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Settimo ciclo

Anno liturgico C (2021-2022)

Tempo di Pasqua

V Domenica di Pasqua

(15 maggio 2022)

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At 14,21b-27;  Sal 144 (145);  Ap 21,1-5a;  Gv 13, 31-33a.34-35

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Sono due i termini che veicolano la rivelazione dei brani odierni: l’aggettivo nuovo e l’avverbio come. L’ingresso segnala il canto nuovo; la colletta il fatto che Dio, nel suo Figlio, rinnova gli uomini e le cose; l’Apocalisse rivela: “Ecco, io faccio nuove tutte le cose”; il canto al vangelo e il vangelo: “Vi do un comandamento nuovo … come io ho amato voi …”; l’antifona dopo la comunione parla di vita nuova.

È strano però come il brano evangelico di oggi non riporti nella sua interezza il versetto 33, che suona: “Figlioli, ancora per poco sono con voi; voi mi cercherete ma, come ho detto ai Giudei, ora lo dico anche a voi: dove vado io, voi non potete venire”. Quel ‘dove vado io’ è essenziale per la comprensione del comandamento nuovo: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 14,34). Non solo, ma anche per intendere il ‘nuovo’ in rapporto alla ‘gloria’, perché la gloria di Gesù corrisponde all’amore del Padre che ‘fa nuove tutte le cose’.

Sottolineo subito che il ‘come’ dell’amore non indica uguaglianza, ma intimità. Sarebbe oltremodo presuntuoso immaginare di amare con la stessa radicalità e intensità del Figlio di Dio. Invece – e questa è la promessa di Gesù e non solo il comandamento! – amarci come lui ci ha amati indica da dove pescare questo amore, da dove prende vigore; indica il dinamismo che lo sottende, lo scopo che lo caratterizza, la modalità di compimento che lo esprime. Per questo è importante comprendere a cosa allude Gesù quando dice che dove va lui i discepoli non possono ancora venire. Subito dopo, infatti, interviene Pietro che, protestandogli il suo amore, pronto a morire per lui, si chiede perché non possa subito seguire Gesù.

Gesù allude alla sua morte e risurrezione come rivelazione dell’amore del Padre tanto che, commentando l’uscita di Giuda dal cenacolo, Gesù parla della glorificazione sua e di quella del Padre. Ora, la gloria ha a che fare con lo splendore dell’amore che su tutto sovrasta e tutto ingloba. Gesù, quando dice che dove è lui vuole che anche i suoi discepoli siano, intende: Io sono nell’amore del Padre per voi e se voi restate in me, anche voi partecipate all’intimità e al dinamismo di quello stesso amore. Quell’amore è l’energia dello Spirito che conduce Gesù alla croce nella piena intimità con il Padre e nella piena solidarietà con l’umanità, tanto da trasfigurare la sua morte in radice di vita e di vita eterna, come apparirà nella sua evidenza agli apostoli con il vedere il crocifisso risorto.

Se Pietro non può seguire subito Gesù non è perché, invece che morire per lui, finisce per tradirlo, ma perché Gesù non ha ancora compiuto la sua ‘traversata’ e Pietro non può ancora sapere dove prendere le energie per vivere di quell’amore, che pur gli protesta sinceramente. Solo dopo che Gesù ha mostrato, nella sua umanità, qual è l’intero tragitto della vita, allora anche i discepoli, stando in lui, il Vivente, potranno vivere di quello stesso amore. Il ‘come io ho amato voi’ si può riferire alla descrizione del suo amore all’inizio del racconto della passione: ‘avendo amato i suoi li amò sino alla fine’. In questo senso, il ‘come io vi ho amati’ non si riferisce alla vita di Gesù che gli apostoli avevano in precedenza conosciuto, ma alla vita di Gesù che scaturisce dalla sua morte e risurrezione e di cui i discepoli saranno messi a parte. E se Gesù dà il suo comandamento nuovo dopo che Giuda è uscito e dopo aver lavato i piedi anche a lui, è perché l’amore dei discepoli, come quello di Gesù, deve essere volto a tutti, indistintamente, perché il Padre sia glorificato.

In effetti, la novità del comandamento dell’amore è posta tra la gloria che rifulge in Gesù nel suo farsi dono agli uomini da parte di Dio e il segno che rivela al mondo l’appartenenza dei discepoli al loro Signore. Proprio perché il crocifisso è il re della gloria, non si può non cogliere quella gloria come lo splendore dell’amore che si è riversato sugli uomini e che farà dire agli apostoli: “dobbiamo entrare nel regno di Dio attraverso molte tribolazioni” (At 14,22). Sono le tribolazioni come fatica di fedeltà all’amore, come pazienza dell’amore che non viene meno nelle avversità e nelle afflizioni, come vestito di umiltà che segnala la forza dell’intimità con quel Signore che si è conosciuto e che ci ha conquistati. Di fronte al mondo, invece, quella gloria diventa segno di appartenenza, segno rivelatore e segno attirante: rivelazione di un’esperienza forte di fede nel Cristo, capace di farci vivere e di far desiderare ad altri di vivere secondo quella novità di amore che rinnova alle radici la nostra umanità. Accogliere Gesù significa anche accogliere che in noi si esprima la dinamica di rivelazione che lo caratterizza: mostrare quanto è grande l’amore del Padre per i suoi figli e riunire i figli di Dio dispersi.

È singolare che Gesù non faccia mai comando ai discepoli di amare lui, mentre il comando di amare Dio e amare il prossimo è diretto. Quando allude all’amore per lui, lo suggerisce attraverso le espressioni: ‘se mi amate, osserverete i miei comandamenti’; ‘rimanete nel mio amore’. Verso di lui invece il comando diretto è: ‘credete in me’. Perché? Qui si può comprendere il nocciolo dell’amore di cui Gesù ci fa comando. L’amore vicendevole non rivela la generosità dei cuori, ma l’esperienza dell’incontro con Gesù; l’amore vicendevole parla di Dio che ha toccato il cuore dell’uomo e non dell’uomo che è diventato buono e perciò è in rapporto diretto all’esperienza della fede, quella fede di cui Gesù ci fa comando nei suoi confronti.

Nella visione dell’Apocalisse della Gerusalemme celeste, come il luogo dove l’amore di Dio è gustato e condiviso, risuonano le parole: “Ecco la tenda di Dio con gli uomini! Egli abiterà con loro ed essi saranno suoi popoli ed egli sarà il Dio con loro, il loro Dio” (Ap 21,3). Se all’inizio della creazione l’immagine del paradiso è un giardino dove l’uomo viene collocato, alla fine della storia l’immagine è una città che l’uomo ha contribuito a costruire. L’immagine della città suggerisce che la felicità sta nelle relazioni, sta nella fraternità goduta nell’intimità dell’unico Padre, che ci ha attirati nell’umanità del suo Figlio, perché avessimo la sua vita e la vita in abbondanza. Il paradiso è il compimento del nome di Gesù, l’Emmanuele, il Dio con noi! In questo senso, singolare risuona l’espressione dell’Apocalisse: ‘essi saranno suoi popoli ed egli sarà il Dio con loro, il loro Dio’. È mantenuta la differenza dei popoli e però tutti appartengono all’unico Dio, al Dio che si è rivelato loro come l’unico Dio per tutti loro. Una visione divina dell’umanità!

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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):

[I testi delle letture sono tratti dal sito della Chiesa Cattolica italiana: chiesacattolica.it]

Prima Lettura  At 13,14.43-52

Dagli Atti degli Apostoli

In quei giorni, Paolo e Bàrnaba ritornarono a Listra, Icònio e Antiòchia, confermando i discepoli ed esortandoli a restare saldi nella fede «perché – dicevano – dobbiamo entrare nel regno di Dio attraverso molte tribolazioni».

Designarono quindi per loro in ogni Chiesa alcuni anziani e, dopo avere pregato e digiunato, li affidarono al Signore, nel quale avevano creduto. Attraversata poi la Pisìdia, raggiunsero la Panfìlia e, dopo avere proclamato la Parola a Perge, scesero ad Attàlia; di qui fecero vela per Antiòchia, là dove erano stati affidati alla grazia di Dio per l’opera che avevano compiuto.

Appena arrivati, riunirono la Chiesa e riferirono tutto quello che Dio aveva fatto per mezzo loro e come avesse aperto ai pagani la porta della fede.

Salmo Responsoriale  Dal Salmo 144 (145)

R. Benedirò il tuo nome per sempre, Signore.

Misericordioso e pietoso è il Signore,

lento all’ira e grande nell’amore.

Buono è il Signore verso tutti,

la sua tenerezza si espande su tutte le creature. R.

Ti lodino, Signore, tutte le tue opere

e ti benedicano i tuoi fedeli.

Dicano la gloria del tuo regno

e parlino della tua potenza. R.

Per far conoscere agli uomini le tue imprese

e la splendida gloria del tuo regno.

Il tuo regno è un regno eterno,

il tuo dominio si estende per tutte le generazioni. R.

Seconda Lettura  Ap 21,1-5a

Dal libro dell’Apocalisse di san Giovanni apostolo

Io, Giovanni, vidi un cielo nuovo e una terra nuova: il cielo e la terra di prima infatti erano scomparsi e il mare non c’era più.

E vidi anche la città santa, la Gerusalemme nuova, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo.

Udii allora una voce potente, che veniva dal trono e diceva:

«Ecco la tenda di Dio con gli uomini!

Egli abiterà con loro

ed essi saranno suoi popoli

ed egli sarà il Dio con loro, il loro Dio.

E asciugherà ogni lacrima dai loro occhi

e non vi sarà più la morte

né lutto né lamento né affanno,

perché le cose di prima sono passate».

E Colui che sedeva sul trono disse: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose».

Vangelo  Gv 13,31-33a.34-35

Dal vangelo secondo Giovanni

Quando Giuda fu uscito [dal cenacolo], Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito.

Figlioli, ancora per poco sono con voi. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri.

Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».