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Settimo ciclo

Anno liturgico A (2019-2020)

Tempo Ordinario

XXVI Domenica

(27 settembre 2020)

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Ez 18,25-28;  Sal 24;  Fil 2,1-11;  Mt 21,28-32

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Gesù è appena entrato trionfalmente in Gerusalemme e cacciato venditori e cambiavalute dal tempio. Nessuno aveva osato fermarlo, tanto che il giorno seguente ritorna nel tempio a insegnare. È qui che lo avvicinano i capi della nazione. Vogliono sapere con quale autorità Gesù si muove. Evidentemente sono colpiti dal suo fare, dal suo insegnare, ma temono anche le sue ‘picconate’. Gesù li sfida sul loro stesso terreno e li inchioda alle loro responsabilità: perché, come guide della nazione, non vi siete dati premura di raccogliere l’invito alla conversione di Giovanni Battista? E racconta loro tre parabole, tutte rivolte contro di loro stigmatizzando il rifiuto che opponevano all’opera di Dio che si era rivelata nel Battista prima che in lui.

La parabola dei due figli è molto semplice e lineare, tanto che la risposta giusta viene messa in bocca agli stessi farisei. Fa la volontà del padre certamente quello che va a lavorare nella vigna, non quello che dice di voler andare. Ma l’applicazione che ne fa Gesù rivela aspetti che erano sfuggiti agli ascoltatori. Anzitutto il fatto che nessuno dei due figli obbedisce perfettamente: il primo rifiuta, ma poi va; il secondo acconsente, ma poi non va. Gesù parte dalla costatazione che l’uomo non risponde subito all’invito di Dio. La risposta dell’uomo avviene nel tempo, quando sopraggiunge il pentimento, cioè la percezione di essere dentro un rapporto di cui si disattende la premura e per questo ci si pente di non averlo preso in considerazione. In greco ci sono due verbi per esprimere il pentimento: ‘metamelomai’ e ‘metanoeo’. Il primo significa semplicemente ricredersi, cambiare avviso, tornare sui propri passi riflettendo che si è mancato; il secondo indica invece il cambiamento di mentalità, la decisione di vivere secondo un orizzonte e una direzione diversa da prima. Nella parabola è usato il primo verbo, l’accezione più soft dell’azione del pentirsi, proprio quella che Gesù rimprovera ai capi della nazione. Quando Gesù li rimprovera dicendo che pubblicani e prostitute li precedono nel regno di Dio, vuol dire che pubblicani e prostitute hanno creduto alla predicazione del Battista e si sono pentiti, mentre loro nemmeno si sono dati la pena, vedendo come il popolo reagiva all’esortazione del Battista, di ripensare alla loro posizione, di ricredersi e di mettersi in discussione. Nemmeno dopo, cioè dopo che avevano visto i frutti della predicazione del Battista, si sono premurati di domandarsi: ma cosa sta avvenendo? Sono rimasti alla finestra, chiusi nella loro torre, guardando tutti dall’alto in basso.

Ma c’è un altro particolare interessante da notare. Gesù dice loro: se non avete creduto a Giovanni Battista, nemmeno credete nelle Scritture e se non credete alle Scritture non potete credere in me, che di quelle Scritture sono il compimento.  Gesù aveva detto: come potete credere voi che cercate gloria gli uni dagli altri? Non credere alle Scritture vuol dire costruirsi sul proprio sgabello, vantarsi del proprio prestigio, pur nascondendosi dietro nobili ideali di salvaguardia della nazione, come risalterà alla fine nel ragionamento del sommo sacerdote Caifa, quando si trattava di decidere se mettere a morte Gesù o meno.

È qui, nell’ascolto della parola di Dio che porta salvezza, che affonda le radici l’obbedienza dell’uomo. Obbedienza, che gli deriva solo dal pentimento e il pentimento, che gli viene dal fatto di scoprire che Dio lo ama e lo cerca. È s. Paolo che, nella sua lettera ai Filippesi, ci fa fissare lo sguardo su colui che è il modello dell’obbedienza, su colui che mostra in verità le vie di Dio dicendo: “Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso …” (Fil 2,5-7). E giustifica il riferimento a Gesù in rapporto alla vita fraterna dove si giocano le relazioni e quindi la propria umanità: “Non fate nulla per rivalità o vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso. Ciascuno non cerchi l’interesse proprio, ma anche quello degli altri” (Fil 2,3-4). Forse che i capi della nazione, che affrontano Gesù, hanno mai avuto pensieri del genere in cuor loro? E se non hanno questi pensieri, si può dire che temono il Signore? E se non temono il Signore, come possono conoscere i suoi segreti? Ecco perché il salmo responsoriale ripete con insistenza: “Fammi conoscere le tue vie” (Sal 24/25,4). Non si conoscono facilmente, è facile illudersi, è facile voler tirare Dio nella nostra testa piuttosto che aprire la nostra testa a Dio! Il salmo allora ci istruisce: “Chi è l’uomo che teme il Signore? Gli indicherà la via che deve scegliere” (v.12). E più avanti: “Il segreto del Signore è per quanti lo temono e la sua alleanza per farla loro conoscere” (v.14, testo ebraico).

Avverrà per i discepoli come per Gesù: se il Figlio, secondo le parole di Paolo ai Filippesi, ‘svuotò se stesso assumendo una condizione di servo’, lo può fare perché gode di un amore. Quello ‘svuotamento’ è la condizione perché l’amore si compia e trascini tutti nello stesso movimento. Ci si può svuotare dei propri peccati come delle proprie sicurezze; ciò che conta è svuotarsi perché quell’amore torni a splendere, perché Dio possa essere adorato come il Salvatore, ricco di misericordia per tutti. Quello che i capi del popolo e i farisei, interlocutori di Gesù, non avevano potuto capire. E lo svuotarsi attira la grazia perché assimila al movimento che Gesù ha vissuto e che Dio vive in se stesso.

Se Gesù ha fatto conoscere le vie di Dio fino a diventare lui stesso “la via” (Gv 14,16), lo diventa per coloro che lo accolgono. E il movimento dell’accoglierlo si può spiegare in questo modo. Gesù è venuto per insegnare agli uomini a conoscere e riconoscere i propri peccati senza disperare, ma aprendosi al cammino di ritorno a Dio che comincia con il sapersi amati e perdonati in anticipo, in modo totalmente immeritato. Se è vero, come dice Origene, che l’uomo pecca per ignoranza fino a che Dio non gli dona una certa percezione del suo peccato, Gesù allora ha cercato di farsi mediatore di questa conoscenza, della quale si nutre la vita di alleanza con Dio. Questo, i capi della nazione non hanno compreso; questo, gli uomini che cercano gloria gli uni dagli altri non possono comprendere. E senza comprendere questo non possono pentirsi. E senza pentirsi non possono gustare la dolcezza del perdono di Dio.

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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):

[I testi delle letture sono protetti dal © Libreria Editrice Vaticana e ne è vietata la riproduzione, anche parziale e con qualsiasi mezzo]

Prima Lettura  Ez 18, 25-28

Dal libro del profeta Ezechiele

Così dice il Signore:

«Voi dite: “Non è retto il modo di agire del Signore”. Ascolta dunque, casa d’Israele: Non è retta la mia condotta o piuttosto non è retta la vostra?

Se il giusto si allontana dalla giustizia e commette il male e a causa di questo muore, egli muore appunto per il male che ha commesso.

E se il malvagio si converte dalla sua malvagità che ha commesso e compie ciò che è retto e giusto, egli fa vivere se stesso. Ha riflettuto, si è allontanato da tutte le colpe commesse: egli certo vivrà e non morirà».

Salmo Responsoriale  Dal Salmo 24

Ricòrdati, Signore, della tua misericordia.

Fammi conoscere, Signore, le tue vie,

insegnami i tuoi sentieri.

Guidami nella tua fedeltà e istruiscimi,

perché sei tu il Dio della mia salvezza;

io spero in te tutto il giorno.

Ricòrdati, Signore, della tua misericordia

e del tuo amore, che è da sempre.

I peccati della mia giovinezza

e le mie ribellioni, non li ricordare:

ricòrdati di me nella tua misericordia,

per la tua bontà, Signore.

Buono e retto è il Signore,

indica ai peccatori la via giusta;

guida i poveri secondo giustizia,

insegna ai poveri la sua via.

Seconda Lettura  Fil 2, 1-11

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippési.

[ Fratelli, se c’è qualche consolazione in Cristo, se c’è qualche conforto, frutto della carità, se c’è qualche comunione di spirito, se ci sono sentimenti di amore e di compassione, rendete piena la mia gioia con un medesimo sentire e con la stessa carità, rimanendo unanimi e concordi.

Non fate nulla per rivalità o vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso. Ciascuno non cerchi l’interesse proprio, ma anche quello degli altri.

Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù ]:

egli, pur essendo nella condizione di Dio,

non ritenne un privilegio

l’essere come Dio,

ma svuotò se stesso

assumendo una condizione di servo,

diventando simile agli uomini.

Dall’aspetto riconosciuto come uomo,

umiliò se stesso

facendosi obbediente fino alla morte

e a una morte di croce.

Per questo Dio lo esaltò

e gli donò il nome

che è al di sopra di ogni nome,

perché nel nome di Gesù

ogni ginocchio si pieghi

nei cieli, sulla terra e sotto terra,

e ogni lingua proclami:

«Gesù Cristo è Signore!»,

a gloria di Dio Padre.

Vangelo  Mt 21, 28-32

Dal vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna. Ed egli rispose: Non ne ho voglia. Ma poi si pentì e vi andò. Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: Sì, signore. Ma non vi andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo».

E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli».