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Settimo ciclo

Anno liturgico B (2020-2021)

Tempo Ordinario

XXXI Domenica

(31 ottobre 2021)

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Dt 6,2-6;  Sal 17;  Eb 7,23-28;  Mc 12,28b-34

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Quando si proclama la verità di Dio, la prima cosa che il cuore enuncia è la realtà di un Dio fedele al suo amore, che arriva all’uomo nonostante il suo peccato e la sua miseria, capace di tenere insieme la nostra storia. Dio non è un oggetto di conoscenza, ma un Soggetto di relazione. Non si arriva a Dio per via speculativa, ma dentro una storia di salvezza. Più ci si percepisce dentro quella storia di salvezza e più la proclamazione di Dio è assoluta e coinvolgente. Gli antichi commentatori ebrei spiegano la compassione del loro Dio in questi termini: Dio aveva previsto che il suo popolo l’avrebbe rigettato, ma lo volle liberare lo stesso per amore del suo nome; Dio aveva previsto la ribellione del suo popolo, ma anche visto che il suo popolo avrebbe proclamato: “Dio è il mio Dio” (Es 15,2) e “Quanto ha detto il Signore, lo eseguiremo e vi presteremo ascolto” (Es 24,7), commuovendosi davanti al popolo che avrebbe professato l’impegno incondizionato di obbedienza al proprio Dio prima ancora di udire i comandamenti che avrebbe ricevuto. È appunto quel Dio così esperito che merita di essere amato con tutto il cuore e che fonda la possibilità stessa di amare.

L’espressione del Deuteronomio: “Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze” comporta tanti aspetti segreti. Anzitutto ricorda che ‘nostro/mio’ ed ‘unico’ stanno sempre insieme. Tale è l’alleanza.  Secondo la bellissima espressione di Origene tale è la dinamica della nostra crescita spirituale: “Magari venisse concessa anche a me l’eredità di Abramo, Isacco, Giacobbe e divenisse mio il mio Dio allo stesso modo che è diventato Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe, in Cristo Gesù, Signore nostro”. L’amore è una questione di appartenenza nell’intimità, all’opposto dell’appartenenza come possesso, perché l’amore esalta la libertà e la libertà l’amore.

La dichiarazione di Gesù allo scriba costituisce la preghiera quotidiana di ogni ebreo praticante, denominata ‘Shema’, dalla prima parola iniziale: ascolta, Israele! L’ebreo prega Dio dicendo al suo popolo: ascolta!, eco appunto dell’invito di Dio ai suoi figli. La cosa straordinaria è che il nome del popolo contiene il nome di Dio; non solo, ma il nome del popolo finalizza la preghiera a uno scopo ben preciso. Israele è il nome che viene assunto da Giacobbe dopo la lotta con l’angelo. È un nome di benedizione. La lotta con l’angelo era per ottenere la sua benedizione, cioè la manifestazione di Dio. Si danno due etimologie di questo nome a seconda del verbo ebraico a cui si fa riferimento: Israele, colui che combatte con Dio (per ottenere la sua manifestazione, e vince); Israele, colui che ha visto (l’angelo di) JHWH. In ogni caso, il movimento interiore è per la visione, è per la conoscenza in intimità di Dio. L’invito ‘ascolta’ è teso al fatto di conoscere Dio, conoscere il suo amore e coglierlo nella sua azione redentiva nella storia.

Se consideriamo la proclamazione nella concatenazione dei passaggi della sua formulazione dobbiamo distinguere tre punti. Anzitutto: ‘Ascolta’! La Parola di Dio è fondante, la mia esistenza riceve senso da quella Parola, da lì prende vigore il mio cuore. In Dio l’uomo scopre le sue radici. L’atteggiamento che meglio corrisponde, da parte dell’uomo, a questo invito, è la disponibilità ad ascoltare comunque prima di udire che cosa viene detto; a mettere in pratica comunque, prima che ci vengano dette le cose da fare. Proprio come riportavo sopra di Es 24,7.

Poi segue: ‘Il Signore è il nostro Dio’. Prima ancora che possa cogliermi nella mia individualità, devo riconoscermi dentro una pluralità, dentro una comunione, dentro una solidarietà. È il mistero dell’alleanza di Dio con noi che mi precede, dentro il quale mi posso raggiungere e riconoscere e accogliere. Prima c’è quello che Dio ha fatto per noi, poi in quel noi posso sentire anche me che vengo raggiunto dall’agire di Dio.

Quindi: Tu amerai’, cioè finalmente posso rispondere e godere tutta l’intimità di quella alleanza. A questo punto il comandamento non è più un imperativo morale, ma la porta di accesso a un segreto, a un mistero di cui sono chiamato a divenire partecipe. Proprio come conclude Gesù elogiando lo scriba (mi pare l’unica volta in cui i vangeli presentano molto benevolmente la figura di uno scriba!): “Non sei lontano dal regno di Dio”. Noi spesso leggiamo il comandamento dalla parte della paura, del sacrificio, della rinuncia a qualcosa, ma in realtà bisogna imparare a leggerlo dalla parte della passione del cuore, dell’anelito e del desiderio che ci muovono dentro e della possibilità finalmente di viverlo compiutamente. Ma come è possibile se non riusciamo a percepirci prima raggiunti da un’offerta, da un’alleanza, da un amore che ci precede? La ‘scoperta’ della fede in Gesù ci colloca proprio dentro quella prospettiva. È per questo che lo scriba, trovandosi sulla soglia di quella scoperta, viene elogiato.

Del resto, nella risposta di Gesù viene descritto tutto il movimento di intelligenza delle Scritture, che non può non portare a far condividere con tutti quello che ormai è percepito come il tesoro del cuore, per cui dal primo comandamento si passa direttamente al secondo, quello dell’amore del prossimo. Non però nel senso che l’amore per l’uomo è parallelo, per importanza, all’amore per Dio. Ma nel senso che l’amore per l’uomo non sarà totale che a partire dall’amore per Dio. La fede è sempre all’origine della carità, sebbene sia la carità a verificare la sincerità della fede. Così tutta l’opera spirituale, l’opera che procede dallo Spirito e che è tesa a mostrare il mistero della fraternità come rivelazione della presenza di Dio nel mondo, parte dalla condivisione del segreto di Dio in Gesù, si fa comunione di vita con Lui e diventa fonte di vita per tutti. Prima si fa la scoperta di quel che comporta l’incontro col Signore Gesù: “Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero” (Mt 11,28-30); poi si compie in noi la sua promessa, come viene proclamato nel canto al vangelo: “Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama. Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui… Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (Gv 14,21.23). Consapevoli sempre che “Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla” (Gv 15,5).

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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):

[I testi delle letture sono protetti dal © Libreria Editrice Vaticana e ne è vietata la riproduzione, anche parziale e con qualsiasi mezzo]

Prima Lettura  Dt 6, 2-6

Dal libro del Deuteronomio

Mosè parlò al popolo dicendo: «Temi il Signore, tuo Dio, osservando per tutti i giorni della tua vita, tu, il tuo figlio e il figlio del tuo figlio, tutte le sue leggi e tutti i suoi comandi che io ti do e così si prolunghino i tuoi giorni.

Ascolta, o Israele, e bada di metterli in pratica, perché tu sia felice e diventiate molto numerosi nella terra dove scorrono latte e miele, come il Signore, Dio dei tuoi padri, ti ha detto.

Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze.

Questi precetti che oggi ti do, ti stiano fissi nel cuore».

Salmo Responsoriale  Dal Salmo 17

Ti amo, Signore, mia forza.

Ti amo, Signore, mia forza,

Signore, mia roccia,

mia fortezza, mio liberatore.

Mio Dio, mia rupe, in cui mi rifugio;

mio scudo, mia potente salvezza e mio baluardo.

Invoco il Signore, degno di lode,

e sarò salvato dai miei nemici.

Viva il Signore e benedetta la mia roccia,

sia esaltato il Dio della mia salvezza.

Egli concede al suo re grandi vittorie,

si mostra fedele al suo consacrato.

Seconda Lettura  Eb 7, 23-28

Dalla lettera agli Ebrei

Fratelli, [nella prima alleanza] in gran numero sono diventati sacerdoti, perché la morte impediva loro di durare a lungo. Cristo invece, poiché resta per sempre, possiede un sacerdozio che non tramonta. Perciò può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si avvicinano a Dio: egli infatti è sempre vivo per intercedere a loro favore.

Questo era il sommo sacerdote che ci occorreva: santo, innocente, senza macchia, separato dai peccatori ed elevato sopra i cieli. Egli non ha bisogno, come i sommi sacerdoti, di offrire sacrifici ogni giorno, prima per i propri peccati e poi per quelli del popolo: lo ha fatto una volta per tutte, offrendo se stesso.

La Legge infatti costituisce sommi sacerdoti uomini soggetti a debolezza; ma la parola del giuramento, posteriore alla Legge, costituisce sacerdote il Figlio, reso perfetto per sempre.

Vangelo  Mc 12, 28-34

Dal vangelo secondo Marco

In quel tempo, si avvicinò a Gesù uno degli scribi e gli domandò: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?». Gesù rispose: «Il primo è: “Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”. Il secondo è questo: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Non c’è altro comandamento più grande di questi».

Lo scriba gli disse: «Hai detto bene, Maestro, e secondo verità, che Egli è unico e non vi è altri all’infuori di lui; amarlo con tutto il cuore, con tutta l’intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici».

Vedendo che egli aveva risposto saggiamente, Gesù gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio». E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo.