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Settimo ciclo

Anno liturgico B (2020-2021)

Tempo Ordinario

XI Domenica

(13 giugno 2021)

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Ez 17,22-24;  Sal 91;  2Cor 5,6-10;  Mc 4, 26-34

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Il brano di vangelo di oggi è introdotto dall’avvertimento: “Fate attenzione a quello che ascoltate. Con la misura con la quale misurate sarà misurato a voi; anzi, vi sarà dato di più. Perché a chi ha, sarà dato; ma a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha” (Mc 4,24). Applicato alle parabole del regno, risulta quanto mai significativa la spiegazione di Beda il Venerabile: “Continuate a ricordare e a indagare con tutta la vostra attenzione la Parola che avete ascoltato poiché a colui che ama la Parola sarà data anche l’intelligenza di capire l’oggetto del suo amore, ma chi non ama la Parola che ascolta, anche se per ingegno naturale o per cultura sembra intenderne il significato, non gioirà di alcuna dolcezza della vera sapienza”.

Il racconto delle due parabole è la ripresa dell’invito iniziale del vangelo di Marco: “Credete al vangelo” (Mc 1,15), che, per essere percepito nella sua reale novità, potremmo tradurre: ‘abbiate fede in questa buona notizia’, ‘fidatevi di questa buona notizia’. In una duplice direzione, come del resto sottolineano le due parabole del seme gettato nella terra e del granello di senape: a) ciascun cuore è invitato ad accogliere il seme della parola di Gesù, che, crescendo, costruisce una nuova fraternità dallo spirito evangelico; b) questa nuova comunità agisce nel mondo crescendo e attirando al Signore Gesù gli uomini di ogni dove, sempre custodendo la modestia dell’opera di Dio che non si impone, ma che affascina e attira.

Le parabole in effetti sono costruite sul contrasto tra il seme e il frutto, tra il seme piccolissimo e la pianta grande. Sottolineano la potenza del seme e l’esito finale certo. La parabola del seme non insiste tanto sulla sua piccolezza, ma sulla potenza che possiede nonostante la sua piccolezza. Il paragone del seme vale anche per la fede: “se aveste fede quanto un granellino di senape …” (Lc 17,6). Non da intendere: basta che abbiate almeno un pochino di fede. Piuttosto: aveste una fede genuina, grande come un minutissimo seme di senape! I semi di senape sono così minuti che, se si mettono sul palmo della mano e si capovolge la mano come per rovesciarli per terra, nemmeno cadono giù. Era proverbiale l’immagine della piccolezza del seme di senape. Il paragone è basato sulla potenza che il seme racchiude. E quando questa potenza si dispiega cresce a dismisura e diventa un albero e tutti gli uccelli del cielo (intesi dalla tradizione: i popoli pagani, i pensieri malvagi, tutti i pensieri dell’uomo) vengono a nidificare sui suoi rami, cioè sono attratti e lì trovano riposo. Tale potenza appartiene al seme, non a noi: questo è il motivo profondo della fiducia del cuore rispetto al peso della vita, al peso dei malvagi nella vita. Non importa se abbiamo una fede grande o piccola, basta che sia genuina e questa ha la potenza di fare miracoli, cioè di fare spazio al regno di Dio che viene, in ogni cosa.

L’allusione si deduce dai termini che il vangelo di Marco usa, inusuali per una semplice descrizione. Ad esempio, non usa il verbo ‘nidificare’ ma ‘accamparsi’, ‘porre la tenda’; per dire che il frutto matura usa il verbo ‘consegnare’ (allusione alla consegna di Gesù agli uomini, alla consegna dei discepoli a Gesù!); per la mietitura che è arrivata usa l’espressione di Gioele 4,13 in cui si parla del raccolto che è presente, vale a dire che il messaggio di Gesù è destinato a tutti i popoli e tutti lo riconosceranno. Così la piccolezza del seme non è solo allusiva dell’inizio insignificante, ma dell’irrilevanza sociale della comunità dei credenti.

Come viene cantato al vangelo: “Il seme è la parola di Dio, il seminatore è Cristo: chiunque trova lui, ha la vita eterna”, la parola del Signore ha tanta potenza che basta accoglierne una in verità per riunificare tutto di noi attorno, su e dentro di essa. Così, davanti al dramma del male che ci accompagna, resta la fiducia ancora più grande della potenza della parola di Dio, di quel Verbo, fatto uomo, accolto in cuore e capace di portare tutto a Lui e in Lui, come s. Paolo nella sua lettera ai Corinzi proclama: “sempre pieni di fiducia … siamo pieni di fiducia”.

Se all’immagine del seme si sovrappone quella del granello, come è il caso della parabola del granello di senape, allora l’allusione più feconda resta ancora quella che suggeriscono i Padri, s. Ambrogio in particolare: “Anche il Signore è un chicco di senapa. Egli era immune da ogni offesa, ma il popolo lo ignorava, come un chicco di senapa, perché non lo aveva ancora mai toccato. Preferì di essere sfatto, perché noi potessimo dire: Noi siamo per Dio il profumo di Cristo (2Cor 2,15)”. Ambrogio pensa alla fede, che è semplice, ma se viene macerata dalle avversità, essa effonde l’incanto della sua forza. Pensa i martiri come chicchi di senape che, fatti a pezzi dalla spada, sparsero per i confini del mondo il fascino del loro martirio. Altri Padri parlano del grano di senape che rivela la sua qualità con grandissima potenza se viene triturato, alludendo alla passione di Gesù.

L’aspetto singolare, poi, dell’immagine della pianta che cresce fino a permettere agli uccelli di nidificare è il capovolgimento di prospettiva rispetto al suo uso profetico tradizionale. Se, nel brano di Ezechiele, l’immagine indicava l’umiliazione dei due potenti regni antagonisti del Medio Oriente antico, Egitto e Assiria, nell’intelligenza evangelica l’immagine perde tutto il sapore di potenza mondana e si applica al regno di Dio che cresce a tal punto da attirare tutte le nazioni. L’inizio è insignificante, la modalità di crescita nascosta, ma l’esito fecondo.

Aggiungo ancora che Luca, all’immagine del seme, unisce quella del lievito, per mostrare come l’evidenza del Regno non riguardi una cosa o l’altra. Del regno non si può dire: eccolo qui, eccolo là. Riguarda l’insieme del mondo, della vita, dei rapporti, dell’agire e del sentire, dell’essere e del fare. Girolamo spiega come il lievito sia la conoscenza del mistero del Figlio di Dio fatto uomo per noi, la gioia della scoperta del Figlio di Dio come tesoro e perla preziosa tanto da investire tutte le proprie energie in quel cammino di scoperta e da cedere ogni altro bene in vista di ottenere e di condividere con tutti quel tesoro.

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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):

[I testi delle letture sono protetti dal © Libreria Editrice Vaticana e ne è vietata la riproduzione, anche parziale e con qualsiasi mezzo]

Prima Lettura  Ez 17, 22-24

Dal libro del profeta Ezechiele

Così dice il Signore Dio: «Un ramoscello io prenderò dalla cima del cedro, dalle punte dei suoi rami lo coglierò e lo pianterò sopra un monte alto, imponente; lo pianterò sul monte alto d’Israele.

Metterà rami e farà frutti e diventerà un cedro magnifico. Sotto di lui tutti gli uccelli dimoreranno, ogni volatile all’ombra dei suoi rami riposerà.

Sapranno tutti gli alberi della foresta che io sono il Signore, che umilio l’albero alto e innalzo l’albero basso, faccio seccare l’albero verde e germogliare l’albero secco. Io, il Signore, ho parlato e lo farò».

Salmo Responsoriale  Dal Salmo 91/92

È bello rendere grazie al Signore.

È bello rendere grazie al Signore

e cantare al tuo nome, o Altissimo,

annunciare al mattino il tuo amore,

la tua fedeltà lungo la notte.

I1 giusto fiorirà come palma,

crescerà come cedro del Libano;

piantati nella casa del Signore,

fioriranno negli atri del nostro Dio.

Nella vecchiaia daranno ancora frutti,

saranno verdi e rigogliosi,

per annunciare quanto è retto il Signore,

mia roccia: in lui non c’è malvagità.

Seconda Lettura  2 Cor 5, 6-10

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi

Fratelli, sempre pieni di fiducia e sapendo che siamo in esilio lontano dal Signore finché abitiamo nel corpo – camminiamo infatti nella fede e non nella visione – siamo pieni di fiducia e preferiamo andare in esilio dal corpo e abitare presso il Signore.

Perciò, sia abitando nel corpo sia andando in esilio, ci sforziamo di essere a lui graditi. Tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, per ricevere ciascuno la ricompensa delle opere compiute quando era nel corpo, sia in bene che in male.

Vangelo  Mc 4, 26-34

Dal vangelo secondo Marco

In quel tempo, Gesù diceva [alla folla]: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme ger­moglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura».

Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, quando viene semi­nato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra».

Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.