[tratto da: Ioanichie Bălan, Volti e parole dei padri del deserto romeno, Edizioni Qiqajon, Comunità di Bose, Magnano (BI) 2024, a cura e con la traduzione di Elia Citterio, prefazione all’edizione originale di Dumitru Stăniloae, prefazione all’edizione italiana di Elia Citterio, pp. 70-83].


ioanichie bălan – Padre Cleopa, cosa si intende per “virtù” e da che cosa riconosciamo che le nostre azioni sono buone o cattive davanti a Dio?

cleopa ilie – Le azioni buone sono “quel frutto di giustizia che si ottiene per mezzo di Gesù Cristo, a gloria e lode di Dio” (Fil 1,11; cf. anche Mt 5,16; Gc 3,18). Sono chiamate anche “frutto degno della conversione” (Mt 3,8; cf. Lc 3,8; At 26,20). È Gesù Cristo a mostrarci quali sono le opere buone (cf. Gv 10,32). Sono ritenute opere buone soltanto quelle che provengono dalla retta fede e che si compiono a gloria di Dio (cf. Mt 6,1-4; Ef 5,9-10; Col 1,10).

Nessuno può salvarsi soltanto in forza delle sue opere virtuose, se la misericordia di Dio non colma le insufficienze e i debiti dell’anima (cf. Ef 2,8-9; 2Tm 1,9; Tt 3,4-5). Ciascuno di noi deve convincersi che tutte le virtù sono opera di Dio nei credenti. È il Signore che opera dentro di noi tanto il volere quanto il praticare le virtù, secondo i suoi benevoli disegni (cf. Fil 2,13-15).

i. b. – Dato che nessuno riesce a mettere in pratica tutte le virtù, come può l’uomo ottenere la salvezza praticandone soltanto qualcuna?

c. i. – Il salvatore nostro Gesù Cristo ci ha ordinato di osservare tutto ciò che ci ha comandato (cf. Mt 28,20). L’apostolo Giacomo ci avverte che “chiunque osservi tutta la legge, ma la trasgredisca anche in un punto solo, diventa colpevole di tutto” (Gc 2,10). Dunque, da queste testimonianze della Scrittura comprendiamo chiaramente che siamo in obbligo di custodire tutti i comandamenti per poterci salvare. Poiché però il Salvatore non è venuto a chiamare i giusti ma i peccatori a penitenza (cf. Mt 9,13), solamente chi fa frutti degni di conversione (cf. Mt 3,8) completa con la penitenza la mancanza delle virtù che dovrebbe praticare e con la vera penitenza si salva. Lo dichiara Isacco di Ninive quando scrive: “L’affliggersi e il pentirsi sono superiori a tutte le fatiche ascetiche del corpo”[1]. Che un solo sospiro dal profondo del cuore basti a ottenerci la salvezza, lo testimonia la Scrittura: “Una volta che ti sia convertito e abbia sospirato dal profondo, allora sarai salvo” (Is 30,15 LXX).

L’altra grande ed essenziale virtù portatrice di salvezza è l’umiltà. Lo dice in primo luogo il profeta Davide: “Ero misero ed egli mi ha salvato” (Sal 114,6). Aggiungo la testimonianza di Giovanni Climaco, nel gradino 25, sull’umiltà: “Non ho digiunato, non ho vegliato, non ho dormito per terra, ma mi sono umiliato e subito, velocemente, il Signore mi ha salvato”. E poco più oltre: “L’umiltà è la porta del regno dei cieli”[2]. La stessa idea si trova in Isacco di Ninive là dove afferma: “L’umiltà senza le virtù può ottenerci la remissione di molti peccati, mentre le virtù senza l’umiltà sono del tutto inutili”[3]. Ogni giorno con il salmista preghiamo: “Un cuore affranto e umiliato tu, o Dio, non disprezzi” (Sal 50,19). E secondo la testimonianza di Efrem il Siro possiamo aggiungere: “Appena gemerai dal profondo, uscirà da te il peccato commesso, insieme al sospiro e al maligno che ti ha istigato. Allora la mente, ormai sgravata, dissolve la nube dell’ignoranza e diventa, tutta serena, l’occhio della tua anima; subito subentra la pace, che la fa protendere alla salvezza”. Sforziamoci dunque, secondo la nostra debole capacità, di acquisire tutte le virtù, completando con l’umiltà e la misericordia del Signore tutte le nostre deficienze.

i. b. – Che cos’è la preghiera? Quali sono i gradi della preghiera secondo i padri?

c. i. – “La preghiera è unione dell’intelletto con Dio. La preghiera è germoglio di mitezza e di assenza di collera. La preghiera è frutto di gioia e di gratitudine. La preghiera è difesa da tristezza e da sconforto”, dice Evagrio[4]. Giovanni Climaco la definisce così: “La preghiera, quanto alla sua natura, è la conversazione e l’unione dell’uomo con Dio, e quanto alla sua efficacia, è la conservazione del mondo, la riconciliazione con Dio, la madre delle lacrime e loro figlia”[5]. Ed Elia il Presbitero: “La preghiera è chiave del regno dei cieli”[6]. Teofane il Recluso dice che la preghiera è l’ascesa dell’intelletto e dei pensieri verso Dio. La preghiera comporta tre gradi. Il primo grado è la preghiera vocale, recitata, cioè la preghiera del corpo; il secondo è la preghiera del pensiero, della mente; il terzo è la preghiera del sentimento interiore, cioè del cuore.

i. b. – Come si può riconoscere che si è pregato veramente?

c. i. – Il sentimento di Dio in noi è preghiera, pur senza proferire parola alcuna. Perciò, se uno partecipa alle sue parole fino al punto di sentirle come proferite dal cuore, allora saprà con certezza che ha pregato Dio.

i. b. – Colui che prega è cosciente di passare da un grado all’altro della preghiera oppure no?

c. i. – Secondo il parere comune dei padri, chi prega non si avvede di passare da un grado all’altro della preghiera, dalla sua dimensione quantitativa a quella qualitativa, così come non coglie la propria crescita spirituale, cioè la salita attraverso i tre gradi dell’ascesa spirituale. La crescita, il progresso nella preghiera è simile a una pianta che cresce senza che si possa sapere né percepire l’attimo o il momento della sua crescita. È simile a un bambino che cresce, passando da un’età a un’altra: impossibile determinare il tempo esatto in cui si è sviluppata la sua crescita. La crescita e il progresso del cristiano nella preghiera, così come la sua crescita attraverso i tre gradi dell’ascesa spirituale, non sono solamente frutto dei suoi sforzi, ma ancor più della grazia e della misericordia di Dio. Spesso tale crescita e progresso restano nascosti ai suoi stessi occhi, per disposizione divina, perché l’uomo non si illuda credendo di essere qualcosa. Dice un grande uomo di preghiera: “L’ascesa verso la perfezione rimane ignota a colui che la brama”. Tuttavia Isacco di Ninive mostra alcuni segni in base ai quali uno può capire a che stadio, in che grado si trova. Ecco le sue parole:

L’uomo, nella misura in cui si trova nella negligenza, teme l’ora della morte; man mano invece che si avvicina a Dio, teme l’appressarsi del giudizio. Quando poi procede interamente nell’amore, questi due timori spariscono, consumati dall’amore divino[7].

i. b. – Se i nostri fedeli pregano poco ma in grande umiltà, possono sperare di salvarsi? E gli ammalati, quelli che non possono nemmeno leggere, come dovrebbero pregare?

c. i. – Il salvatore nostro Gesù Cristo ha detto: “Pregando, non sprecate parole come i pagani: essi credono di venire ascoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate” (Mt 6,7-8). Quindi ha insegnato loro la preghiera del Padre nostro. Si tratta dunque di una preghiera breve. Ebbene, chiunque dirà preghiere brevi ma con umiltà, con compunzione e profondo sentimento del cuore, otterrà salvezza. Teniamo davanti agli occhi l’esempio di quel sant’uomo che per quarant’anni è andato ripetendo questa semplice preghiera: “O Signore, io come uomo ho peccato, ma tu come Dio perdonami”[8]. Facciano così anche i malati. Preghino Dio con preghiere brevi e accettino di buon grado la malattia.

i. b. – Ci sono luoghi e tempi privilegiati per la preghiera?

c. i. – Ogni luogo e tempo sono adatti per la preghiera secondo la testimonianza della Scrittura: “Benedirò il Signore in ogni tempo, sulla mia bocca sempre la sua lode” (Sal 33,1). E ancora: “In ogni luogo del suo dominio, benedici il Signore, anima mia” (Sal 102,22). Se però cerchi quale sia il luogo più santo per la preghiera, pensa al cuore dell’uomo, poiché il cuore dell’uomo è l’altare spirituale del Signore sul quale va collocato il sacrificio della preghiera[9]. Per quanto riguarda il tempo della preghiera, l’ho già detto: è sempre.

i. b. – Qual è la preghiera più potente?

c. i. – È la preghiera breve che scaturisce dal profondo del cuore, con sospiri e lacrime, secondo la testimonianza della Scrittura che dice: “Dal profondo a te grido, o Signore; Signore, ascolta la mia voce” (Sal 129,1). Con questa umile preghiera hanno pregato il ladrone sulla croce, la donna cananea, gli apostoli sul mare di Galilea in burrasca, i ciechi di Gerico, il lebbroso, eccetera. Perciò la preghiera più potente è la preghiera di poche parole che prorompe dal profondo del cuore, come dice anche il salmo: “Ruggisco per il fremito del mio cuore” (Sal 37,9). È pure raccomandabile la recitazione dei salmi, della liturgia delle ore, eccetera, ma questa è una forma di preghiera senz’altro più adatta per quelli che sono progrediti nella via spirituale, non per i principianti.

i. b. – Che tipo di preghiera suggerisce ai laici? E ai monaci?

c. i. – Ai laici di solito raccomando di non tralasciare le preghiere del mattino, della sera e a tavola, mentre nel corso della giornata e sul lavoro consiglio di recitare segretamente la preghiera di Gesù e altre giaculatorie. Li invito poi ad andare regolarmente in chiesa, a recitare il Padre nostro, il Credo, il salmo 50, preghiere che devono sapere a memoria. E ancora, raccomando loro la lettura della sacra Scrittura e di altri libri religiosi. Ai più zelanti raccomando di recitare i salmi, gli acatisti e le altre preghiere dal Libro delle ore.

Ai monaci che hanno incombenze pesanti in monastero raccomando soprattutto la pace della mente e la preghiera di Gesù, perché l’una non può essere disgiunta dall’altra, come il corpo dall’anima. Li invito poi a partecipare a tutti gli uffici liturgici, particolarmente al mattutino e alla divina liturgia. Se a causa delle varie incombenze ricevute per obbedienza non potessero venire in chiesa, dico loro di compiere l’obbedienza con amore e di recitare per conto loro la liturgia delle ore oppure, non potendo, di vegliare a che il ricordo di Gesù non venga mai meno nella loro mente, di compiere tutto con gioia e senza recriminazioni, di recitare i salmi per quanto è loro possibile, di leggere testi dei padri, specie le Regole di Basilio Magno e le Catechesi di Teodoro Studita. È quest’ultimo a dirci in una sua catechesi: “A chi in monastero compie l’obbedienza con amore e senza mormorazioni, il servizio diventa martirio e come martire sarà incoronato”[10].

i. b. – La preghiera con lacrime del povero o della vedova, fatta con il cuore, può essere considerata tanto potente come la preghiera di Gesù?

c. i. – Tanto la preghiera del povero e della vedova quanto quella del monaco, se è fatta con umiltà, con lacrime e con costanza, è potente e capace di vero pentimento. L’afflizione, dice Giovanni Climaco, è “il pungolo d’oro dell’anima”[11]. Chi prega con lacrime di penitenza per i propri peccati e con il dolore nel cuore perché ha rattristato Dio, questi, tramite una simile preghiera, si purifica da ogni impurità sperimentata o pensata, a condizione che vi perseveri. Raggiungono la stessa misura di purità, di illuminazione e di beatitudine spirituale anche quelli che non hanno ricevuto da Dio il dono delle lacrime, ma pregano con la compunzione della mente e del cuore, accusando sé stessi, con l’afflizione e il dispiacere per i peccati compiuti.

i. b. – Che importanza rivestono le lacrime nella preghiera?

c. i. – Secondo l’insegnamento dei padri, le lacrime dopo il battesimo hanno ancora più potere del battesimo stesso. Il battesimo infatti lava i peccati del tempo precedente, mentre la fonte delle lacrime lava anche i peccati successivi[12]. Dice Isacco di Ninive: “Le lacrime durante la preghiera sono segno della misericordia di Dio di cui si è resa degna l’anima nel suo pentimento”[13]. Di queste lacrime, alcune sono originate dal timore di Dio, altre dal timore delle pene dell’inferno e del giudizio finale.

i. b. – Come può arrivare l’uomo al pentimento e al biasimo di sé?

c. i. – Per giungere al pentimento e al biasimo di se stesso l’uomo dovrà anzitutto sforzarsi con tutta l’energia della sua coscienza di arrivare a riconoscere la propria fragilità, la propria nullità, la gravità dei suoi peccati e, ancor più, la schiavitù delle passioni spirituali che lo dominano: egoismo, insensibilità, alterigia, odio, cattiveria, rancore, ipocrisia e altre cose del genere, difficili da individuare a causa della loro sottigliezza. Giungere alla vera conoscenza di se stessi significa giungere alla vera beatitudine, secondo la testimonianza che dice: “Beato l’uomo che conosce la sua fragilità, poiché tale conoscenza gli è di fondamento, radice e inizio di ogni bene”[14].

i. b. – Come progredire nella preghiera spirituale?

c. i. – Non posso che rispondere così: chiunque può raggiungere i più alti gradi della preghiera se si sforzerà in ogni tempo di pregare. Il maestro più efficace della preghiera è la preghiera stessa, la fatica stessa del pregare. Lo dichiara in tutta verità Macario l’Egiziano: “Vuoi ottenere la preghiera? Impegnati nella preghiera sopportandone la fatica e Dio, vedendo con quanto sforzo la cerchi, te la darà”[15].

i. b. – Qual è la differenza tra la preghiera della mente e quella del cuore? Come possiamo raggiungere la preghiera pura del cuore?

c. i. – La preghiera della mente è una preghiera fatta con attenzione a sé stessi, senza pensieri, immaginazioni e suggestioni cattive. Si tratta di una preghiera non ancora perfetta, anche se di grado più elevato della preghiera vocale. I padri chiamano la preghiera con mente pura “preghiera su di un piede” o “uccello con un’ala”: non si può camminare né volare, in quanto non vi partecipa il cuore. La preghiera del cuore è la preghiera perfetta, la “preghiera su due piedi”. Grazie ad essa ci uniamo a Cristo, parliamo con Cristo e partecipiamo, pur rimanendo nel corpo, alla beatitudine e alla dolcezza della vita eterna.

La preghiera del cuore è la preghiera dei santi, dei perfetti. Si ottiene dopo molto sforzo e solamente per dono di Dio. I maestri spirituali dicono che a tale grado spirituale di preghiera, chiamato anche “preghiera contemplativa”, vi arriva solamente uno per ogni generazione. Per preghiera del cuore intendiamo l’unione della mente con il cuore ovvero la discesa della mente nel cuore per stare colà incessantemente in compagnia di Cristo, nel segreto della preghiera. L’unione della mente con il cuore consiste nell’unire i pensieri spirituali della mente con i sentimenti spirituali del cuore. In tal caso l’anima si chiude e si apre molto difficilmente. Il cuore assorbe Gesù e Gesù assorbe il cuore. Nasce la preghiera infuocata del cuore, senza pensieri e immaginazioni. Si realizza l’unione spirituale fra lo Sposo e la sposa, fra Cristo e il cuore. Cristo conversa con noi nel talamo del nostro cuore e il demonio non ha più potere su di noi. La preghiera pura del cuore si acquisisce dopo prolungati sforzi, grazie alla ripetizione incessante del nome di Gesù, con molte lacrime, con una profonda umiltà, con veglie prolungate, con il digiuno, il silenzio, preservando la mente dalla contaminazione dei pensieri, della vanagloria in particolare, con una pazienza provata e solamente con l’aiuto e la grazia dello Spirito santo. Inoltre, senza un maestro esperto nella preghiera e senza un padre spirituale di valore, nessuno osi avvicinarsi a questa preghiera angelica, poiché la preghiera del cuore è un dono di Dio. Quando entriamo con la mente nel nostro cuore dobbiamo chiudere tre porte: la porta della cella, per gli uomini; la porta delle labbra, per non parlare con alcuno; la porta del cuore, contro i demoni, ponendo la mente come custode del cuore. Quando l’uomo prega dal profondo del cuore, si riempie di amore per Dio e non brama nient’altro che intrattenersi con lui sempre, come Pietro che desiderava rimanere per sempre sul monte Tabor, nella luce di Cristo. Nel tempo della preghiera la mente deve rimanere cieca, sorda e muta, vale a dire non vedere, non ascoltare e non parlare di nulla con nessuno, eccetto che con il solo Gesù Cristo. In tal caso la preghiera è chiamata “preghiera monologica” o “preghiera di Gesù”. La mente è rapita dallo Spirito santo; non può che proferire brevi invocazioni per timore di venir depredata dal demonio a causa della prolissità delle parole. Se ci limitiamo soltanto alla preghiera della mente, non potremo sfuggire alle tentazioni e ai turbamenti. In tal senso i padri ci stimolano dicendo: “Scendi, uomo, dalla mente nel cuore, poiché lì troverai consolazione e dolcezza suprema, mentre nella mente v’è gran mercato e confusione”. Quando la mente si unisce con il cuore, le immagini mentali vanno conservate nella memoria, non nella fantasia. Diversamente, non puoi scendere con la preghiera nel cuore; rimani impigliato nell’attività della mente. Dalla santa preghiera del cuore l’uomo può protendersi a una forma ancora più alta di preghiera, vale a dire a quella contemplativa, che non si chiama più “preghiera”, bensì “visione spirituale”. Vi giungono solamente i santi. L’ultimo e il più alto grado della preghiera è il rapimento della mente nelle cose celesti, se nel corpo o fuori del corpo, Dio solo sa, come è il caso dell’apostolo Paolo rapito fino al terzo cielo (cf. 2Cor 12,2 ss.).

i. b. – Quali sono i frutti della preghiera di Gesù?

c. i. – Il primo frutto è l’estraniamento dei pensieri della mente dalle bellezze del mondo, come dice Diadoco di Fotica: “Colui che risiede sempre nel proprio cuore emigra da tutte le bellezze della vita”[16].

Il secondo frutto della preghiera di Gesù consiste nel vedere la spaventevole abiezione dell’anima, tutta contaminata da sentimenti e pensieri cattivi. Secondo la testimonianza di Gregorio Palamas, è tramite simile visione che l’uomo ottiene l’umiltà e il dono delle lacrime.

Il terzo frutto consiste nel fatto che, con il ritorno della mente nel cuore, tanto la mente quanto il cuore dell’uomo diventano un puro specchio, nel quale l’asceta può riconoscere i movimenti subdoli dei suoi pensieri e così chiamare in suo soccorso Gesù.

Il quarto frutto è la purificazione della natura come anche l’opera in vista di tale purificazione, concessa in modo soprannaturale dal dono divino dello Spirito santo.

Il quinto frutto della preghiera del cuore è che la mente, entrando nel cuore per conversare con il Verbo che colà dimora, non può rimanervi senza provare un profondo senso di beatitudine e letizia spirituale, secondo quanto ci riferiscono Giuseppe Briennio e Niceforo il Monaco.

Il sesto frutto della preghiera spirituale si manifesta quando, proprio tramite la preghiera, riusciamo a trovare il dono divino nascosto nel cuore.

Il settimo consiste nel fatto che, grazie al ricordo incessante del nome di Gesù, nasce nell’anima l’amore verso Cristo. Possiamo enumerare ancora altri frutti di questa preghiera: il raccoglimento dei pensieri, la devozione, l’umiltà, l’attenzione a sé stessi, la compunzione, il timore di Dio, il ricordo della morte, la pace del cuore in rapporto ai pensieri, la concentrazione dell’attenzione nel cuore e il calore spirituale.

i. b. – Che differenza c’è tra le due espressioni “preghiera della mente” e “attività della mente”?

c. i. – La “preghiera della mente” ha inizio quando poniamo saldamente la nostra attenzione nel cuore e dal cuore innalziamo preghiere a Dio. L’“attività della mente” inizia quando, restando nel raccoglimento davanti a Dio con l’attenzione nel cuore, recidiamo ogni altro pensiero che tenta di penetrarvi.

i. b. – Come possiamo oggi praticare il comando dell’Apostolo: “Pregate ininterrottamente” (1Ts 5,17)?

c. i. – Possiamo pregare ininterrottamente se con la mente e con il cuore camminiamo sempre davanti a Dio. Con le mani si può lavorare, mentre con la mente e con il cuore si può stare assorti in Dio. La preghiera si risolve essenzialmente in questo: stare con la mente e con il cuore fissi in Dio, senza separarsene mai, in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo. La cosa principale è avere sempre in noi il sentimento della presenza di Dio. Secondo l’espressione di Teofane il Recluso, il sentimento della presenza di Dio supplisce a tutte le forme della preghiera e viene considerato preghiera incessante. In tale sentimento e concentrazione della mente in Dio si trovava il beato profeta Davide quando testimoniò di sé stesso: “Io pongo sempre innanzi a me il Signore: sta alla mia destra, non posso vacillare” (Sal 15,8). Dobbiamo dunque intendere che la vita del fedele è una preghiera incessante se incessantemente rimane con la mente rivolta a Dio.

i. b. – Esiste forse una forma di preghiera più elevata della preghiera del cuore?

c. i. – Sì, è la preghiera spirituale, contemplativa, di estasi. Si chiama anche “visione spirituale” e ha inizio dove termina il concetto usuale di preghiera. Chi infatti arriva a tale grado non prega più con la preghiera, ma con il sentimento soltanto; la sua anima “sente” le realtà spirituali. Ma di questa visione o preghiera spirituale concessa dalla grazia di Dio, dicono i padri, è già tanto che venga trovato degno uno per ogni generazione[17].

i. b. – Lei pensa che anche ai giorni nostri esistano uomini che abbiano raggiunto la preghiera spirituale del cuore?

c. i. – Lo sa soltanto il Signore. Forse alcuni monaci eremiti che vivono in solitudine sui monti o all’Athos; forse anche alcuni anziani che si sono esercitati nell’ascesi per tutta una vita in monastero, nel silenzio, nell’obbedienza e nell’umiltà, senza rivestire cariche o assolvere compiti ecclesiastici. Gli altri, in effetti, non possono protrarre a lungo la preghiera notturna e mattutina a causa dei molti impegni e della dispersione della mente. Non vengono regolarmente nemmeno alle funzioni liturgiche e, se pur vi partecipano, riescono a fatica a resistere fino alla fine. Mi chiedo: se non abbiamo la pazienza di stare un’ora o due a pregare in chiesa per i nostri peccati e per glorificare Dio come meglio possiamo, come avremo la pazienza di stare in cielo un’eternità intera? In ogni modo, non dobbiamo mai venir meno nella preghiera, in specie nella pratica della preghiera di Gesù. Dobbiamo applicarci con tenacia costante e umiltà per quanto ce lo consentono le nostre forze: conquistare la preghiera pura e scendere con la mente nel cuore non dipende da noi, ma è dono di Dio. L’umiltà del cuore sopperisce alle nostre deficienze nella preghiera e ci trasporta là dove termina l’ascesa della preghiera pura. Conosco dei laici che pregano molto più di noi e alcuni che superano i monaci. Anche tra loro ce ne possono essere di quelli che sono arrivati alla preghiera del cuore, ma soltanto Dio conosce i suoi eletti.

i. b. – Soltanto la preghiera propriamente detta oppure anche altre attività spirituali della mente sono ritenute preghiera?

c. i. – La vita del cristiano può diventare preghiera continua attraverso la pratica delle virtù. Ma se domandi quali attività spirituali della mente rientrino nei confini della preghiera, non ti risponderò con le mie parole, ma con quelle di Isacco di Ninive:

Ogni conversazione spirituale che si svolge nel segreto della mente o del cuore dell’uomo, ogni occupazione buona della mente secondo il Signore, ogni pensiero spirituale, vanno definiti come preghiera. Ogni tipo di lettura o di parole in lode del Signore, ogni ricerca di stare con il cuore contrito davanti a Dio, ogni prostrazione del corpo o canto di salmi è preghiera e come tale è considerata[18].

i. b. – Quali virtù aiutano la preghiera e quali provengono dalla preghiera?

c. i. – Di grande aiuto alla preghiera risulta essere l’elemosina, poiché “l’elemosina è l’ala della preghiera”[19]. Anche la vita ritirata e tranquilla e la temperanza aiutano la preghiera come testimonia la tradizione: “Dal seme del sudore del digiuno cresce la spiga della piena sapienza; la solitudine e la quiete sono la cima della perfezione di coloro che pregano”. E ancora: “Chi è stato toccato dalla bellezza della preghiera, fuggirà la moltitudine come un asino selvatico”[20]. Aiuta la preghiera anche l’umiltà poiché, secondo Isacco di Ninive: “Colui che non si ritiene peccatore, non è accetto a Dio nella sua preghiera”. La sostiene pure la compunzione, come dice ancora lo stesso Isacco: “Le lacrime nella preghiera sono segno della misericordia di Dio”[21]. Ci sarebbero anche altre virtù che sostengono la preghiera, ma quelle che ho elencate credo siano le più importanti.

Similmente le virtù che nascono e si sviluppano tramite la preghiera sono molte, come: la fede, la speranza, la misericordia, la pazienza, la temperanza, eccetera. La più grande virtù, tuttavia, che germoglia dalla preghiera, al dire dei padri, è lo stesso amore divino.

  1. Una citazione a senso di un passo di Isacco di Ninive, Prima collezione 50,34, in Id., Discorsi ascetici. Prima collezione, a cura di S. Chialà, Qiqajon, Magnano 2021, p. 447.

  2. Cf. Giovanni Climaco, La scala 25, pp. 338-339.

  3. Cf. Isacco di Ninive, Prima collezione 72,14, p. 608.

  4. Nilo l’Asceta [Evagrio Pontico], Discorso sulla preghiera 3.14-16, in La Filocalia I, a cura di M. B. Artioli e M. F. Lovato, Gribaudi, Torino 1982, pp. 274-275.

  5. Cf. Giovanni Climaco, La scala 28, p. 433.

  6. Elia Presbitero ed Ecdico, Antologia gnomica di filosofi illustri 102, in La Filocalia II, a cura di M. B. Artioli e M. F. Lovato, Gribaudi, Torino 1983, p. 428.

  7. Cf. Isacco di Ninive, Prima collezione 62,1, p. 531.

  8. Cf. Detti dei padri, Serie alfabetica, Apollo 2, in Vita e detti dei padri del deserto I, a cura di L. Mortari, Città Nuova, Roma 1975, p. 148.

  9. Cf. Isacco di Ninive, Prima collezione 22,10, p. 240.

  10. Cf. Teodoro Studita, Catechesi 8 (“Sulla fatica che si compie in monastero equiparata alla corona dei martiri”), in Κατηχήσεις τοῦ Ἁγίου Θεοδώρου τοῦ Στουδίτου, a cura di S. Schoinas, Haghioreitiki Vivliothiki, Volos 1975, p. 36.

  11. Cf. Giovanni Climaco, La scala 7, p. 193.

  12. Cf. ibid., p. 194.

  13. Cf. Isacco di Ninive, Prima collezione 53,16, p. 478.

  14. Cf. ibid. 8,1, p. 163.

  15. Si tratta di una citazione di Macario l’Egiziano, ripresa da Teofane il Recluso e riportata in L’arte della preghiera. Antologia di testi spirituali sulla preghiera del cuore, a cura di Caritone di Valamo, Gribaudi, Torino 1980, p. 110.

  16. Diadoco di Fotica, Discorso ascetico 57, in La Filocalia I, p. 368.

  17. Cf. Isacco di Ninive, Prima collezione 22,9, p. 240.

  18. Cf. ibid. 63,7, p. 541.

  19. Cf. Giovanni Climaco, La scala 28, p. 441.

  20. Cf. ibid. 27, p. 425.

  21. Cf. Isacco di Ninive, Prima collezione 53,16, p. 478.