Ottavo ciclo
Anno liturgico B (2023-2024)
Tempo Ordinario
XXVIII Domenica
(13 ottobre 2024)
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Sap 7,7-11; Sal 89 (90); Eb 4,12-13; Mc 10,17-30
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Se paragoniamo le figure di Salomone, a cui si ascrive la paternità del libro della Sapienza, da cui è tratta la prima lettura di oggi e quella del giovane ricco che chiede a Gesù come poter avere la vita eterna, comprenderemo meglio la risposta di Gesù e lo sbigottimento dei discepoli.
Se Salomone prega per ottenere la sapienza vuol dire che la sapienza non è una conquista umana. La sapienza viene dall’alto, procede da una rivelazione accolta come partecipazione alla vita di Dio e diventata energia di vita, radice di comportamento. Il salmo responsoriale lo mostra chiaramente. Parla di ‘saziarsi di grazia’, di ‘manifestazione della gloria di Dio’, di consistenza dell’agire dell’uomo. Grazia, gloria e consistenza, che esprimono la rivelazione dell’amore di Dio per l’uomo, rivelazione che in Gesù si manifesta in tutto il suo splendore. Accogliere Gesù significa accogliere la sapienza di Dio che è splendore di amore per l’uomo. Tutto ciò che ha a che fare con quello splendore nella vita degli uomini parla della sapienza che ha lambito il cuore dell’uomo e lo rende splendente. A paragone con questa sapienza, le ricchezze e ogni altro bene di cui godere nella vita non costituiscono nulla di davvero significativo per il cuore. Salomone lo sa e prega ardentemente per partecipare a quella sapienza.
E se l’antifona di ingresso proclama, eco del salmo 129: “Se consideri le colpe, Signore, Signore chi ti può resistere? Ma con te è il perdono …” vuol dire che l’uomo non può accedere alla sapienza sulla base dei suoi meriti, non può conoscere la sapienza a partire dal suo buon comportamento; vuol dire che si accede alla sapienza con il riconoscere il bisogno del perdono, che non equivale semplicemente a riconoscere la colpa, ma a riconoscerla davanti a Qualcuno che ci vuol far dono di Sé.
Quando si presenta il giovane ricco, sembra che l’orizzonte della sua richiesta sia molto più limitato. Non è soddisfatto delle sue ricchezze e della sua vita, e per questo corre da Gesù, ma non riesce a distinguere tra i beni il Bene. La vita eterna che mostra di volere è assai diversa da quello che Gesù chiama l’entrare nel regno di Dio. È come se non riuscisse a distinguere il comandamento dalla ispirazione che l’ha dettato. In effetti, un conto è eseguire i comandamenti, un conto è cogliere l’ispirazione segreta dei comandamenti; un conto è praticare il bene, un conto è cogliere il frutto della pratica del bene. Certo non ha ancora scoperto quello che si legge nel Cantico dei cantici: “Se uno desse tutte le ricchezze della sua casa in cambio dell’amore, non ne avrebbe che disprezzo” (Cant. 8, 7). E questo perché aveva appena proclamato: “Le sue vampe sono vampe di fuoco, una fiamma divina”. Letteralmente ‘una fiamma di Jah [YHWH]’, cioè la manifestazione al cuore della verità di Dio. La sapienza è la capacità di non contrabbandare questo amore goduto con le ricchezze del mondo che passano. In effetti, il salmo responsoriale non fa che sottolineare il fluire inesorabile del tempo, dove ricchezza-salute-bellezza [piacere] svaniscono con lui. Per questo si chiede: “Saziaci con il tuo amore”.
Il dramma di noi credenti viene proprio dal fatto che possiamo praticare il bene e non arrivare mai a gustarne il frutto. La messa in guardia risuona nell’affermazione di Gesù: “Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo”. Si possono fare i comandamenti senza partecipare alle segrete intenzioni per cui Dio ci ha dato quei comandamenti e così non veniamo messi a parte del suo segreto e del desiderio del suo cuore, non diventiamo mai intimi suoi. È per questo motivo che Gesù, desideroso di avere amici che condividono quei segreti, invita il giovane. Non si tratta tanto di lasciare tutto, quanto di venire dietro a Gesù, l’Inviato sul quale riposa tutta la compiacenza del Padre e nel quale anche gli uomini possono gustare la benedizione di quella compiacenza. L’uomo non arriva direttamente al frutto se non stando dietro al Signore Gesù: è Lui che ci introduce nel Regno, in quella intimità con Dio che sazia il desiderio del nostro cuore.
Se Gesù sottolinea che la ricchezza rende impossibile agli uomini il Regno, intende dire che è impossibile secondo le vedute che hanno gli uomini, mantenendo le vedute proprie degli uomini, ma non secondo le loro possibilità, tra le quali, la prima, è proprio quella di dare credito di fiducia al loro Dio. Ed è esattamente quello che i discepoli sono invitati a fare tanto che, alla fine, Gesù confermerà i suoi discepoli nel seguirlo fino in fondo, rendendoli partecipi del suo stesso vissuto: ‘Viene il principe del mondo ma in me non ha nulla e perciò non mi potrà sottrarre l’amore per voi che condivido con il Padre in tutta intimità e anche per voi sarà così’. È l’esito che il giovane ricco rifiuta perché mantiene la sua veduta. Pensa che il dono di Dio segua il principio dell’addizione: a quello che ho vorrei si aggiungesse quello che è da Dio. Invece – ed è lo sbigottimento dell’uomo! – la grazia viaggia sul principio di sottrazione: avrai se lasci e quello che avrai ti ridarà maggiorato quello che hai lasciato. È avvenuto per Salomone, è avvenuto per gli apostoli, è avvenuto per i santi, avviene anche per noi.
Dalla reazione dei discepoli si deduce che la distanza tra loro e quel giovane non è poi così marcata. Anche i discepoli condividono con quel giovane il suo modo di pensare. La differenza risiede nel fatto che i discepoli sono ‘capaci’ di provare a credere a Gesù, capacità che permetterà al loro cuore, a tempo debito, di condividere i segreti di Dio che in Gesù si manifestano e si compiono lasciandosi conquistare totalmente. Pietro non pretende qualcosa se sottolinea cosa ci guadagneranno nell’aver abbandonato tutto per seguire il loro Maestro; dichiara semplicemente che a loro non è ancora dato di godere il frutto della loro rinuncia. E Gesù gli risponde con la ‘promessa’ che ciò avverrà sicuramente e in abbondanza, a patto che seguano il Maestro fino in fondo, fino a conoscere nell’esperienza del loro cuore la beatitudine: “beati i poveri in spirito [= non hanno altra ricchezza se non il regno di Dio], perché di essi è il regno dei cieli”, ricordato dal canto al vangelo.
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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):
[I testi delle letture sono tratti dal sito della Chiesa Cattolica italiana: chiesacattolica.it]
Prima Lettura Sap 7,7-11
Dal libro della Sapienza
Pregai e mi fu elargita la prudenza,
implorai e venne in me lo spirito di sapienza.
La preferii a scettri e a troni,
stimai un nulla la ricchezza al suo confronto,
non la paragonai neppure a una gemma inestimabile,
perché tutto l’oro al suo confronto è come un po’ di sabbia
e come fango sarà valutato di fronte a lei l’argento.
L’ho amata più della salute e della bellezza,
ho preferito avere lei piuttosto che la luce,
perché lo splendore che viene da lei non tramonta.
Insieme a lei mi sono venuti tutti i beni;
nelle sue mani è una ricchezza incalcolabile.
Salmo Responsoriale Dal Salmo 89 (90)
R. Saziaci, Signore, con il tuo amore: gioiremo per sempre.
Insegnaci a contare i nostri giorni
e acquisteremo un cuore saggio.
Ritorna, Signore: fino a quando?
Abbi pietà dei tuoi servi! R.
Saziaci al mattino con il tuo amore:
esulteremo e gioiremo per tutti i nostri giorni.
Rendici la gioia per i giorni in cui ci hai afflitti,
per gli anni in cui abbiamo visto il male. R.
Si manifesti ai tuoi servi la tua opera
e il tuo splendore ai loro figli.
Sia su di noi la dolcezza del Signore, nostro Dio:
rendi salda per noi l’opera delle nostre mani,
l’opera delle nostre mani rendi salda. R.
Seconda Lettura Eb 4,12-13
Dalla lettera agli Ebrei
La parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore.
Non vi è creatura che possa nascondersi davanti a Dio, ma tutto è nudo e scoperto agli occhi di colui al quale noi dobbiamo rendere conto.
Vangelo Mc 10,17-30
Dal vangelo secondo Marco
In quel tempo, mentre Gesù andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?». Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: “Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre”».
Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!». Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni.
Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!». I discepoli erano sconcertati dalle sue parole; ma Gesù riprese e disse loro: «Figli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio! È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio». Essi, ancora più stupiti, dicevano tra loro: «E chi può essere salvato?». Ma Gesù, guardandoli in faccia, disse: «Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio».
Pietro allora prese a dirgli: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito». Gesù gli rispose: «In verità io vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà».