Ottavo ciclo
Anno liturgico A (2022-2023)
Tempo Ordinario
VI Domenica
(12 febbraio 2023)
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Sir 15,15-20; Sal 118 (119); 1Cor 2,6-10; Mt 5,17-37
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Nella tradizione ebraica si trova questa affermazione: “La Torà che si impara in questo mondo non è nulla in confronto alla Torà del Messia” (Midrash Qohelet 11,8). Il vangelo di Matteo interpreta la Legge con gli occhi di Gesù perché Gesù è la Torà vivente. Benché il suo insegnamento sia riportato con una serie di antitesi: “Avete inteso che fu detto … ma io vi dico”, non si tratta di contrapporre Antico e Nuovo Testamento. Gesù parla di compimento, di pienezza. Cosa significa? L’insegnamento di Gesù consiste nello sviscerare quello antico, interpretandolo secondo l’autorità che aveva all’origine. Risale all’intenzione stessa di Dio nel dare la Torà.
È caratteristico che la finestra di luce per cogliere il vangelo nella sua portata di rivelazione sia costituito dalla lode che Gesù innalza al Padre vedendo i suoi discepoli tornare contenti dopo la predicazione: “Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché ai piccoli hai rivelato i misteri del regno” (Mt 11,25). Sta dicendo loro che la gioia che provano non dipende dalla grandezza delle opere compiute, ma dal vivere la comunione con Dio che vuole la salvezza di tutti. Tale principio di comunione non tiene in alcun conto la grandezza degli uomini, tanto che quando Gesù dovrà svelare il suo destino di Messia annunciando la sua passione si premurerà di tenere i suoi discepoli al riparo da ogni meschina grandezza, così ambita dagli uomini. La cosa è ribadita nel brano evangelico di oggi dicendo che gli uomini, davanti a Dio, non saranno grandi se faranno cose grandi, ma se terranno aperte le cose piccole, ogni cosa più piccola, al mistero del Regno, alla percezione del Regno. Quello che vale per le Scritture, vale anche per la nostra vita.
Unico è il principio di fondo, riconducibile all’eccedenza del vangelo rispetto alla legge: “se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli” (Mt 5,20). Potremmo interpretare così. Cercare di arrampicarsi fino al cielo con l’esibizione delle proprie opere è fatica vana. In altri termini: cercare semplicemente di essere irreprensibili non porta alla gioia. E siccome il regno dei cieli è la condivisione della gioia di Dio che si appressa all’uomo attirandolo a sé, inondandolo del suo amore e indirizzandolo a vivere di quell’amore verso tutti, pensare alla propria irreprensibilità è fatica sprecata. Le parole del Signore, i suoi comandamenti, non sono semplici ingiunzioni o precetti alla cui osservanza è promessa la nostra beatitudine futura. Sono assai di più, sono rivelazione di Lui, modalità di partecipazione alla stessa vita divina, spazi di comunione con lui e con i fratelli, luoghi di intimità. Gesù allude sempre nel suo annuncio del Regno a una eccedenza, a una sovrabbondanza rispetto alla giustizia che cerchiamo con le nostre opere. In effetti, il senso della nostra vita si gioca non nel fare il bene, ma nel farlo per entrare nel segreto di Dio. È un’intimità, che fa vivere la vita dentro un’obbedienza e un’alleanza che sperimentiamo a nostro favore; un’intimità capace di riempire il cuore, di rendere la vita degna di essere vissuta.
In questa luce, la ‘giustizia superiore’ alla quale Gesù invita i suoi discepoli non si riferisce ad opere diverse da quelle comandate in precedenza, come esistesse un’opera maggiore rispetto a quelle di prima, ma alla capacità di percezione e alla fedeltà all’intenzione segreta di Dio a cui le opere richieste rimandano. Il ‘compimento’ di cui parla Gesù non allude all’aggiunta di qualcosa, ma alla radicalità dell’esperienza che rimanda direttamente a Dio e alla sua rivelazione. Il compimento di Gesù, che risalterà in tutto il suo splendore con la sua passione e morte, mostra la profondità di provenienza dei comandamenti e la bellezza della promessa di Dio racchiusa nei comandamenti perché l’uomo possa finalmente godere della comunione con il suo Dio, dentro un’umanità solidale, e non semplicemente ‘tenerlo buono’ con la propria giustizia, dal momento che la propria giustizia non fa splendere il cuore.
Così, gli esempi che Gesù porta dicono ciò che conta nell’osservanza dei comandamenti, cioè la tensione del cuore. Non basta non uccidere fisicamente per non essere condannati davanti a Dio. Se il cuore coltiva l’ira contro il proprio fratello, non sarà mai luminoso. I padri del deserto hanno ben interpretato il senso di questi versetti: hai offeso tuo fratello? L’hai ucciso! È la radicalizzazione dell’amore ottenuto con la vigilanza sul cuore per custodirlo nella mitezza e rapportarsi al fratello nella benevolenza di Dio. La stessa cosa vale per la preghiera. Sarebbe vano cercare di tirare Dio dalla nostra parte facendo valere le nostre ragioni. Dio accorre in un cuore che splende della benevolenza verso il prossimo. D’altra parte, quella luminosità non si può ottenere se non si è in armonia con il proprio mondo interiore. È il detto sul mettersi d’accordo con il proprio avversario prima del giudizio. Detto, che i Padri hanno sempre interpretato nel senso di non fare mai nulla contro la propria coscienza, che agisce come il nostro accusatore. Fare armonia significa vivere unificati e solo a questo livello non si è passibili di giudizio.
Anche rispetto all’adulterio vale la stessa osservazione. Senza la purità dello sguardo, il cuore non può restare puro. Purità, che si ottiene con la rinuncia a un certo uso dei sensi esteriori per non atrofizzare il senso interiore. È l’esemplificazione paradossale dell’invito: rinnega te stesso! Ma siccome Gesù ha di mira la tensione del cuore, il valore dell’invito non può essere negativo. Gli atti negativi non hanno plausibilità per il cuore. L’invito significa invece: fai spazio a ciò che davvero conta, fai crescere ciò che risponde al desiderio profondo del cuore, sii creativo nel bene e non semplicemente negatore del male. Come l’antica colletta ben esprime: “O Dio, che hai promesso di essere presente in coloro che ti amano e con cuore retto e sincero custodiscono la tua parola, rendici degni di diventare tua stabile dimora”.
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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):
[I testi delle letture sono tratti dal sito della Chiesa Cattolica italiana: chiesacattolica.it]
Prima Lettura Sir 15,15-20
Dal libro del Siràcide
Se vuoi osservare i suoi comandamenti, essi ti custodiranno;
se hai fiducia in lui, anche tu vivrai.
Egli ti ha posto davanti fuoco e acqua:
là dove vuoi tendi la tua mano.
Davanti agli uomini stanno la vita e la morte, il bene e il male:
a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà.
Grande infatti è la sapienza del Signore;
forte e potente, egli vede ogni cosa.
I suoi occhi sono su coloro che lo temono,
egli conosce ogni opera degli uomini.
A nessuno ha comandato di essere empio
e a nessuno ha dato il permesso di peccare.
Salmo Responsoriale Dal Salmo 118 (119)
R. Beato chi cammina nella legge del Signore.
Beato chi è integro nella sua via
e cammina nella legge del Signore.
Beato chi custodisce i suoi insegnamenti
e lo cerca con tutto il cuore. R.
Tu hai promulgato i tuoi precetti
perché siano osservati interamente.
Siano stabili le mie vie
nel custodire i tuoi decreti. R.
Sii benevolo con il tuo servo e avrò vita,
osserverò la tua parola.
Aprimi gli occhi perché io consideri
le meraviglie della tua legge. R.
Insegnami, Signore, la via dei tuoi decreti
e la custodirò sino alla fine.
Dammi intelligenza, perché io custodisca la tua legge
e la osservi con tutto il cuore. R.
Seconda Lettura 1 Cor 2,6-10
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi
Fratelli, tra coloro che sono perfetti parliamo, sì, di sapienza, ma di una sapienza che non è di questo mondo, né dei dominatori di questo mondo, che vengono ridotti al nulla. Parliamo invece della sapienza di Dio, che è nel mistero, che è rimasta nascosta e che Dio ha stabilito prima dei secoli per la nostra gloria.
Nessuno dei dominatori di questo mondo l’ha conosciuta; se l’avessero conosciuta, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria.
Ma, come sta scritto:
«Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì,
né mai entrarono in cuore di uomo,
Dio le ha preparate per coloro che lo amano».
Ma a noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito; lo Spirito infatti conosce bene ogni cosa, anche le profondità di Dio.
Vangelo Mt 5,17-37
Dal vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto. Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli.
Io vi dico infatti: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli.
Avete inteso che fu detto agli antichi: “Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio”. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: “Stupido”, dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: “Pazzo”, sarà destinato al fuoco della Geènna.
Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono.
Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione. In verità io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo!
Avete inteso che fu detto: “Non commetterai adulterio”. Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore.
Se il tuo occhio destro ti è motivo di scandalo, cavalo e gettalo via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geènna. E se la tua mano destra ti è motivo di scandalo, tagliala e gettala via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geènna.
Fu pure detto: “Chi ripudia la propria moglie, le dia l’atto del ripudio”. Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, eccetto il caso di unione illegittima, la espone all’adulterio, e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio.
Avete anche inteso che fu detto agli antichi: “Non giurerai il falso, ma adempirai verso il Signore i tuoi giuramenti”. Ma io vi dico: non giurate affatto, né per il cielo, perché è il trono di Dio, né per la terra, perché è lo sgabello dei suoi piedi, né per Gerusalemme, perché è la città del grande Re. Non giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello. Sia invece il vostro parlare: “sì, sì”, “no, no”; il di più viene dal Maligno».