Ottavo ciclo
Anno liturgico A (2022-2023)
Tempo Ordinario
XIII Domenica
(2 luglio 2023)
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2Re 4,8-11.14-16a; Sal 88 (89); Rm 6,3-4.8-11; Mt 10,37-42
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Gesù si dilunga nelle raccomandazioni ai suoi apostoli inviati in missione. Li aveva appena invitati a confessarlo apertamente al mondo senza paura. E di fronte alle inevitabili resistenze che incontreranno, non si facciano illusioni. Così rincara la dose: “Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; sono venuto a portare non pace, ma spada. Sono infatti venuto a separare l’uomo da suo padre e la figlia da sua madre e la nuora da sua suocera; e nemici dell’uomo saranno quelli della sua casa” (Mt 10, 34-36). Sono i versetti che precedono il brano evangelico proclamato oggi.
Gesù parla da profeta. E i rimandi sono tutti profetici, nel senso che le sue parole sono intessute di reminiscenze scritturistiche che danno ad esse una consistenza e profondità particolari. “Chi ama padre o madre più di me non è degno di me …” fino a “chi avrà perduto la propria vita per causa mia la troverà”. È tirata in ballo la profezia di Michea sulla corruzione inarrestabile che dilaga nel popolo: “L’uomo pio è scomparso dalla terra, non c’è più un giusto fra gli uomini: tutti stanno in agguato per spargere sangue; ognuno con la rete dà la caccia al fratello…. Il figlio insulta suo padre, la figlia si rivolta contro la madre, la nuora contro la suocera e i nemici dell’uomo sono quelli di casa sua” (Mi 7,2.6). Gesù la commenta con la benedizione dei figli di Levi (cfr Dt 33), in rapporto all’atteggiamento avuto a fianco di Mosè, che aveva decretato la purificazione del popolo dopo il peccato del vitello d’oro mettendo a morte tutti i trasgressori. Dei figli di Levi si dice: “Disse loro: «Dice il Signore, il Dio d’Israele: “Ciascuno di voi tenga la spada al fianco. Passate e ripassate nell’accampamento da una porta all’altra: uccida ognuno il proprio fratello, ognuno il proprio amico, ognuno il proprio vicino”». I figli di Levi agirono secondo il comando di Mosè e in quel giorno perirono circa tremila uomini del popolo” (Es 32,27-28).
L’esempio profetico è illustrato per sottolineare che, se la salvezza viene da Dio, allora vale la pena riferirsi a Dio in modo assoluto, senza assommargli anche i nostri interessi. Tanto più che l’assolutezza di Dio è compresa nei termini di una compassione viscerale, eterna, per i suoi figli, di cui cerca la comunione perché godano con lui del Bene di cui li investe.
Ed è per questo che la seconda parte del brano illustra la dignità e l’onore che Gesù riserva ai suoi discepoli. Gesù non si confonde solo con il ‘povero’ a cui il vangelo va annunciato; si confonde pure con il discepolo che manda ad annunciare tanto da promettere che chiunque tratterà con onore il suo discepolo, riceverà la ricompensa stessa del discepolo.
Noi potremmo spiegare così. In rapporto al mistero del regno di Dio che è venuto ad annunciare e a realizzare, tutto il resto è secondario, perfino gli affetti più naturali e oggetto del comandamento di Dio. Anche Gesù si è trovato nella circostanza se preferire i legami familiari di parentela o l’ardore per il regno. Chiara la sua scelta: chi fa la volontà del Padre mio, questi è madre, fratello e sorella per me. Quando racconta le parabole del regno, la sottolineatura evidente è: entrare nella familiarità con Gesù significa stabilire un legame ancora più forte dei legami di sangue. È il mistero dell’alleanza svelato nelle sue radici di intimità che portano pienezza al cuore dell’uomo, tanto che non si resterà più chiusi nella cerchia della propria parentela, ma si accoglierà ogni uomo nella parentela con il Figlio di Dio. Tutto questo però ha un costo perché, quando i due movimenti entreranno in conflitto, il cuore deve saper scegliere. Di quale dignità si vuol godere? Risuonano qui le espressioni del vangelo di Matteo: “Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta … se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli” (Mt 6,33; 5,20).
L’invito: “Chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me” lo riprenderà allargando a tutti l’ammonizione a Pietro dopo la confessione di Cesarea: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Mt 16,23-24). Il prendere la croce ha a che fare con il voler essere discepolo di Gesù, con il voler stare dove lui sta, con l’andare dove lui va. Non si tratta di pazientare con la propria croce, ma di cogliere il segreto che regge questo invito: cosa cerchi? per quale tesoro ti angosci? Si tratta di cogliere la promessa che sta racchiusa in ogni parola di Gesù: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo” (Mt 25,34). Il prendere la croce vuol dire portare ogni cosa in vista di godere di quel regno, non nell’attesa del regno che verrà, ma del regno che è davanti a noi, che è alla nostra portata, perché Gesù ce lo apre. Così il discepolo rinuncia a tutti i beni, non nel senso che non ne gode, ma nel senso che non li preferisce all’amore di Gesù, nel senso che non ne fa motivo di ira e tristezza se gli vengono tolti pur di custodire la sequela di Gesù. Senza percepire però la verità e l’emozione interiore della promessa del regno non sarà possibile prendere la propria croce e andar dietro Gesù.
San Paolo, per riassumere la sapienza evangelica, che suona paradossale alle nostre orecchie, non troverà di meglio che definirla così: “La parola della croce infatti è stoltezza per quelli che si perdono, ma per quelli che si salvano, ossia per noi, è potenza di Dio … Infatti ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini” (1Cor 1,18.25). Di modo che: “Quanto a me invece non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo” (Gal 6,14). Da intendere: nel mondo non c’è nulla da preferire all’amore di Gesù e in me non c’è nulla che può essere portato a compimento se disattende o mortifica l’amore di Gesù.
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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):
[I testi delle letture sono tratti dal sito della Chiesa Cattolica italiana: chiesacattolica.it]
Prima Lettura 2Re 4,8-11.14-16a
Dal secondo libro dei Re
Un giorno Eliseo passava per Sunem, ove c’era un’illustre donna, che lo trattenne a mangiare. In seguito, tutte le volte che passava, si fermava a mangiare da lei.
Ella disse al marito: «Io so che è un uomo di Dio, un santo, colui che passa sempre da noi. Facciamo una piccola stanza superiore, in muratura, mettiamoci un letto, un tavolo, una sedia e un candeliere; così, venendo da noi, vi si potrà ritirare».
Un giorno che passò di lì, si ritirò nella stanza superiore e si coricò. Eliseo disse [a Giezi, suo servo]: «Che cosa si può fare per lei?». Giezi disse: «Purtroppo lei non ha un figlio e suo marito è vecchio». Eliseo disse: «Chiamala!». La chiamò; ella si fermò sulla porta. Allora disse: «L’anno prossimo, in questa stessa stagione, tu stingerai un figlio fra le tue braccia».
Salmo Responsoriale Dal Salmo 88 (89)
R. Canterò per sempre l’amore del Signore.
Canterò in eterno l’amore del Signore,
di generazione in generazione
farò conoscere con la mia bocca la tua fedeltà,
perché ho detto: «È un amore edificato per sempre;
nel cielo rendi stabile la tua fedeltà». R.
Beato il popolo che ti sa acclamare:
camminerà, Signore, alla luce del tuo volto;
esulta tutto il giorno nel tuo nome,
si esalta nella tua giustizia. R.
Perché tu sei lo splendore della sua forza
e con il tuo favore innalzi la nostra fronte.
Perché del Signore è il nostro scudo,
il nostro re, del Santo d’Israele. R.
Seconda Lettura Rm 6,3-4.8-11
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani
Fratelli, non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte?
Per mezzo del battesimo dunque siamo stati sepolti insieme a lui nella morte affinché, come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova.
Ma se siamo morti con Cristo, crediamo che anche vivremo con lui, sapendo che Cristo, risorto dai morti, non muore più; la morte non ha più potere su di lui. Infatti egli morì, e morì per il peccato una volta per tutte; ora invece vive, e vive per Dio. Così anche voi consideratevi morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù.
Vangelo Mt 10,37-42
Dal vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù disse ai suoi apostoli:
«Chi ama padre o madre più di me non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me non è degno di me; chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me.
Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà.
Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato.
Chi accoglie un profeta perché è un profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto perché è un giusto, avrà la ricompensa del giusto.
Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d’acqua fresca a uno di questi piccoli perché è un discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa».