Settimo ciclo
Anno liturgico C (2021-2022)
Tempo Ordinario
XX Domenica
(14 agosto 2022)
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Ger 38,4-6.8-10; Sal 39(40); Eb 12,1-4; Lc 12,49-53
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La liturgia di oggi abbina il dramma del profeta Geremia a quello di Gesù. Anche per il profeta Geremia, con la sopportazione dell’ingiusta carcerazione e del disprezzo di cui è fatto segno, dovuti alla testimonianza fedele alla parola del Signore in mezzo a un popolo ribelle, si è trattato di un’esperienza di fuoco: “Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre; mi hai fatto violenza e hai prevalso. Sono diventato oggetto di derisione ogni giorno; ognuno si beffa di me. Quando parlo, devo gridare, devo urlare: «Violenza! Oppressione!». Così la parola del Signore è diventata per me causa di vergogna e di scherno tutto il giorno. Mi dicevo: «Non penserò più a lui, non parlerò più nel suo nome!». Ma nel mio cuore c’era come un fuoco ardente, trattenuto nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo” (Ger 20,7-9). Così per Gesù: “Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto!” (Lc 12,49-50).
Gesù svela ai discepoli, rispondendo a Pietro, la tensione interiore che l’attraversa. Aveva appena ricordato loro il dovere del servizio tra fratelli, affidando i segreti del regno. Inaspettatamente, però, rivela anche l’inevitabile ‘divisione’ che contrapporrà perfino parenti legati da profondi affetti. Nel passo parallelo di Matteo, che colloca le parole di Gesù nel contesto della persecuzione nell’annuncio del vangelo, addirittura Gesù dichiara: “Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; sono venuto a portare non pace, ma spada” (Mt 10,34). E poco più avanti: “Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me …”. Come comprendere questi passi rispetto alle più comuni immagini di Gesù portatore di pace, che dà la pace, che è la nostra pace?
Un bellissimo commento di s. Ambrogio spiega la natura del fuoco che Gesù vuol gettare sul mondo: “… l’amore possiede la morte e l’amore possiede la gelosia e ali di fuoco possiede l’amore. Tanto è vero che Cristo, che amava Mosè, gli apparve nel fuoco, e Geremia, che aveva dentro di sé il dono dell’amore di Dio, diceva: ‘E c’era un fuoco ardente nelle mie ossa …’ (Ger 20,9). Buono è dunque l’amore che ha ali di fuoco ardente che vola per il petto e il cuore dei santi e brucia tutto quello che c’è di materiale e di terreno, mentre mette alla prova tutto quello che è puro e migliora con il suo fuoco tutto quello che tocca. Questo fuoco ha mandato in terra il Signore Gesù … Con questo fuoco ha infiammato il cuore dei suoi apostoli come attesta Cleopa, che dice: ‘Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?’ (Lc 24,32). Ali di fuoco sono dunque le fiamme della Scrittura divina. Tanto è vero che Egli svelava il significato recondito delle Scritture e ne usciva il fuoco che penetrava nel cuore di coloro che lo ascoltavano …”.
Nel vangelo apocrifo di Tommaso si riporta una frase suggestiva che antichi Padri ed esegeti moderni pensano essere propria di Gesù: “Chi è vicino a me, è vicino al fuoco e chi è lontano da me, è lontano dal regno”. La spiegazione è data da Origene. L’uomo che, dopo il battesimo, torna a peccare, per essere purificato, deve avvicinarsi a Gesù, il cui amore tormenta il cuore dell’uomo fino a sciogliere con l’ardore del suo fuoco tutto ciò che lo oppone a Lui e ai suoi fratelli. Ma se l’uomo, con il suo peccato, chiuso nella sua vergogna o, per meglio dire, nella sua presunzione, sta lontano da Gesù, allora per lui il Regno risulta inaccessibile e non troverà né libertà né vita.
E a modo di preghiera Ambrogio ancora commenta: “Risplenda la sua immagine nella nostra professione di fede, risplenda nel nostro amore, risplenda nelle opere e nei fatti, in modo che, se possibile, tutto l’aspetto di Cristo si esprima in noi. Sia lui la nostra testa … lui il nostro occhio … sia lui la nostra voce, perché per mezzo di lui possiamo parlare al Padre; sia lui la nostra mano destra perché per mezzo suo possiamo portare al Padre il nostro sacrificio …” [Isacco o l’anima, 8,75.77]. Come proclama l’orazione dopo la comunione: “[…] trasformaci a immagine del tuo Figlio […]”.
Del fuoco di Dio si dice che è ‘divorante’ o ‘divoratore’ (Dt 4,24; Eb 12,29). Il fuoco di Dio è divoratore delle divisioni del nostro cuore, divisioni che causano dispersione, duplicità, menzogna, chiusure e quant’altro c’è di cattivo nel cuore che gli impediscono di essere tutto unito e compatto, teso ad un unico desiderio, capace di essere solidale con il suo Dio e con i suoi fratelli, con ogni energia libera per essere impiegata a tale scopo. Il cuore si unifica col fuoco: questa è la verità. E soprattutto questa è la verità del nostro Dio. Lo sperimentiamo anche nella vita psicologica e affettiva: quanto più una passione è forte, più tende a compattare tutto il nostro cuore. Con la differenza che se il cuore si compatta per un desiderio che non sia rappresentativo della totalità e profondità delle nostre aspirazioni più vere, cadrà vittima di quel desiderio e risulterà coartato. Alla fine, si sentirà disperso e vuoto.
Se il fuoco di Dio distrugge le divisioni nel nostro cuore, allora vuol dire che il cuore non deve più temere le altre divisioni, sebbene dolorose e non volute. È un discorso duro e non per nulla Gesù parla anche di essere venuto a portare la spada, simbolo appunto delle divisioni. Ma è inevitabile. È la legge dell’amore, del fuoco che arde dentro. La carità non equivale ad una buona intesa; è disposizione al martirio. Lo è stato per Gesù, lo sarà di noi. Ed è una legge di vita. Anzi, la divisione che sembrerà opporti agli altri non è che l’esplicitazione della disponibilità al sacrificio, per amore degli altri, ormai partecipi del mistero della carità divina, del fuoco divino. E anche ogni amore umano degno di questo nome resta attizzato da una scintilla di questo fuoco divino.
L’esperienza però che fa da riferimento a tale disponibilità è l’assicurazione di Gesù: “Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno” (Lc 12,32), parole che precedono tutto il discorso che Gesù sta facendo ai suoi discepoli. Lo stesso fuoco che arde in lui, quel desiderio di cui attende il compimento, non è che in relazione all’azione del suo servizio divino, come aveva stupendamente illustrato con la parabola dell’attesa del padrone quando torna dalle nozze. Fuoco, battesimo, nozze, si riferiscono alla stessa realtà che, tradotta per noi, significa il suo accondiscendere a noi, il suo servirci l’amore del Padre rendendocene partecipi e irradiatori.
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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):
[I testi delle letture sono tratti dal sito della Chiesa Cattolica italiana: chiesacattolica.it]
Prima Lettura Ger 38,4-6.8-10
Dal libro del profeta Geremìa
In quei giorni, i capi dissero al re: «Si metta a morte Geremìa, appunto perché egli scoraggia i guerrieri che sono rimasti in questa città e scoraggia tutto il popolo dicendo loro simili parole, poiché quest’uomo non cerca il benessere del popolo, ma il male». Il re Sedecìa rispose: «Ecco, egli è nelle vostre mani; il re infatti non ha poteri contro di voi».
Essi allora presero Geremìa e lo gettarono nella cisterna di Malchìa, un figlio del re, la quale si trovava nell’atrio della prigione. Calarono Geremìa con corde. Nella cisterna non c’era acqua ma fango, e così Geremìa affondò nel fango.
Ebed-Mèlec uscì dalla reggia e disse al re: «O re, mio signore, quegli uomini hanno agito male facendo quanto hanno fatto al profeta Geremìa, gettandolo nella cisterna. Egli morirà di fame là dentro, perché non c’è più pane nella città». Allora il re diede quest’ordine a Ebed-Mèlec, l’Etiope: «Prendi con te tre uomini di qui e tira su il profeta Geremìa dalla cisterna prima che muoia».
Salmo Responsoriale Dal Salmo 39 (40)
R. Signore, vieni presto in mio aiuto.
Ho sperato, ho sperato nel Signore,
ed egli su di me si è chinato,
ha dato ascolto al mio grido. R.
Mi ha tratto da un pozzo di acque tumultuose,
dal fango della palude;
ha stabilito i miei piedi sulla roccia,
ha reso sicuri i miei passi. R.
Mi ha messo sulla bocca un canto nuovo,
una lode al nostro Dio.
Molti vedranno e avranno timore
e confideranno nel Signore. R.
Ma io sono povero e bisognoso:
di me ha cura il Signore.
Tu sei mio aiuto e mio liberatore:
mio Dio, non tardare. R.
Seconda Lettura Eb 12,1-4
Dalla lettera agli Ebrei
Fratelli, anche noi, circondati da tale moltitudine di testimoni, avendo deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento.
Egli, di fronte alla gioia che gli era posta dinanzi, si sottopose alla croce, disprezzando il disonore, e siede alla destra del trono di Dio.
Pensate attentamente a colui che ha sopportato contro di sé una così grande ostilità dei peccatori, perché non vi stanchiate perdendovi d’animo. Non avete ancora resistito fino al sangue nella lotta contro il peccato.
Vangelo Lc 12,49-53
Dal vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto!
Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione. D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre; si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera».