Ottavo ciclo
Anno liturgico A (2022-2023)
Solennità e feste
Corpus Domini
(11 giugno 2023)
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Dt 8,2-3.14b-16a; Sal 147; 1Cor 10,16-17; Gv 6,51-58
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L’origine di questa festa, propria dell’Occidente latino, va messa in rapporto con il possente risveglio della devozione eucaristica che dal secolo XII in poi si sviluppò, accentuando particolarmente la presenza reale di Cristo nel sacramento e quindi la sua adorazione. Furono le visioni di Giuliana di Cornillon, monaca agostiniana di Liegi, ad avere un influsso decisivo nell’introduzione della festività, che per la prima volta si celebrò nella diocesi di Liegi nel 1247. Urbano IV, già arcidiacono di Liegi e confessore di Giuliana, la prescrisse per tutta la Chiesa nel 1264. Qui, a Capriata d’Orba, si può vedere un segno del passaggio di s. Bernardino da Siena, grande predicatore e fautore della devozione eucaristica nel sec. XV. Sulla parete di un cascinale troneggia il suo stemma a raggiera raffigurante l’ostia eucaristica con la scritta IHS: Iesus hominum salvator (Gesù salvatore degli uomini).
Quando s. Agostino si domanda quale sia la virtù specifica dell’Eucarestia, non può che rispondere: “La virtù propria di questo nutrimento è quella di produrre l’unità, affinché, ridotti ad essere il corpo di Cristo, divenuti sue membra, siamo ciò che riceviamo”. In effetti, quando ci accostiamo alla comunione eucaristica, l’amen che il fedele risponde non significa: sì, credo che quel pezzo di pane sia il corpo di Cristo, ma, più in verità: sì, so che faccio parte di quel corpo e accetto di vivere come un corpo solo!
La sottolineatura è che, mangiando il Corpo di Cristo, rimaniamo in lui e lui in noi, con il corollario evidente che, rimanendo in lui, rimaniamo nel suo amore, cioè nell’amore del Padre per noi che la sua venuta tra noi ha rivelato nella sua umanità. L’essere uno in Cristo, il rimanere in lui come lui rimane in noi, esprime tutta l’intensità e la profondità dell’unione del discepolo con il suo Maestro nella stessa dinamica di vita che lo caratterizza: inviato per mostrare la grandezza dell’amore del Padre e per fare di tutti un’unica famiglia. Se la chiesa prega per l’unità e per la pace è perché la pace riguarda la dimensione di quell’unità nella storia, nel senso che tutti gli uomini sono fratelli perché l’unico pane è per l’unico corpo. Il ‘vero pane’ disceso dal cielo, come Gesù dichiara nel vangelo, ha lo scopo di nutrire, vale a dire portare vita, accrescere la vita, renderci partecipi della sua potenza di ‘eternità’. Da non intendere: per ereditare domani la vita eterna in paradiso, ma: per avere oggi la qualità eterna della vita come splendore di amore immortificabile.
Il vangelo esprime questa tensione con termini estremamente realistici. Noi traduciamo: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, rimane in me e io in lui”. In realtà, il testo dice: ‘chi mastica la mia carne’. Esprime il realismo del mangiare. Già l’espressione di Gesù sembra irricevibile (in effetti, nel brano di Gv 6, i farisei respingono la cosa), ma l’accentuazione realistica la rende ancora più assurda. L’accentuazione sottolinea la veridicità del mistero, il realismo del mistero. Come comprenderlo?
Il mangiare allude al partecipare alla dinamica che fa la vita ‘eterna’. Potremmo spiegare così. Chi mangia il corpo di Gesù, che si è consegnato nelle mani degli uomini perché fosse nota la grandezza dell’amore del Padre, resta abilitato, come Gesù e in Gesù, a consegnarsi a sua volta perché quell’amore, che l’ha conquistato, splenda nel mondo e lo trasfiguri (in effetti Gesù non dice solo che lui è il pane vivo, ma che è il pane disceso dal cielo e che lui darà per la vita del mondo), in modo da far entrare la concretezza della vita quotidiana nel movimento dell’amore divino. Questo significa vivere per il regno, secondo l’espressione programmatica di Gesù: “Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta” (Mt 6,33).
In questo senso il riferimento alla manna e al suo significato nel racconto del Deuteronomio resta essenziale. La liberazione dalla schiavitù aveva comportato un periodo di umiliazione e di prova perché emergesse la verità dei cuori. Vale a dire, se fossero davvero disposti a seguire il loro Dio, a fidarsi di lui (ecco il segno della manna), a adorare solo lui. Mosè dice loro di tenere a mente, di fare memoria che in realtà non si tratta tanto di essere soddisfatti nella fame materiale (non sparire come popolo) ma di essere nutriti della parola che esce dalla bocca di Dio (vivere nella e della santità di Dio). È come se ricordasse loro l’emozione delle origini quando Dio era intervenuto, quando Dio aveva fatto sentire la sua voce, quando Dio si è messo alla guida del popolo tramite Mosè.
L’eucaristia è entrare nell’emozione delle origini per il cammino tormentato della vita. È fare memoria della grazia delle origini, così potente da inglobare tutto il cammino nella sua luce e nella sua energia di vita. Il mangiare l’eucaristia, il corpo di Cristo dato per noi, vuol dire ricevere sostentamento ed energia per realizzare quello che significa: diventare un corpo solo, a immagine della comunità dei santi uniti nella lode dell’amore sovrano di Dio. È l’eucarestia, come dice s. Francesco, a comunicare al cuore dell’uomo credente, che fa affidamento alla logica che viene dall’alto, la potenza di una memoria, di una intelligenza e di un sentimento per un amore grande che ci ha toccati, per Colui che si è rivelato al nostro cuore come capace di amore per noi. Sperimentando questo, allora le sue parole, il suo agire ed il suo soffrire, si impastano con il nostro, lo lievitano e, mossi ormai dalla sua stessa dinamica di vita, impariamo a stare solidali con tutti, in quell’umanità che ci rende un unico corpo, un corpo solo con il nostro Dio.
Come i farisei di allora, anche noi mettiamo avanti le nostre resistenze, le nostre perplessità. Perché, quello che appare così tanto desiderabile, spesso non convince i nostri cuori nel viverne tutte le implicazioni nella vita concreta? Se rileggiamo tutto il capitolo 6 di Giovanni riusciamo a intuire la natura di questa difficoltà. Gesù si presenta come il pane disceso dal cielo, ma gli ascoltatori, che pure avevano goduto del miracolo della moltiplicazione dei pani, sono incapaci di riconoscere nel concreto la via di Dio che a loro si sta rivelando. Perché, pur desiderando la vita, non l’accolgono? Forse la risposta va cercata proprio in quel movimento di discesa che caratterizza l’agire di Dio. Il discendere dal cielo non indica semplicemente la provenienza di Gesù; indica piuttosto il movimento dell’abbassarsi di Dio per comunicare il suo amore e far vivere. Gli uomini non amano abbassarsi, benché vogliano la vita e desiderino l’amore. Pensano sempre in termini di grandezza, ma mondana, dove il potente prevale sul debole, il grande la spunta sul piccolo e l’affermazione di sé è una questione di innalzamento. Gesù invece, quando parla di innalzamento, allude sempre al suo essere innalzato sulla croce, cioè al suo abbassamento, perché è lì che risplende l’amore di Dio per l’uomo.
Il dimorare in Gesù, mangiando la sua carne e bevendo il suo sangue, allude al rimanere in questo movimento di discesa per essere testimoni dello splendore dell’amore di Dio in mezzo agli uomini, non avendo altro tesoro più prezioso da custodire. Dovremmo imparare a collegare il mangiare e il rimanere in funzione della manifestazione al mondo dell’amore di Dio.
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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):
[I testi delle letture sono protetti dal © Libreria Editrice Vaticana e ne è vietata la riproduzione, anche parziale e con qualsiasi mezzo]
Prima Lettura Dt 8,2-3.14b-16a
Dal libro del Deuteronòmio
Mosè parlò al popolo dicendo:
«Ricòrdati di tutto il cammino che il Signore, tuo Dio, ti ha fatto percorrere in questi quarant’anni nel deserto, per umiliarti e metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore, se tu avresti osservato o no i suoi comandi. Egli dunque ti ha umiliato, ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di manna, che tu non conoscevi e che i tuoi padri non avevano mai conosciuto, per farti capire che l’uomo non vive soltanto di pane, ma che l’uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore.
Non dimenticare il Signore, tuo Dio, che ti ha fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile; che ti ha condotto per questo deserto grande e spaventoso, luogo di serpenti velenosi e di scorpioni, terra assetata, senz’acqua; che ha fatto sgorgare per te l’acqua dalla roccia durissima; che nel deserto ti ha nutrito di manna sconosciuta ai tuoi padri».
Salmo Responsoriale Dal Sal 147
R. Loda il Signore, Gerusalemme.
Celebra il Signore, Gerusalemme,
loda il tuo Dio, Sion,
perché ha rinforzato le sbarre delle tue porte,
in mezzo a te ha benedetto i tuoi figli. R.
Egli mette pace nei tuoi confini
e ti sazia con fiore di frumento.
Manda sulla terra il suo messaggio:
la sua parola corre veloce. R.
Annuncia a Giacobbe la sua parola,
i suoi decreti e i suoi giudizi a Israele.
Così non ha fatto con nessun’altra nazione,
non ha fatto conoscere loro i suoi giudizi. R.
Seconda Lettura 1Cor 10,16-17
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi
Fratelli, il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo?
E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo?
Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all’unico pane.
Vangelo Gv 6,51-58
Dal vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse alla folla:
«Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».