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Ottavo ciclo

Anno liturgico B (2023-2024)

Tempo di Pasqua

II Domenica di Pasqua

(7 aprile 2024)

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At 4,32-35;  Sal 117 (118);  1Gv 5,1-6;  Gv 20,19-31

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Per tutta l’ottava di Pasqua è risuonato il ritornello: “Questo è il giorno fatto dal Signore: rallegriamoci ed esultiamo”. Il vangelo di Giovanni insiste a chiamare la domenica di risurrezione Giorno Uno, mentre la liturgia canta con il salmo 117: “Eterna è la sua misericordia”. Tutte espressioni che alludono a una nuova percezione del tempo. Con la risurrezione di Gesù il tempo eterno di Dio prorompe nel tempo della nostra storia. Il Giorno Uno sovrasta e ingloba tutti i giorni dell’uomo; tutti i nostri giorni procedono e fioriscono in quell’unico giorno eterno che non verrà mai meno. Dire: ‘eterna è la sua misericordia’, non vuol significare soltanto che Dio sarà eternamente fedele alla sua misericordia o che la sua misericordia durerà per sempre, ma soprattutto che, essendo la sua misericordia dall’eternità, si trova alle origini del nostro mondo, ne racchiude il senso e il mistero fino alla fine, finché il mondo sussisterà. Si torna a veder splendere la luce del primo giorno della creazione, la luce della santità di Dio come splendore di amore, in cui tutto ha preso esistenza e che garantisce il compimento di tutto.

La colletta della messa di oggi prega: “Dio di eterna misericordia, che ogni anno nella festa di Pasqua ravvivi la fede del tuo popolo santo, accresci in noi la grazia che ci hai donato”. Qual è questa grazia? È la grazia della rivelazione dell’immenso amore del Signore per noi che a tal punto ci ha amati da morire per noi e renderci partecipi della sua stessa vita, la vita di Colui che è proclamato ‘il Vivente’, Colui sul quale la morte non ha più potere. Non si tratta di una semplice affermazione dogmatica che riguarda la natura della persona di Gesù, ma dello svelamento di una possibilità di ‘vita divina’ concessa all’uomo che, guardando a ‘Colui che è stato trafitto’, lo riconosce suo Signore e suo Dio, come Tommaso, in totale confidenza.

Gesù, apparendo ai discepoli la sera di Pasqua, dona la sua pace. È la pace che deriva dalla sua passione (mostra le cicatrici nel suo corpo), si fa dinamica di missione nel mondo per i discepoli (Gesù li invia come lui è stato inviato), diventa energia di comunione nello Spirito (Gesù effonde lo Spirito sui discepoli). L’ultima parola della giornata di Pasqua, però, è: “io non credo”. Tommaso non era presente e, quando gli viene riferito della apparizione di Gesù, lui si rifiuta di credere. Se Tommaso protesta la sua incredulità non è per mancanza di fede, ma perché si è trovato così coinvolto nella vicenda di Gesù, al quale aveva aderito con tutto il cuore che non vuole illudersi (le altre due volte che il vangelo di Giovanni parla di Tommaso ce lo presenta come un uomo generoso, pronto ad andare a morire con Gesù). Il suo dubbio procede da un cuore che ha preso molto sul serio la vicenda di Gesù. Così, c’è bisogno del Giorno Ottavo, quando Gesù, ricomparendo, gli si rivolge direttamente: metti il dito, tocca, metti la mano nelle cicatrici! È così intensa l’emozione che non ha bisogno di ricredersi, di scusarsi: è tutto teso a quel Signore che ha sempre voluto seguire e che ora riconosce per davvero ‘mio Signore e mio Dio’, la più solenne professione di fede del vangelo di Giovanni. In quel mio c’è tutto l’anelito del suo cuore, la sua esperienza di Lui; in quel Signore e Dio, c’è tutta la rivelazione di Gesù al suo cuore. È l’unica volta nei vangeli che Gesù è chiamato direttamente Dio. Del resto, è la conclusione a cui il narratore evangelico guida noi lettori.

È a partire da quella confessione di fede che a Tommaso scende in cuore quella pace che Gesù aveva donato. Nella vicenda terrena di Gesù, la pace sigilla l’inizio e la fine, rivelazione e dono del Dio misericordioso verso gli uomini. A Betlemme gli angeli annunciano la pace; nel discorso all’ultima cena, Gesù promette la sua pace; dopo la risurrezione Gesù dona la sua pace e con la nostra professione di fede quella pace scende nel cuore e ne occupa le sorgenti. È la stessa pace che abita i cuori quando si accostano all’Eucaristia, dove la chiesa fa esperienza della presenza del Risorto. Quella pace è a riprova di ogni tipo di male perché si colloca così profondamente alle radici dei cuori che non può essere rapita da niente e da nessuno.

La vita che scaturisce da quella pace non è più soggetta alla morte, non tollera più divisioni e ferite alla fraternità. Luca l’aveva additata nel descrivere la comunità come un cuor solo e un’anima sola nella comunanza dei beni, non come un idillio, ma come la tensione da promuovere. In un doppio senso: realizza la remissione dei debiti ogni sette anni, come descritta da Dt 15,4: “Non vi sarà alcun bisognoso in mezzo a voi” e, nello stesso tempo, segnala l’esperienza di una fraternità condivisa, forse come eco di un proverbio greco sull’amicizia: “fra loro tutto era comune”. Ci vedo la medesima allusione nella lettera di Giovanni quando si dice che i comandamenti non sono gravosi, perché la fede in Gesù risorto ha vinto il mondo, vale a dire l’influenza dominatrice del diavolo nel mondo. L’unica cosa che il diavolo non conosce è proprio l’amore. Vinto il diavolo, l’amore fiorisce e, siccome i comandamenti non tendono che a comunicarci la vita divina, che è amore, allora si possono amare i fratelli perché si osservano i comandamenti di Dio. La tensione di lotta che caratterizza comunque la nostra storia è data dal continuo passaggio dal Giorno Uno al Giorno Ottavo, che si richiamano a vicenda: il Giorno Uno come sorgente di tutto, il Giorno Ottavo come frutto della rivelazione al cuore dell’amore di Dio.

Se, da parte di Gesù, il suo rivolgersi ai discepoli e poi a Tommaso con il mostrare le sue cicatrici significa: ‘sono proprio io, colui che per voi, per te, ha patito’, il riconoscimento da parte dei discepoli significa: ‘Dio ha proprio amato il mondo, le nostre vite hanno senso solo come risposta a quell’amore, che in Gesù ha svelato il vero volto di Dio pieno di accondiscendenza per gli uomini, solo l’amore che da lui deriva e a lui si volge sazia il cuore’.

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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):

[I testi delle letture sono tratti dal sito della Chiesa Cattolica italiana: chiesacattolica.it]

Prima Lettura  At 4,32-35

Dagli Atti degli Apostoli

La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune.

Con grande forza gli apostoli davano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù e tutti godevano di grande favore.

Nessuno infatti tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano il ricavato di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli; poi veniva distribuito a ciascuno secondo il suo bisogno.

Salmo Responsoriale Dal Sal 117 (118)

R. Rendete grazie al Signore perché è buono:

il suo amore è per sempre.

Dica Israele:

«Il suo amore è per sempre».

Dica la casa di Aronne:

«Il suo amore è per sempre».

Dicano quelli che temono il Signore:

«Il suo amore è per sempre». R.

La destra del Signore si è innalzata,

la destra del Signore ha fatto prodezze.

Non morirò, ma resterò in vita

e annuncerò le opere del Signore.

Il Signore mi ha castigato duramente,

ma non mi ha consegnato alla morte. R.

La pietra scartata dai costruttori

è divenuta la pietra d’angolo.

Questo è stato fatto dal Signore:

una meraviglia ai nostri occhi.

Questo è il giorno che ha fatto il Signore:

rallegriamoci in esso ed esultiamo! R.

Seconda Lettura  1Gv 5,1-6

Dalla prima lettera di san Giovanni apostolo

Carissimi, chiunque crede che Gesù è il Cristo, è stato generato da Dio; e chi ama colui che ha generato, ama anche chi da lui è stato generato.

In questo conosciamo di amare i figli di Dio: quando amiamo Dio e osserviamo i suoi comandamenti. In questo infatti consiste l’amore di Dio, nell’osservare i suoi comandamenti; e i suoi comandamenti non sono gravosi.

Chiunque è stato generato da Dio vince il mondo; e questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede.

E chi è che vince il mondo se non chi crede che Gesù è il Figlio di Dio? Egli è colui che è venuto con acqua e sangue, Gesù Cristo; non con l’acqua soltanto, ma con l’acqua e con il sangue. Ed è lo Spirito che dà testimonianza, perché lo Spirito è la verità.

Vangelo  Gv 20,19-31

Dal Vangelo secondo Giovanni

La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.

Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».

Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».

Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».

Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.