rivoltati contro di me. Essi e i loro padri si sono sollevati contro di me fino ad oggi. Quelli ai quali ti mando sono figli testardi e dal cuore indurito. Tu dirai loro: “Dice il Signore Dio”.
Ascoltino o non ascoltino – dal momento che sono una genìa di ribelli –, sapranno almeno che un profeta si trova in mezzo a loro».
Salmo Responsoriale Dal Salmo 122
I nostri occhi sono rivolti al Signore.
A te alzo i miei occhi,
a te che siedi nei cieli.
Ecco, come gli occhi dei servi
alla mano dei loro padroni.
Come gli occhi di una schiava
alla mano della sua padrona,
così i nostri occhi al Signore nostro Dio,
finché abbia pietà di noi.
Pietà di noi, Signore, pietà di noi,
siamo già troppo sazi di disprezzo,
troppo sazi noi siamo dello scherno dei gaudenti,
del disprezzo dei superbi.
Seconda Lettura 2 Cor 12, 7-10
Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi
Fratelli, affinché io non monti in superbia, è stata data alla mia carne una spina, un inviato di Satana per percuotermi, perché io non monti in superbia.
A causa di questo per tre volte ho pregato il Signore che l’allontanasse da me. Ed egli mi ha detto: «Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza».
Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie debolezze, negli oltraggi, nelle difficoltà, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: infatti quando sono debole, è allora che sono forte.
Vangelo Mc 6, 1-6
Dal vangelo secondo Marco
In quel tempo, Gesù venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono.
Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo.
Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità.
Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando.