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Settimo ciclo

Anno liturgico C (2021-2022)

Tempo Ordinario

XXVI Domenica

(25 settembre 2022)

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Am 6,1a.4-7;  Sal 145 (146);  1 Tm 6,11-16;  Lc 16,19-31

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Il canto al vangelo ci introduce splendidamente nel senso della parabola di Gesù: “Gesù Cristo da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà” (2Cor 8,9). Paolo sta organizzando la colletta per la comunità di Gerusalemme in ristrettezze e invita i Corinzi a parteciparvi con generosità. La ragione però che spinge a questa generosità è definita così: “Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo”. È il mistero di Cristo che viene assunto, nello splendore d’amore che testimonia, a giustificare la premura per il prossimo quanto alla condivisione dei beni.

Esattamente l’opposto del ricco della parabola, che di quella premura nemmeno conosce la parola e gli atteggiamenti del cuore corrispondenti. Un particolare della parabola è particolarmente illuminante. Viene narrato che il ricco ‘alza gli occhi’ quando si trova negli inferi, nei tormenti. Non l’ha mai fatto prima. Non si era mai accorto prima di Lazzaro. Non per cattiveria (il ricco dispone di buoni sentimenti verso i suoi fratelli perché chiede ad Abramo che vengano risparmiati dal fuoco purificatore) ma per l’opulenza che annebbia, che fa stare riversi su di sé, che non permette di vedere altro. Proprio come dice la Scrittura: “nella prosperità l’uomo non comprende, è simile alle bestie che muoiono” (Sal 49,21). Colpito dalla terribile minaccia di chi si affida agli idoli ai quali si inchina: “Diventi come loro chi li fabbrica e chiunque in essi confida!” (Sal 115,8; 135,18). In questo senso, la dichiarazione di Abramo è particolarmente pertinente: “Figlio, ricordati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i [‘suoi’ – ma nel testo greco non c’è] mali”. Quei beni li ha creduti suoi, ne è stato occupato, non ha colto la mano che glieli dava né lo scopo per cui gli erano dati e così si è confuso con quelli, e come quelli è perito. Non ha compreso nulla. Non ha visto nulla.

Altri particolari della parabola inducono a medesimi pensieri. Il povero ha un nome, il ricco è confuso con la sua ricchezza, ricchezza che finisce per esaltare la sua vacuità quando, parlando della morte, Lazzaro è condotto nel seno di Abramo, mentre il ricco è sepolto, vale a dire il senso della sua vita sta racchiuso nella vacuità di un’apparenza, un sepolcro pur splendido. Quella distanza che c’è tra chi sta nel seno di Abramo e chi sta negli inferi è a immagine della distanza che si vive nella vita quando si è chiusi nella propria sufficienza e non si vede altro. Con la differenza che ora non è più possibile attraversare, mentre prima era possibile. La conversione è per il tempo della vita, non per dopo. La sottolineatura della parabola è l’invito ad aprire il cuore alla conversione mentre si ha la possibilità e la conversione è presentata in termini di solidarietà con i propri fratelli poveri. S. Agostino dice del ricco: ‘possegga pure, ma non si lasci possedere’. L’uomo ricco, che gode di beni materiali, si arricchirà presso Dio se li condividerà con il povero, in modo che il rendimento di grazie sia solidale. È come dire che la vita si gioca nell’amore e l’amore risulterà dalla dignità di tutti, custodita e favorita con ogni mezzo. Non viene chiesto al ricco di disfarsi della sua ‘ricchezza disonesta’, ma di usarla per provvedere al povero. La parabola non è raccontata per dare consolazione al povero, per invitarlo alla pazienza; è raccontata per svegliare il ricco. La forza del racconto poi non sta nel deterrente di paura (i toni sono pacati e familiari) ma nello svelamento del segreto della vita. In gioco è la fede nel Salvatore che ‘convince’ alla fraternità nella comunione col proprio Dio.

Lazzaro, nel paradiso, è descritto con l’immagine del banchetto messianico, nel posto d’onore, a fianco di Abramo. La scena corrisponde al banchetto dell’ultima Cena con Gesù e Giovanni al suo fianco che può reclinarsi sul suo petto. È la traduzione in immagine dell’affermazione: gli ultimi sono i primi. Qui si vede cosa significa l’espressione più volte ripetuta nei salmi: Dio conosce l’umile.

La conclusione poi della parabola lascia intravedere allusioni misteriose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”. Quando Lazzaro, fratello di Marta e Maria, è stato risuscitato da Gesù, il miracolo non convincerà coloro che erano ostili verso Gesù. Gesù stesso risusciterà, ma di per sé nemmeno questo convincerà. Occorre prima dar credito alla parola di Dio, alla promessa di Dio celata nella sua parola. Declinerei in due tempi la portata di questa affermazione:

a) Dio non si può vedere direttamente. A Lui ci si può aprire accogliendo la sua parola e avendo cura del povero. Non basta però condividere i propri beni; occorre anche aver premura del povero, perché è quella premura che rende preziosa e amabile la condivisione, che risulta così essere segno della fede in Dio, che vuole felici i suoi figli.

b) non si può cogliere la portata del mistero di Gesù, compimento della promessa di Dio per l’umanità, se non riferendosi a tutte le parole della Scrittura, perché tutte di Lui parlano. Da interpretare nel senso dell’espressione di Paolo a Timoteo: “ti ordino di conservare senza macchia e in modo irreprensibile il comandamento fino alla manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo…”. Ogni parola va custodita e accolta, integra e viva, perché praticandola ci sveli il volto del Signore che si è fatto nostro prossimo, vicino a noi e raggiungibile nel nostro vicino. La condizione? La trovo ben espressa in una colletta della messa nel rito ambrosiano: “… conferma in noi la grazia della tua libertà”. Vedere nei comandamenti la possibilità di sperimentare l’amore di Dio per noi e la fraternità con gli uomini comporta il dono di una grande libertà, quella che ci deriva dal Signore Gesù Cristo che, rivelandoci il suo Volto dà anche a noi un volto in cui specchiarsi, riconoscersi e ritrovarsi. È la libertà che il cuore respira quando i suoi pensieri si accostano ai pensieri di Dio, quando i suoi pensieri si intessono con i pensieri di Dio e cade l’illusione di potenza, di sufficienza, di dominio per aprirci orizzonti nuovi e lucidità di visione e calore di rapporti.

In tal senso è particolarmente illuminante il salmo 146, l’inizio dell’Hallel, che gli ebrei recitano nella preghiera quotidiana del mattino. Insieme i salmi 146-150 comportano dieci alleluia, che richiamano le dieci parole della creazione e le dieci parole dei comandamenti. Il tutto nel segno della lode per la verità rivelata: Dio regna per sempre. Il salmo 146 elenca dieci azioni in cui consiste la fedeltà del Signore al suo amore ricco di misericordia, modello per il credente per il suo amore al prossimo.

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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):

[I testi delle letture sono tratti dal sito della Chiesa Cattolica italiana: chiesacattolica.it]

Prima Lettura  Am 6,1a.4-7

Dal libro del profeta Amos

Guai agli spensierati di Sion

e a quelli che si considerano sicuri

sulla montagna di Samaria!

Distesi su letti d’avorio e sdraiati sui loro divani

mangiano gli agnelli del gregge

e i vitelli cresciuti nella stalla.

Canterellano al suono dell’arpa,

come Davide improvvisano su strumenti musicali;

bevono il vino in larghe coppe

e si ungono con gli unguenti più raffinati,

ma della rovina di Giuseppe non si preoccupano.

Perciò ora andranno in esilio in testa ai deportati

e cesserà l’orgia dei dissoluti.

Salmo Responsoriale  Dal Salmo 145 (146)

R. Loda il Signore, anima mia.

Il Signore rimane fedele per sempre

rende giustizia agli oppressi,

dà il pane agli affamati.

Il Signore libera i prigionieri. R.

Il Signore ridona la vista ai ciechi,

il Signore rialza chi è caduto,

il Signore ama i giusti,

il Signore protegge i forestieri. R.

Egli sostiene l’orfano e la vedova,

ma sconvolge le vie dei malvagi.

Il Signore regna per sempre,

il tuo Dio, o Sion, di generazione in generazione. R.

Seconda Lettura  1 Tm 6,11-16

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo a Timòteo

Tu, uomo di Dio, evita queste cose; tendi invece alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza. Combatti la buona battaglia della fede, cerca di raggiungere la vita eterna alla quale sei stato chiamato e per la quale hai fatto la tua bella professione di fede davanti a molti testimoni.

Davanti a Dio, che dà vita a tutte le cose, e a Gesù Cristo, che ha dato la sua bella testimonianza davanti a Ponzio Pilato, ti ordino di conservare senza macchia e in modo irreprensibile il comandamento, fino alla manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo,

che al tempo stabilito sarà a noi mostrata da Dio,

il beato e unico Sovrano,

il Re dei re e Signore dei signori,

il solo che possiede l’immortalità

e abita una luce inaccessibile:

nessuno fra gli uomini lo ha mai visto né può vederlo.

A lui onore e potenza per sempre. Amen.

Vangelo  Lc 16,19-31

Dal vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù disse ai farisei:

«C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe.

Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”.

Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”.

E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».