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Settimo ciclo

Anno liturgico A (2019-2020)

Tempo di Pasqua

IV Domenica

(3 maggio 2020)

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At 2,14a.36-41;  Sal 22;  1Pt 2,20b-25;  Gv 10,1-10

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L’immagine di fondo della liturgia odierna è quella del buon pastore, anche se il brano evangelico non la riporta espressamente, fermandosi all’immagine della porta. Basta però continuare la lettura del capitolo 10 di Giovanni per accorgersi che l’immagine di riferimento è proprio quella del buon pastore. Tutta la liturgia è focalizzata su questa immagine potente, sebbene essa non susciti più in noi le stesse risonanze che poteva suscitare nei contemporanei di Gesù. Vorrei provare a far riemergere udibili per il nostro cuore quelle risonanze.

Il discorso di Pietro riportato dagli Atti degli apostoli a Pentecoste è commentato dalla liturgia con il salmo 22 (23) che inizia: “Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla …”. Quale collegamento tra il salmo e il discorso di Pietro? Coloro che lo ascoltavano, probabilmente gli stessi che cinquanta giorni prima avevano partecipato o comunque avevano saputo della vicenda di Gesù, si sentono trafiggere il cuore. Le parole di Pietro sono toccanti, coinvolgenti. Spontanea la domanda: cosa possiamo fare adesso? E Pietro li invita: convertitevi, fatevi battezzare e riceverete lo Spirito Santo. Noi interpretiamo in rapporto ai sacramenti che riceviamo nella chiesa. Pietro però sottolinea la valenza dinamica dei passaggi che il suo invito comporta. Il mio tornare a Dio comporta l’essere seppellito con Gesù rispetto a tutto ciò che questo mondo esalta sotto l’azione del principe di questo mondo (potere, prestigio, supremazia, gloria) in modo da essere guidato dallo Spirito a vivere ogni situazione unicamente nell’esperienza dell’amore di Dio. Questo significa essere ricondotto, come dice la prima lettera di Pietro, al pastore delle anime nostre.

Il salmo 22, soprattutto secondo il testo greco e latino, definisce l’azione del pastore nei nostri confronti come un guidarci a un luogo di ristoro dove trovare conversione (che il testo ebraico riporta come un ‘rinfrancare’). È interessante collegare questa azione a quella che, sempre Pietro, nella sua prima lettera, dice avvenire nel cuore dei credenti: “se facendo il bene, sopporterete con pazienza la sofferenza, ciò sarà gradito davanti a Dio” (1Pt 2,20). Il testo dice espressamente: questa è la grazia! È l’azione di grazia del pastore delle nostre anime quando è accolto da noi. E il cuore può lasciar operare questa grazia perché ha gustato il ‘ristoro’ che il pastore procura.

È il ristoro di un’umanità rinnovata, che torna luminosa, che non si fa ingabbiare da nessuna lusinga del mondo perché non c’è confronto tra la vivacità e fecondità dell’amore goduto e la volontà di dominio che si pensa dover esercitare per garantirsi la felicità o perlomeno la libertà di procurarsela. Quando Pietro descrive Gesù, nel suo essere pastore delle nostre anime, lo descrive così: “soffrendo non minacciava vendetta”. A questo io collego l’espressione forte di Gesù rispetto a noi che lo vogliamo seguire: “Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore” (Gv 10,14-15).

Il conoscere è in rapporto alla disponibilità a porre in gioco la propria vita. La particolarità dell’espressione di Gesù sta nel fatto che, non solo dà la sua vita per le pecore, ma che dà la vita alle pecore. Fa in modo cioè che la vita sua passi a noi, perché anche noi viviamo di quella stessa vita, che è splendore di amore. È l’azione dello Spirito Santo nei nostri cuori.  Per questo possiamo dire che il Signore è il nostro pastore e non manchiamo di nulla, perché, una volta che si sia entrati nella prospettiva di una vita vissuta nell’amore, non c’è nulla che ci potrà distogliere, non c’è nulla capace di rapircela, nulla sarà superiore all’amore. Non è però una conquista puntuale, ma un vero e proprio processo di vita, il vero processo di conversione.

Lo ricorda Pietro con l’invito a convertirsi: tornate alla promessa di Dio che si è compiuta in quel Trafitto, morto e risorto; tornate a sentirvi destinatari della promessa di Dio che ha fatto risplendere in quel trafitto lo splendore del suo amore salvatore, riunendo – come buon pastore – i figli di Dio dispersi. Tornate a dar credito alla potenza salvatrice di Dio che per mezzo di quel Trafitto ha realizzato la sua promessa di vita, la quale non è che l’offerta incondizionata della sua comunione perché tutto e tutti possano godere del suo amore. Proprio come chiediamo nella colletta: “O Dio, nostro Padre, che nel tuo Figlio ci hai riaperto la porta della salvezza, infondi in noi la sapienza dello Spirito, perché fra le insidie del mondo sappiamo riconoscere la voce di Cristo, buon pastore, che ci dona l’abbondanza della vita”. ‘Infondi in noi la sapienza del tuo Spirito’ allude alla possibilità di accogliere la comunione con Gesù perché il suo amore sia reso noto in questo mondo.

Ultima annotazione. Non si chiede di mettere in pratica i comandamenti ma, più umilmente, di riconoscere la voce del Cristo. Dalla voce alle parole: questo è il passaggio dell’esperienza dell’amore. I comandamenti sono tutte opportunità di vivere l’amore che ci sentiamo arrivare dalla voce, riconosciuta, dell’Amato.

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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):

[I testi delle letture sono protetti dal © Libreria Editrice Vaticana e ne è vietata la riproduzione, anche parziale e con qualsiasi mezzo]

Prima Lettura  At 2, 14a.36-41

Dagli Atti degli Apostoli

[ Nel giorno di Pentecoste, ] Pietro con gli Undici si alzò in piedi e a voce alta parlò così: «Sappia con certezza tutta la casa d’Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso».

All’udire queste cose si sentirono trafiggere il cuore e dissero a Pietro e agli altri apostoli: «Che cosa dobbiamo fare, fratelli?».

E Pietro disse loro: «Convertitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per il perdono dei vostri peccati, e riceverete il dono dello Spirito Santo. Per voi infatti è la promessa e per i vostri figli e per tutti quelli che sono lontani, quanti ne chiamerà il Signore Dio nostro».

Con molte altre parole rendeva testimonianza e li esortava: «Salvatevi da questa generazione perversa!». Allora coloro che accolsero la sua parola furono battezzati e quel giorno furono aggiunte circa tremila persone.

Salmo Responsoriale  Dal Salmo 22

Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla.

Il Signore è il mio pastore:

non manco di nulla.

Su pascoli erbosi mi fa riposare,

ad acque tranquille mi conduce.

Rinfranca l’anima mia.

Mi guida per il giusto cammino

a motivo del suo nome.

Anche se vado per una valle oscura,

non temo alcun male, perché tu sei con me.

Il tuo bastone e il tuo vincastro

mi danno sicurezza.

Davanti a me tu prepari una mensa

sotto gli occhi dei miei nemici.

Ungi di olio il mio capo;

il mio calice trabocca.

Sì, bontà e fedeltà mi saranno compagne

tutti i giorni della mia vita,

abiterò ancora nella casa del Signore

per lunghi giorni.

Seconda Lettura  1 Pt 2, 20b-25

Dalla prima lettera di san Pietro apostolo

Carissimi, se, facendo il bene, sopporterete con pazienza la sofferenza, ciò sarà gradito davanti a Dio. A questo infatti siete stati chiamati, perché

anche Cristo patì per voi,

lasciandovi un esempio,

perché ne seguiate le orme:

egli non commise peccato

e non si trovò inganno sulla sua bocca;

insultato, non rispondeva con insulti,

maltrattato, non minacciava vendetta,

ma si affidava a colui che giudica con giustizia.

Egli portò i nostri peccati nel suo corpo

sul legno della croce, perché,

non vivendo più per il peccato,

vivessimo per la giustizia;

dalle sue piaghe siete stati guariti.

Eravate erranti come pecore,

ma ora siete stati ricondotti al pastore

e custode delle vostre anime.

Vangelo  Gv 10, 1-10

Dal vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù disse:

«In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore.

Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei».

Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro.

Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo.

Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza».