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Ottavo ciclo

Anno liturgico B (2023-2024)

Tempo Ordinario

XIV Domenica

(7 luglio 2024)

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Ez 2,2-5;  Sal 122 (123);  2Cor 12,7-10;  Mc 6,1-6

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I brani scritturistici oggi parlano di occasioni mancate, le preghiere di occasioni godute e degli effetti della salvezza accolta. L’antifona di ingresso celebra la misericordia di Dio e l’esperienza che tutti gli uomini possono farne dovunque e sempre (O Dio, accogliamo il tuo amore nel tuo tempio); la colletta fa pregare perché possiamo riconoscere la gloria dell’amore di Dio nell’umiliazione del Figlio e la sua potenza di consolazione e salvezza nella nostra infermità (O Padre, che nell’umiliazione del tuo Figlio hai risollevato l’umanità dalla sua caduta, dona ai tuoi fedeli una gioia santa); l’antica orazione sulle offerte domanda di poter agire come il Figlio di Dio, nella dinamica di quell’amore che non viene mai meno e di cui ci è fatto dono (Ci purifichi, o Signore, quest’offerta … e ci conduca di giorno in giorno a esprimere in noi la vita nuova nel Cristo tuo Figlio); l’orazione dopo la comunione suggella ogni richiesta precedente con la capacità di vivere in gratitudine perché ricolmi dei benefici del Signore, inattaccabili dalla ruggine dei nostri peccati e dalle vicende del mondo (O Signore … fa’ che godiamo i benefici della salvezza e viviamo sempre in rendimento di grazie).

Il vangelo di Marco fotografa bene la reazione di Gesù: “E si meravigliava della loro incredulità”. Da dove proveniva ai suoi concittadini una tale diffidenza nei suoi confronti? Luca sembra suggerire che non abbiano accolto di buon grado il modo con cui Gesù fa memoria della storia della salvezza, perché, per sottolineare la grandezza dell’amore di Dio, ha ricordato la preferenza per i pagani da parte di Dio (la vedova di Zarepta di Sidone al tempo del profeta Elia e Naaman il siro al tempo di Eliseo). Per Luca l’esito negativo della prima predicazione di Gesù a Nazaret è la prefigurazione del rifiuto finale di Gesù e della sua morte in croce. Il passo parallelo di Matteo sembra suggerire altro, perché il brano fa da contrappunto alla scelta di Gesù di chiamare sua madre e suoi fratelli i suoi discepoli ai quali “è dato conoscere i misteri del regno dei cieli” (Mt 13,11) con la proclamazione delle parabole del regno. Alla fine, però, gli ascoltatori non comprendono e Matteo li definisce come coloro che non vogliono essere familiari di Dio, esattamente come i concittadini di Gesù che lo rifiutano.

Le letture sottolineano la premura, incompresa, di Dio. La prima lettura riporta la parola rivolta al profeta Ezechiele: “Ascoltino o non ascoltino – dal momento che sono una genia di ribelli -, sapranno almeno che un profeta si trova in mezzo a loro”.  Il popolo rifiuterà il profeta, ma la presenza del profeta illustra la premura di Dio per il suo popolo. E tutti sapranno che il profeta è in mezzo a loro, non per l’insegnamento che impartisce, ma per la sua testimonianza dell’amore del Padre quando lo perseguiteranno. Quello che i concittadini di Gesù non hanno fatto, il salmo responsoriale ce lo mostra come atteggiamento da tenere: “A te alzo i miei occhi … Come gli occhi di una schiava alla mano della sua padrona, così i nostri occhi al Signore nostro Dio, finché abbia pietà di noi”.

L’episodio della predicazione di Gesù a Nazaret illustra bene la premura di Dio. La scena è racchiusa da due identici sentimenti di valore diametralmente opposto. Si apre con la meraviglia, sospettosa, diffidente, che si tramuta poi in ostilità da parte degli ascoltatori presenti nella sinagoga e si chiude con la meraviglia, dispiaciuta, di Gesù che si vede costretto a fuggire. Marco conclude: “E si meravigliava della loro incredulità”. Una meraviglia, quella di Gesù, però, che non si tramuta in ostilità con la sua fuga, bensì in tenacia e immaginazione per creare nuove occasioni, fino alla fine, come il resto del racconto evangelico proverà, perché i cuori finalmente si aprano all’amore del Padre testimoniato da lui e dalla sua attività ovunque.

Noi non ci accorgiamo che spesso la nostra incredulità nasconde una cattiva idea di Dio. A dire il vero non si tratta realmente di una mancanza di fede, ma di diffidenza, di riserva mentale. Quando Gesù ricorda loro che Dio non ha disdegnato i pagani, si offendono, come se questa preferenza comportasse un’accusa per loro. Del resto, sembra la nostra stessa situazione. Il problema per noi suona più o meno così: perché la grazia non compie tutto ciò che promette? Pensiamo al perdono che domandiamo a Dio per i nostri peccati. Perché, pur chiedendolo sinceramente e ottenendolo, non ci troviamo poi ad agire da riconciliati qualora subissimo noi un’offesa? Forse che Dio vincola il suo perdono? Non sarebbe morto per noi! Pensiamo alla richiesta di una virtù: “Signore, fammi umile”. Perché, pur desiderando l’umiltà, non viene meno l’orgoglio e l’egoismo? Forse che Dio è geloso dei suoi doni? Non ci avrebbe dato il suo Figlio! Ecco, dunque, la meraviglia di Gesù: la nostra diffidenza o presunzione.

Il pensiero consolante è che Dio non si arrende alla nostra diffidenza. Sa che il nostro cuore ha bisogno di tempo per cedere, per arrendersi, per sciogliere le sue paure, le sue resistenze, le sue ambiguità. Per noi, l’importante è non lasciare mai il Signore, lasciarsi sempre riaccostare da lui in modo da supplicare il Padre: “vinci l’incredulità dei nostri cuori, perché riconosciamo la tua gloria nell’umiliazione del tuo Figlio, e nella nostra debolezza sperimentiamo la potenza della sua risurrezione”. Il movimento suggerito dalla preghiera è appunto quello di imparare a vedere la gloria, cioè lo splendore dell’amore del Padre per gli uomini, proprio nell’umiliazione del Figlio che si consegna agli uomini perché sappiano quanto lui ami il Padre e quanto sia grande il suo amore per noi. Il che significa riconoscersi dentro una provvidenza di bene per noi, stando solidali con i sentimenti di Dio, in favore dei fratelli. Così facendo, potremo sperimentare la potenza della vita che viene da Dio, accogliendo in pace le infermità e le afflizioni della nostra storia, perché non sono quelle che ci allontanano dalla comunione con Colui che il nostro cuore cerca e di cui potente è la salvezza.

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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):

[I testi delle letture sono tratti dal sito della Chiesa Cattolica italiana: chiesacattolica.it]

Prima Lettura  Ez 2,2-5

Dal libro del profeta Ezechièle

In quei giorni, uno spirito entrò in me, mi fece alzare in piedi e io ascoltai colui che mi parlava.

Mi disse: «Figlio dell’uomo, io ti mando ai figli d’Israele, a una razza di ribelli, che si sono rivoltati contro di me. Essi e i loro padri si sono sollevati contro di me fino ad oggi. Quelli ai quali ti mando sono figli testardi e dal cuore indurito. Tu dirai loro: “Dice il Signore Dio”. Ascoltino o non ascoltino – dal momento che sono una genìa di ribelli –, sapranno almeno che un profeta si trova in mezzo a loro».

Salmo Responsoriale  Dal Salmo 122 (123)

R. I nostri occhi sono rivolti al Signore.

A te alzo i miei occhi,

a te che siedi nei cieli.

Ecco, come gli occhi dei servi

alla mano dei loro padroni. R.

Come gli occhi di una schiava

alla mano della sua padrona,

così i nostri occhi al Signore nostro Dio,

finché abbia pietà di noi. R.

Pietà di noi, Signore, pietà di noi,

siamo già troppo sazi di disprezzo,

troppo sazi noi siamo dello scherno dei gaudenti,

del disprezzo dei superbi. R.

Seconda Lettura  2Cor 12,7-10

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi

Fratelli, affinché io non monti in superbia, è stata data alla mia carne una spina, un inviato di Satana per percuotermi, perché io non monti in superbia.

A causa di questo per tre volte ho pregato il Signore che l’allontanasse da me. Ed egli mi ha detto: «Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza».

Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie debolezze, negli oltraggi, nelle difficoltà, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: infatti quando sono debole, è allora che sono forte.

Vangelo  Mc 6,1-6

Dal vangelo secondo Marco

In quel tempo, Gesù venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono.

Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo.

Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità.

Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando.