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Ottavo ciclo

Anno liturgico B (2023-2024)

Tempo di Quaresima

III Domenica

(3 marzo 2024)

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Es 20,1-17;  Sal 18 (19);  1Cor 1,22-25;  Gv 2,13-25

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Il miracolo alle nozze di Cana, con la trasformazione dell’acqua in vino, aveva come sanzionato il passaggio dall’Antica alla Nuova Alleanza che si compie in Gesù. L’attenzione dell’evangelista si sposta subito a Gerusalemme per la celebrazione della Pasqua. È però ancora la ‘Pasqua dei Giudei’; non è ancora la ‘Pasqua’, come Giovanni riporterà al cap. 13 quando introduce i racconti della passione con l’Ultima Cena. Il passaggio dalla ‘Pasqua dei Giudei’ alla ‘Pasqua’ di Gesù è richiamato con l’episodio della purificazione del tempio.

Vedere Gesù che, arrivato al tempio, si mette a costruire una frusta di cordicelle, fa pensare al cosiddetto flagello messianico, secondo antichi racconti ebraici, con cui il messia opera la purificazione dal male prima di stabilire il regno di Dio. Vi sono alluse due tradizioni profetiche, quella di Zaccaria 14,21 (“In quel giorno non vi sarà neppure un mercante nella casa del Signore degli eserciti”) e di Malachia (“Ecco, io invierò il profeta Elia prima che giunga il giorno grande e terribile del Signore”). È evidente che Gesù agisce come profeta e come tale lo lasciano fare. Gli chiedono però conto dell’autorità che così si arroga e Gesù risponde: “Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere”. Il termine che usa, però, non si riferisce al tempio (ieron) come complesso degli edifici (Gesù scaccia i venditori dal recinto del tempio, luogo al quale anche i pagani potevano accedere) ma al Santo dei santi (naos), alla cappella interna dove era creduta sussistere la Presenza. Riprende l’immagine della tenda nel deserto, luogo della Presenza del Signore.

Gli apostoli si ricordano del salmo 69,10: “mi divora lo zelo per la tua casa”, ma lo interpretano nell’ottica del Messia restauratore della santità del Tempio e della Legge, come del resto fanno gli altri, di cui si dice che credono in Gesù ma di cui Gesù non si fida. Nessuno è ancora pronto a riconoscere la portata vera di ciò che intende Gesù. Solo con la sua Pasqua tutto si potrà vedere in modo aperto e vero. Solo con la sua Pasqua la santità della Legge si compirà in ‘grazia e verità’, secondo la grandezza dell’amore misericordioso del Signore che attira tutti a Sé. Solo allora risulterà fondante di ogni possibile santità la fede in quel Gesù che, come esprime il canto al vangelo riprendendo una sua espressione nel colloquio con Nicodemo: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito”. Quel ‘dare’ non comporta semplicemente il venire del Figlio di Dio tra noi, ma precisamente il suo consentire alla morte perché l’amore del Padre sia conosciuto in tutto il suo splendore.

Proprio come dirà s. Paolo a proposito di Gesù: “noi invece annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio. Infatti ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini” (1Cor 1,22-25). Poco prima di andare incontro alla sua passione, Gesù dirà ai discepoli: “viene il principe del mondo; contro di me non può nulla” (Gv 14,30), in realtà dicendo: il principe di questo mondo cercherà in ogni modo di trovare qualcosa che è suo in me ma non troverà nulla perché tutto in me è amore del Padre per voi.

Se guardiamo a quel Figlio, dato a noi nella sua morte e risurrezione, allora comprendiamo la descrizione della parola di Dio secondo il salmo 18/19. Il suo comandamento riporta integrità e armonia nel cuore (è immacolato), con la sua sapienza dall’alto ci fa bambini desiderosi del Padre e del suo Regno (è fedele), infonde gioia al cuore (è retto), ci ridà uno sguardo luminoso per tutto e per tutti (è splendente), in modo da farci vivere i giudizi del Signore nella nostra vita come espressione del suo amore misericordioso, di cui aneliamo l’esperienza.

La prima lettura, tratta dal libro dell’Esodo, presenta le Dieci Parole. L’espressione che dà fondamento e senso a tutte le parole è quella iniziale: “Io sono il Signore, tuo Dio”. Senza l’esperienza di quel ‘tuo Dio’ non sarà possibile accogliere e vivere nella sua estensione la serie dei comandamenti. Quel ‘tuo’ si riferisce ad una esperienza tipica: la liberazione dalla condizione servile, la liberazione dalla schiavitù dell’Egitto. Se applichiamo quella solenne dichiarazione al Signore Gesù, che con la sua morte e risurrezione ci ha liberati dal male e dalla schiavitù del peccato, allora tutte le parole evangeliche suoneranno con ben altra risonanza nel nostro cuore.

Se poi ascoltiamo il brano dell’Esodo nel contesto della storia di Israele veniamo a intuire dove si colloca il passaggio dall’Antica alla Nuova Alleanza. Le dieci parole sono state scritte due volte. La prima, per opera diretta di Dio (“Le parole erano opera di Dio, la scrittura era scrittura di Dio, scolpita sulle tavole”, Es 32,16). Quelle tavole però sono state poi scagliate da Mosè ai piedi della montagna frantumandole, inorridito al vedere il popolo in adorazione del vitello d’oro. La seconda, scritte da Mosè su tavole intagliate da lui, per comando di Dio, dopo che Mosè ha interceduto per il popolo e ha ottenuto il perdono del Signore (“Mosè rimase con il Signore quaranta giorni e quaranta notti, senza mangiar pane e senza bere acqua. Egli scrisse sulle tavole le parole dell’alleanza, le dieci parole”, Es 34,28). Sono queste seconde tavole che verranno custodite nella Tenda del Convegno. Quando i profeti annunceranno la nuova alleanza, la presenteranno come un’alleanza non più scritta su tavole di pietra ma sul cuore di carne. In altri termini, la parola di vita (le dieci parole) non verranno ascoltate dall’esterno, ma dall’interno. Ed è quello che realizzerà Gesù, con il dono del suo Spirito, facendoci rimanere dove lui è, cioè nell’amore del Padre per tutti.

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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):

[I testi delle letture sono tratti dal sito della Chiesa Cattolica italiana: chiesacattolica.it]

Prima Lettura  Es 20,1-17

Dal libro dell’Èsodo

In quei giorni, Dio pronunciò tutte queste parole: «Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile:

Non avrai altri dèi di fronte a me.

Non ti farai idolo né immagine alcuna di quanto è lassù nel cielo, né di quanto è quaggiù sulla terra, né di quanto è nelle acque sotto la terra. Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai. Perché io, il Signore, tuo Dio, sono un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione, per coloro che mi odiano, ma che dimostra la sua bontà fino a mille generazioni, per quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti.

Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio, perché il Signore non lascia impunito chi pronuncia il suo nome invano.

Ricòrdati del giorno del sabato per santificarlo. Sei giorni lavorerai e farai ogni tuo lavoro; ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: non farai alcun lavoro, né tu né tuo figlio né tua figlia, né il tuo schiavo né la tua schiava, né il tuo bestiame, né il forestiero che dimora presso di te. Perché in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in essi, ma si è riposato il settimo giorno. Perciò il Signore ha benedetto il giorno del sabato e lo ha consacrato.

Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che il Signore, tuo Dio, ti dà.

Non ucciderai.

Non commetterai adulterio.

Non ruberai.

Non pronuncerai falsa testimonianza contro il tuo prossimo. Non desidererai la casa del tuo prossimo. Non desidererai la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo né la sua schiava, né il suo bue né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo».

Salmo Responsoriale  Dal Salmo 18 (19)

R. Signore, tu hai parole di vita eterna.

La legge del Signore è perfetta,

rinfranca l’anima;

la testimonianza del Signore è stabile,

rende saggio il semplice. R.

I precetti del Signore sono retti,

fanno gioire il cuore;

il comando del Signore è limpido,

illumina gli occhi. R.

Il timore del Signore è puro,

rimane per sempre;

i giudizi del Signore sono fedeli,

sono tutti giusti. R.

Più preziosi dell’oro,

di molto oro fino,

più dolci del miele

e di un favo stillante. R.

Seconda Lettura  1Cor 1,22-25

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi

Fratelli, mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, noi invece annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio.

Infatti ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini.

Vangelo  Gv 2,13-25

Dal vangelo secondo Giovanni

Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!». I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: «Lo zelo per la tua casa mi divorerà».

Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo.

Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.

Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa, molti, vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome. Ma lui, Gesù, non si fidava di loro, perché conosceva tutti e non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza sull’uomo. Egli infatti conosceva quello che c’è nell’uomo.