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Ottavo ciclo

Anno liturgico A (2022-2023)

Tempo Ordinario

XXXI Domenica

(5 novembre 2023)

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Ml 1,14b-2,2b.8-10;  Sal 130 (131);  1Ts 2,7b-9.13;  Mt 23,1-12

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Il brano di vangelo di oggi si inserisce nello scontro tra Gesù e i dirigenti della nazione. I farisei e i capi si sono ritirati a complottare, Gesù nemmeno più parla a loro direttamente; si rivolge alle folle, che ancora per un po’ lo seguono e ai discepoli. Le parole di Gesù sono una perorazione per una devozione sincera, per un discepolato autentico.

La forza delle sue parole deriva da un mistero profondo, che appena si intravede, ma comanda tutto il brano: “Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli” (Mt 23,8). L’allusione è all’evento che Gesù rappresenta nella storia della salvezza: Dio ha tanto amato il mondo da mandare il suo Figlio, Colui nel quale risplende tutto l’amore e la gloria di Dio. Proprio come dice il profeta: “tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande, dice il Signore; poiché io perdonerò la loro iniquità e non mi ricorderò più del loro peccato” (Ger 31,34). Sarà in quel Figlio, dato per noi, che i peccati ci sono perdonati ed è per questo che, essendo tutti perdonati allo stesso titolo, siamo tutti figli allo stesso titolo, fratelli allo stesso titolo. L’esperienza di tutti è la medesima e tutti la impariamo dall’unico Maestro, perciò noi godiamo tutti della stessa dignità, siamo tutti fratelli.

Le parole di Gesù non sono invettive di un riformatore, come leggiamo nel profeta Malachia: “Se non mi ascolterete e non vi darete premura di dare gloria al mio nome, dice il Signore degli eserciti, manderò su voi la maledizione” (Ml 2,2). Il profeta parla ai sacerdoti e ai leviti, ai quali è affidato l’annuncio e la custodia dell’alleanza di Dio per il popolo. Potremmo rendere così il pensiero del profeta: se non fate splendere il suo amore per i suoi figli, liberi da ogni forma di violenza e rivalità, per attirare tutti all’amore del Signore, resterete nei vostri peccati, che vi opprimeranno. Si può, sì, sacrificare a Dio (= offrire una pratica pia) ma guai a presentare un’offerta ingiusta. L’offerta è ingiusta in tre casi: quando ci si attiene a un atto esteriore, allorché l’offerta non è accompagnata dalla conversione del cuore; quando si offre ciò che si è rapinato; quando si dà ciò che si scarta (cfr. Sir. 35). Con queste disposizioni, come accogliere con simpatia e benevolenza i propri fratelli, figli dello stesso Padre?

L’esempio è dato da san Paolo, il quale svela la condizione per cui l’annuncio del vangelo risulterà fecondo di vita. La sua affermazione è potente: “Così, affezionati a voi, avremmo desiderato trasmettervi non solo il vangelo di Dio, ma la nostra stessa vita, perché ci siete diventati cari” (1Ts 2,8). La domanda di un discepolo di Gesù, che voglia annunciare al mondo la grazia del vangelo, non può essere che questa: può una persona accogliere da me l’annuncio del vangelo, se non sente che mi è diventata cara? Da notare che la frase in greco è assai più ‘affettuosa’ della traduzione italiana. Parla di un affetto intenso e di una predilezione goduta. Così la condizione è che si annunci la parola, verso i quali è destinata, per amore, con lo stesso amore con il quale è stata pronunciata. Questo atteggiamento permette di cogliere la parola oltre colui che la riferisce e diventa invito a ricevere la rivelazione del volto di Dio.

Il salmo responsoriale fa rimarcare da dove scaturisce il fatto di non aver bisogno di cercare gloria presso gli uomini. Come ci si dicesse: non c’è alcun motivo di affidarci all’ingiustizia per esaltarci, affannandoci a cercare grandezza e importanza presso gli uomini, se l’anima può riposarsi come un bambino nel suo Dio, che ha misericordia di noi. Si rinuncia a guardare in modo superbo e concupiscente quando si può stare presso il proprio Dio, come un bambino che ha preso il latte e dorme beato fra le braccia della mamma o come un bambino svezzato che sta appoggiato ai seni della mamma solo per goderne la tenerezza. Così, non attribuirsi gloria né cercarla presso alcuno è la conseguenza dell’incontro con Colui che solo è il Maestro, la Guida all’unico Padre di tutti.

Gesù si presenta al mondo, nella sua unicità per il compito messianico di cui è investito, quale ‘Esegeta’ e ‘Guida’ (il termine greco significa formatore, istruttore, precettore, nel senso di guidare in un cammino di vita) all’intima conoscenza del Padre. Gesù riconosce l’ordine di Dio nel ministero di Mosè, come lo riconosce nel ministero della Chiesa. Ma l’uno e l’altro sono finalizzati alla gloria di Dio, che nulla ha a che spartire con la gloria ricercata presso gli uomini. Lui ricerca la gloria di Dio perché fa quel che dice e dice quel che fa, perché conosce quello che fa e fa quello che conosce (cfr. Gv 5,18-23), secondo l’affermazione del prologo di Giovanni; “Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato” (Gv 1,17-18).

Quando Gesù si proclama unico Maestro e Guida è ormai prossimo alla sua passione. In lui si realizzerà quello che in precedenza aveva proclamato: “Venite a me … e io vi darò ristoro” (cfr. Mt 11,28). Sarà riferendosi proprio a questo Maestro, nella stessa dinamica che vive questo Maestro, che i suoi discepoli potranno insegnare o, meglio, annunziare il suo insegnamento. Non ci può essere, per gli uomini, alcun maestro in proprio e se gli uomini accettano un maestro del genere ne patiranno le conseguenze, perché si troveranno impediti nella conoscenza della verità e non potranno più sentirsi tutti fratelli. L’illusione dell’ideologia, che può essere definita come una devozione fasulla, nasce proprio dal fatto che, per imporsi, dovrà dividere gli uomini. Il segno invece della devozione sincera, del collegamento all’unico Maestro di tutti, è dato dal fatto di farmi servo di tutti allo scopo di non dividermi da nessuno. Si innalza chi prende le distanze e Dio prenderà le distanze da lui perché possa imparare a non dividere i suoi figli (cfr. antifona di ingresso: “Non abbandonarmi, Signore, mio Dio, da me non stare lontano; vieni presto in mio aiuto, Signore, mia salvezza”). Ma chi non si divide da nessuno è abitato da Dio, opera con lo Spirito di Dio, risplende della sua gloria tanto che non ha più alcun bisogno di cercarla presso gli uomini. La sua devozione è sincera. È il senso della firma al nostro brano: “Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato”.

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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):

[I testi delle letture sono tratti dal sito della Chiesa Cattolica italiana: chiesacattolica.it]

Prima Lettura  Ml 1,14b-2,2b.8-10

Dal libro del profeta Malachìa

Io sono un re grande – dice il Signore degli eserciti – e il mio nome è terribile fra le nazioni.

Ora  avoi questo monito, o sacerdoti. Se non mi ascolterete e non vi darete premura di dare gloria al mio nome, dice il Signore degli eserciti, manderò su voi la maledizione.

Voi invece avete deviato dalla retta via

e siete stati d’inciampo a molti

con il vostro insegnamento;

avete distrutto l’alleanza di Levi,

dice il Signore degli eserciti.

Perciò anche io vi ho reso spregevoli

e abietti davanti a tutto il popolo,

perché non avete seguito le mie vie

e avete usato parzialità nel vostro insegnamento.

Non abbiamo forse tutti noi un solo padre? Forse non ci ha creati un unico Dio? Perché dunque agire con perfidia l’uno contro l’altro, profanando l’alleanza dei nostri padri?

Salmo Responsoriale  Dal Salmo 130 (131)

R. Custodiscimi, Signore, nella pace.

Signore, non si esalta il mio cuore

né i miei occhi guardano in alto;

non vado cercando cose grandi

né meraviglie più alte di me. R.

Io invece resto quieto e sereno:

come un bimbo svezzato in braccio a sua madre,

come un bimbo svezzato è in me l’anima mia. R.

Israele attenda il Signore,

da ora e per sempre. R.

Seconda Lettura  1Ts 2,7b-9.13

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicési

Fratelli, siamo stati amorevoli in mezzo a voi, come una madre che ha cura dei propri figli. Così, affezionati a voi, avremmo desiderato trasmettervi non solo il vangelo di Dio, ma la nostra stessa vita, perché ci siete diventati cari.

Voi ricordate infatti, fratelli, il nostro duro lavoro e la nostra fatica: lavorando notte e giorno per non essere di peso ad alcuno di voi, vi abbiamo annunciato il vangelo di Dio.

Proprio per questo anche noi rendiamo continuamente grazie a Dio perché, ricevendo la parola di Dio che noi vi abbiamo fatto udire, l’avete accolta non come parola di uomini ma, qual è veramente, come parola di Dio, che opera in voi credenti.

Vangelo  Mt 23,1-12

Dal vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo:

«Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito.

Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente.

Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo.

Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato».