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Settimo ciclo

Anno liturgico B (2020-2021)

Tempo di Quaresima

Mercoledì delle Ceneri

(17 febbraio 2021)

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Gl 2,12-18;  Sal 50;  2Cor 5,20-6,2;  Mt 6,1-6.16-18

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Qual è il senso dell’austero rito delle ceneri? Certamente ognuno di noi tende a sentirsi e a comportarsi come immortale e che ci venga ricordato in qualche occasione che la realtà non segue i nostri sogni non è male. Ma il significato del rito è altro.

Se riandiamo al secondo racconto della creazione, leggiamo: “Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente” (Gen 2,7). Nel salmo responsoriale della liturgia di oggi, il salmo penitenziale per antonomasia, proclamiamo: “Uno spirito contrito è sacrificio a Dio; un cuore contrito e affranto tu, o Dio, non disprezzi” (Sal 50/51,19). Il termine contrito, dal latino ‘conterere’, allude al rendere polvere il cuore. E quando il cuore è ridotto in polvere? Quando subiamo afflizioni o un’offesa o un’ingiustizia, quando subiamo una prova, senza ribellarci o adirarci. È reso polvere quando non ha più diritti da avanzare, da rivendicare. Allora, come polvere della terra, può essere consegnato a Dio perché lo plasmi di nuovo, perché lo renda capace di sentimenti nuovi, più umani e divini allo stesso tempo. Sarebbe il senso appunto della penitenza quaresimale: riconsegnare il nostro cuore a Dio perché possa essere di nuovo modellato da Lui. La verità da scoprire è quella di un cuore che si ritrova con nuove energie per vivere l’avventura della vita, solidali e attenti ai nostri fratelli, e trovare la gioia che cerca, nonostante i tormenti che incontra.

Vorrei solo offrire qualche suggerimento di prospettiva per il cammino quaresimale a partire dal salmo 50 (51). Il salmo è attribuito a Davide: “Di Davide. Quando il profeta Natan andò da lui, che era andato con Betsabea”. L’episodio è narrato in 2Sam 12,1-14, allorquando Dio invia il profeta Natan a Davide, dopo il suo peccato di adulterio e di assassinio. Il salmo presenta con lo stesso realismo il peccato di Davide e l’invio a lui del profeta usando lo stesso verbo ‘andare’. E un antico commentatore ebraico annota: “Con la stessa sincerità con cui era andato da Betsabea, Davide si rivolse a Dio e gli disse il suo canto. Perciò fu subito perdonato”.

E il canto comincia con:

Pietà di me, o Dio, nel tuo amore;

nella tua grande misericordia

cancella la mia iniquità”.

I termini ebraici ‘aver pietà, amore e misericordia’, comportano sfumature di significato che l’italiano non riesce a rendere. Sono proferiti a partire da un’emozione e un’intensità drammatica, da dentro un rapporto, ferito, di intimità. Chi li pronuncia sa che ha ricevuto un’attenzione di benevolenza da parte del proprio Signore, a fronte di una grave mancanza nei suoi confronti. Non si tratta di pietà come di compassione strappata, ma di grazia di accoglienza tanto che il peccatore non si sente solo ‘graziato’ (evita la condanna e la punizione), ma soprattutto ‘grazioso’ (bello e desiderato) agli occhi del suo Signore.

Amore corrisponde al termine ebraico ‘hesed’, che nelle antiche versioni viene sempre reso con misericordia. Nelle Scritture designa la quintessenza di Dio, sempre pronto a perdonare, ad accogliere, ad attirare a sé nella sua bontà. In tutto l’Antico Testamento, misericordioso è detto solo di Dio! Gli uomini devoti, in Israele, sono coloro che continuano a sperare nella sua bontà e nella sua misericordia (Sal 32/33,18; 147,11).  Il termine non allude solo al sentimento, ma all’azione che deriva dal sentimento. E posso conoscere il sentimento di una persona a partire dall’azione che lo caratterizza. Si rifà alla grande rivelazione del nome di Dio dopo il peccato del vitello d’oro allorquando Mosè, sul Sinai, sente proclamare: “Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà”. L’azione più assoluta di Dio nei nostri confronti è l’invio del suo Figlio!

E quello che in italiano rendiamo con ‘nella tua grande misericordia’, in ebraico suona ‘per le tue viscere d’amore’ (rachamekha). Il termine ebraico deriva da rechem, utero, che non designa solo l’amore viscerale della mamma per il suo figlio, ma anche la matrice che dà vita. La sfumatura di significato risulta essere: l’amore perdonante di Dio, amore sentito visceralmente, porta vita, fa’ sì che faccia sgorgare di nuovo fluente la vita perché Dio è il Dio della vita. Quello che il salmo invoca più avanti: “Crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo. Non scacciarmi dalla tua presenza e non privarmi del tuo santo spirito” (vv. 12-13). Il cuore nuovo, condotto dallo Spirito, che estende a tutti l’amore misericordioso di Dio perché la vita torni amabile e desiderabile.

Il brano evangelico descrive l’atteggiamento penitenziale in tre ambiti: elemosina, preghiera e digiuno. La dimensione negativa è stigmatizzata nell’ipocrisia, mentre la dimensione positiva risulta sottolineata dalla capacità di relazionarsi al prossimo (l’elemosina, oltre che una sorta di restituzione, è un atto fraterno, una condivisione, un riconoscimento del prossimo come nostro fratello) e a Dio (la preghiera è abolizione del teatro, cioè del fare le cose per essere visti sia dagli altri che da se stessi; il digiuno serve come sostegno alla preghiera, all’agire interiore pulito e retto, contrassegnato dalla gioia del cuore che va incontro al proprio Dio e di conseguenza è libero di incontrare i suoi fratelli).

L’ipocrisia è la deviazione dello scopo di un’azione (la faccio per me piuttosto che per Dio) con l’aggravante del bisogno di fare teatro (faccio un’azione davanti agli uomini piuttosto che al cospetto di Dio). L’ipocrisia può essere soggettiva, vale a dire che perseguo scopi meschini e interessati nel compiere un’azione buona oppure semplicemente oggettiva, nel senso che io sono in buona fede, ma mi limito all’azione esteriore senza coinvolgere la conversione del cuore. Una penitenza di questo tipo non solo non porta frutti secondo lo Spirito, ma macchia il cuore nel senso che lo rende insensibile al mistero di Dio e dell’uomo. L’elemento che suggerisce meglio la corrispondenza dell’azione esteriore con la conversione interiore del cuore è appunto la gioia, quel senso di levità, di non seriosità con cui si compiono le buone opere, lontani da quel dannato senso di importanza che ci diamo o da quell’ottuso bisogno di affermazione presso gli altri che ci divora. È significativo che la chiesa, all’inizio del cammino quaresimale, ricordi proprio questa condizione di levità con cui occorre compiere tutte le opere di penitenza. È il modo più autentico per far rimarcare come le opere di penitenza non riguardino che la conversione del cuore e la conversione del cuore non consista in altro che in una capacità di fare incontro con Dio, con il prossimo, con noi stessi. La ricompensa promessa non ha nulla a che fare con la paga dovuta al lavoro fatto; riguarda solo la rivelazione e la pienezza che gusta il cuore quando viene incontrato da Qualcuno di cui porta il desiderio, quando si apre alla vita di una relazione che trasforma totalmente il suo modo di vedere e di sentire. Come spesso esorta la chiesa: Offri a Dio, come sacrificio, la lode!

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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):

[I testi delle letture sono protetti dal © Libreria Editrice Vaticana e ne è vietata la riproduzione, anche parziale e con qualsiasi mezzo]

Prima Lettura  Gl 2,12-18

Dal libro del profeta Gioèle

Così dice il Signore:

«Ritornate a me con tutto il cuore,

con digiuni, con pianti e lamenti.

Laceratevi il cuore e non le vesti,

ritornate al Signore, vostro Dio,

perché egli è misericordioso e pietoso,

lento all’ira, di grande amore,

pronto a ravvedersi riguardo al male».

Chi sa che non cambi e si ravveda

e lasci dietro a sé una benedizione?

Offerta e libagione per il Signore, vostro Dio.

Suonate il corno in Sion,

proclamate un solenne digiuno,

convocate una riunione sacra.

Radunate il popolo,

indite un’assemblea solenne,

chiamate i vecchi,

riunite i fanciulli, i bambini lattanti;

esca lo sposo dalla sua camera

e la sposa dal suo talamo.

Tra il vestibolo e l’altare piangano

i sacerdoti, ministri del Signore, e dicano:

«Perdona, Signore, al tuo popolo

e non esporre la tua eredità al ludibrio

e alla derisione delle genti».

Perché si dovrebbe dire fra i popoli:

«Dov’è il loro Dio?».

Il Signore si mostra geloso per la sua terra

e si muove a compassione del suo popolo.

Salmo Responsoriale  Dal Salmo 50

Perdonaci, Signore: abbiamo peccato.

Pietà di me, o Dio, nel tuo amore;

nella tua grande misericordia

cancella la mia iniquità.

Lavami tutto dalla mia colpa,

dal mio peccato rendimi puro.

Sì, le mie iniquità io le riconosco,

il mio peccato mi sta sempre dinanzi.

Contro di te, contro te solo ho peccato,

quello che è male ai tuoi occhi, io l’ho fatto.

Crea in me, o Dio, un cuore puro,

rinnova in me uno spirito saldo.

Non scacciarmi dalla tua presenza

e non privarmi del tuo santo spirito.

Rendimi la gioia della tua salvezza,

sostienimi con uno spirito generoso.

Signore, apri le mie labbra

e la mia bocca proclami la tua lode.

Seconda Lettura  2 Cor 5,20-6,2

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi

Fratelli, noi, in nome di Cristo, siamo ambasciatori: per mezzo nostro è Dio stesso che esorta. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio. Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio.

Poiché siamo suoi collaboratori, vi esortiamo a non accogliere invano la grazia di Dio. Egli dice infatti:

«Al momento favorevole ti ho esaudito

e nel giorno della salvezza ti ho soccorso».

Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza!

Vangelo  Mt 6,1-6.16-18

Dal vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:

«State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro, altrimenti non c’è ricompensa per voi presso il Padre vostro che è nei cieli.

Dunque, quando fai l’elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipòcriti nelle sinagoghe e nelle strade, per essere lodati dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, mentre tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.

E quando pregate, non siate simili agli ipòcriti che, nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, amano pregare stando ritti, per essere visti dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, quando tu preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.

E quando digiunate, non diventate malinconici come gli ipòcriti, che assumono un’aria disfatta per far vedere agli altri che digiunano. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, quando tu digiuni, profùmati la testa e làvati il volto, perché la gente non veda che tu digiuni, ma solo il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà».