WORDPDF

Settimo ciclo

Anno liturgico C (2021-2022)

Tempo di Pasqua

IV Domenica di Pasqua

(8 maggio 2022)

___________________________________________________

At 13, 14.43-52;  Sal 99 (100);  Ap 7, 9.14b-17;  Gv 10, 27-30

___________________________________________________

Gesù riprende, in contesto ostile, ciò che aveva detto ai discepoli a proposito del mistero della sua persona. Si era presentato come colui che entra nell’ovile perché conosciuto, come colui che è la porta delle pecore, come colui che è il buon pastore. Il fulcro di tutte queste immagini è costituito dal fatto che Gesù conosce il Padre e che la sua intima conoscenza è descritta in rapporto al fatto che dà la vita a favore delle pecore, perché le pecore appartengono al Padre. Quando riprende il discorso davanti al gruppo degli oppositori (le sue parole sono introdotte dall’osservazione che i giudei rifiutano di credere e sono seguite dalla volontà di lapidarlo perché interpretano come bestemmia la sua rivelazione) Gesù sottolinea qualcosa di assolutamente singolare. Come dicesse: voi non mi potete capire perché pensate già di conoscere Dio e pretendete di comprendere la sua parola senza nemmeno aver ascoltato la sua voce. In effetti, la cosa straordinaria del parlare di Gesù risalta dal fatto che per comprendere la parola bisogna ascoltare la voce. Gesù non dice: “Le mie pecore ascoltano la mia parola”, ma “Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono”. Si ascolta la voce, prima ancora della parola che questa voce proferisce. Come a dire: se non si accoglie la parola da dentro un’intimità di rapporto (non ci si emoziona per la parola ascoltata, ma per la voce che parla al cuore con quella parola!), a partire dal dono di quell’intimità, non ci si può disporre ad accogliere anche quello che la voce dice (=mi seguono).

L’impedimento ad ascoltare la voce è ben descritto dalla reazione degli apostoli Paolo e Barnaba in sinagoga ad Antiochia, come riportata dalla prima lettura, tratta dagli Atti degli apostoli. Non ci si giudica degni della vita eterna: “… poiché la respingete e non vi giudicate degni della vita eterna …” (At 13,46). Il dramma dell’uomo consiste proprio in un segreto giudizio cattivo su di sé, che nasconde però un cattivo giudizio su Dio: non ci si ritiene degni dei misteri di Dio! Quando l’uomo non accoglie umilmente questa dignità si fa violenza e la eserciterà su tutti: sarà preda del tormento della morte. E il mondo è prostrato dagli effetti di questo tormento. Al contrario, invece, i discepoli sono “pieni di gioia e di Spirito Santo”, gioia che permetterà di attraversare tutte le afflizioni e le contrarietà della vita.  Nel racconto degli Atti la gioia è sempre abbinata allo Spirito Santo e riguarda quasi sempre la gioia nelle afflizioni per il nome di Gesù. Non vogliamo riconoscere che la partecipazione al mistero stesso della vita di Dio e in Dio non dipende minimamente da quello che fa il mondo o da quello che ci fa il mondo. Lo ricordava già il vangelo di Marco: “… non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli … che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto … insieme a persecuzioni” (Mc 10,30).

Lo dichiara a chiare lettere anche il salmo responsoriale, il salmo 99 (100), definendo la situazione del credente: “egli ci ha fatti e noi siamo suoi, suo popolo e gregge del suo pascolo”. L’essere suoi comporta l’essere ‘pieni di gioia e di Spirito Santo’. Ma l’annotazione vale proprio in rapporto al contesto della persecuzione. E la cosa si fa possibile proprio perché il cuore ha ascoltato la voce, ha riconosciuto la grazia del volgersi di Dio a lui. Un antico midrash mette in parallelo due comandamenti contrapposti: ‘Servire il Signore nella gioia’ dice un salmo. Ma un altro passo dice: ‘Servite il Signore con timore’. Spiegava Rabbi Aibu: ‘Quando sei nel mondo sii gioioso, ma quando sei in preghiera abbi timore davanti al Santo – sia benedetto -! Servire il Signore, nel linguaggio biblico, significa appartenere a lui, significa vivere secondo la sua volontà, tanto che comportarsi secondo i suoi comandi equivale a trovare gioia nei suoi comandi. Di conseguenza significa dare gioia agli altri. Questa, infatti, è la gioia del Signore: che quanti aderiscono a lui diano gioia ai loro fratelli e sorelle in umanità!

Con il rimarcare: “noi siamo suo popolo, gregge che egli guida”, non si vuole dire che siamo semplicemente quelli che lui guida individualmente, ma che siamo coloro che hanno in lui una stessa vita e fanno risplendere la fraternità nel mondo come espressione della rivelazione del Padre ai loro cuori.  Riconoscere, con il salmo: “egli ci ha fatti” significa proclamare tutta la dignità dell’uomo di cui il gregge del Signore, che noi siamo, ha la responsabilità di far risplendere in questo mondo nella sua bellezza. Dignità, che è riservata a tutti e che tutti condivideranno nel regno dei cieli, ma che qui, nel mondo, i discepoli del Signore custodiscono per sé e difendono in tutti. La dignità dell’uomo non è basata sull’uomo, ma chi ne ha conosciuto per esperienza di fede il segreto, in Gesù, è chiamato a custodirla per tutti finché a tutti venga svelata. E con il dire: ‘le mie pecore ascoltano la mia voce’, possiamo anche intendere che non semplicemente ascoltano quello che dice, ma sentono che la sua parola e la sua vita confermano tutte le parole della Scrittura e ne svelano il mistero. Ancora, il salmo invita alla lode, alla benedizione, perché la voce, che le pecore [= coloro che si ritengono degni della vita eterna] ascoltano, parla dell’amore che viene loro riversato e che fa vivere in gioiosa fraternità. Fraternità, il cui splendore compare nella visione celeste dell’Apocalisse dove il pastore è l’Agnello e l’Agnello è la fonte della vita, per sempre, per tutti.

Come nessuno ha potuto rapire Gesù dalle mani del Padre, nonostante tutto congiurasse contro questa fedeltà del Figlio al Padre suo, soprattutto nel dramma della passione e della morte in croce, così nessuno potrà rapire i discepoli di Gesù dalle sue mani, per quanto si scateni la violenza degli avversari. Tertulliano dà una bellissima spiegazione dell’invocazione del Padre nostro: ‘dacci oggi il nostro pane quotidiano’: “itaque petendo panem quotidianum perpetuitatem postulamus in Christo et individuitatem a corpore eius”, che potremmo tradurre: quando chiediamo il pane quotidiano, che è Cristo, noi domandiamo di rimanere costantemente e per sempre in Cristo e di non essere mai separati dal suo corpo, cioè di vivere in modo da non stare mai lontani dalla mensa eucaristica e di godere della piena intimità con Lui, in modo da sperimentare compiutamente il mistero della fraternità che da Lui prende origine. Perché è in Cristo che si svela il principio stesso di quella fraternità che nulla può distruggere. Se siamo suoi, di Lui che è il più forte, allora nessuno può rapirci; se prendiamo la vita da Lui, che è il Vivente, Colui sul quale la morte non ha più potere, allora la vita che ci attraversa non cederà davanti a nulla perché non è più soggetta alla morte. Si realizza quello che Gesù aveva cercato di far capire ai suoi avversari: “Io do loro la vita eterna”.

***

I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):

[I testi delle letture sono tratti dal sito della Chiesa Cattolica italiana: chiesacattolica.it]

Prima Lettura  At 13,14.43-52

Dagli Atti degli Apostoli

In quei giorni, Paolo e Bàrnaba, proseguendo da Perge, arrivarono ad Antiòchia in Pisìdia e, entrati nella sinagoga nel giorno di sabato, sedettero.

Molti Giudei e prosèliti credenti in Dio seguirono Paolo e Bàrnaba ed essi, intrattenendosi con loro, cercavano di persuaderli a perseverare nella grazia di Dio.

Il sabato seguente quasi tutta la città si radunò per ascoltare la parola del Signore. Quando videro quella moltitudine, i Giudei furono ricolmi di gelosia e con parole ingiuriose contrastavano le affermazioni di Paolo. Allora Paolo e Bàrnaba con franchezza dichiararono: «Era necessario che fosse proclamata prima di tutto a voi la parola di Dio, ma poiché la respingete e non vi giudicate degni della vita eterna, ecco: noi ci rivolgiamo ai pagani. Così infatti ci ha ordinato il Signore: “Io ti ho posto per essere luce delle genti, perché tu porti la salvezza sino all’estremità della terra”».

Nell’udire ciò, i pagani si rallegravano e glorificavano la parola del Signore, e tutti quelli che erano destinati alla vita eterna credettero. La parola del Signore si diffondeva per tutta la regione. Ma i Giudei sobillarono le pie donne della nobiltà e i notabili della città e suscitarono una persecuzione contro Paolo e Bàrnaba e li cacciarono dal loro territorio. Allora essi, scossa contro di loro la polvere dei piedi, andarono a Icònio. I discepoli erano pieni di gioia e di Spirito Santo.

Salmo Responsoriale  Dal Salmo 99 (100)

R. Noi siamo suo popolo, gregge che egli guida.

Acclamate il Signore, voi tutti della terra,

servite il Signore nella gioia,

presentatevi a lui con esultanza. R.

Riconoscete che solo il Signore è Dio:

egli ci ha fatti e noi siamo suoi,

suo popolo e gregge del suo pascolo. R.

Perché buono è il Signore,

il suo amore è per sempre,

la sua fedeltà di generazione in generazione. R.

Seconda Lettura  Ap 7,9.14b-17

Dal libro dell’Apocalisse di san Giovanni apostolo

Io, Giovanni, vidi: ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide, e tenevano rami di palma nelle loro mani.

E uno degli anziani disse: «Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello. Per questo stanno davanti al trono di Dio e gli prestano servizio giorno e notte nel suo tempio; e Colui che siede sul trono stenderà la sua tenda sopra di loro.

Non avranno più fame né avranno più sete,

non li colpirà il sole né arsura alcuna,

perché l’Agnello, che sta in mezzo al trono,

sarà il loro pastore

e li guiderà alle fonti delle acque della vita.

E Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi».

Vangelo  Gv 10,27-30

Dal vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono.

Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano.

Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».