WORDPDF

Settimo ciclo

Anno liturgico A (2019-2020)

Solennità e feste

Presentazione del Signore

(2 febbraio 2020)

___________________________________________________

Ml 3,1-4;  Sal 23;  Eb 2,14-18;  Lc 2,22-40

___________________________________________________

La festa di oggi è ancora ancorata al natale di Gesù nella logica del compimento messianico che caratterizza quel bambino. È il quarantesimo giorno dalla sua nascita e, secondo gli usi ebraici, si doveva presentare al tempio il primogenito per il cosiddetto riscatto. Luca parla della loro purificazione: ma solo la mamma era tenuta a purificarsi dopo il parto (cfr. Lev 12,1-8). Nemmeno c’è nessuna legge che prescrive di portare il bambino al tempio. La Legge di Mosè prescrive di consacrare e riscattare ogni primogenito (cfr Es 13). Luca, citando quella norma, ne modifica l’espressione dicendo che ‘ogni maschio primogenito sarà chiamato santo’ ed usa le stesse parole dell’angelo Gabriele quando reca l’annunzio a Maria. Come a sottolineare: Gesù non ha bisogno di essere consacrato al Signore e non deve essere riscattato; anzi, Lui è il Consacrato, il Cristo del Signore, Lui sarà il riscatto per il suo popolo, per l’intera umanità. In Lui si concentra tutto il senso della storia sacra perché compie in verità quello che nella Legge veniva descritto in simbolo: Gesù è il primogenito diletto che compie il sacrificio di Isacco, come Lui è il vero pane celeste che era prefigurato nella manna.

Si conclude la dinamica del riconoscimento: appena nato a Betlemme è riconosciuto dai pastori, gente povera, ai margini della società che conta; poi è riconosciuto dai magi, stranieri, pagani, invece che dalla città di Gerusalemme; ora è riconosciuto dai santi di Israele, Simeone e Anna, a sottolineare il compimento dell’attesa del popolo eletto. Dopo questo episodio Gesù ritorna con i suoi genitori a Nazaret perdendosi nel nascondimento della vita quotidiana fino al giorno della sua manifestazione a Israele. Tra l’altro, risalta l’affinità con il brano della trasfigurazione sul Tabor quando, dopo la visione, il testo annota: e videro Gesù solo! La luminosità della visione, come qui la luce vista in quel bambino, lascia il posto alla quotidianità dove visione e luce non compaiono più all’esterno, ma solo intraviste nei cuori.

Il brano della lettera agli Ebrei dice tutta l’importanza e il significato della presentazione di Gesù al Tempio di Gerusalemme con l’annotare una cosa straordinaria. Se i fratelli hanno in comune sangue e carne, Gesù allora è proprio nostro fratello perché è quel sangue e quella carne che assume e questo in vista della redenzione. Ma come viene esposto il mistero della redenzione? Avere in comune sangue e carne è la condizione propria dei fratelli in una famiglia, dove la difesa dell’uno si gioca fino al dono della propria vita per l’altro. Gesù ha assunto radicalmente questa disposizione dell’amore fraterno nella sua autenticità e l’autore della lettera agli Ebrei la definisce come la capacità di soffrire personalmente. La cosa strana è che Gesù soffre personalmente nel suo essere sangue e carne per ridurre all’impotenza colui che è alla radice di ogni sofferenza, colui che è la causa della sofferenza per i propri fratelli. Non viene detto che Gesù distrugge il diavolo, ma che lo rende impotente, che lo svuota della sua capacità di fare danno.

Ora – e questo è il mistero che la liturgia fa intravedere – il ridurre a impotenza il diavolo non si giocherà con le stesse armi del diavolo, cioè con il potere, la gloria, il prestigio, così espressivi del suo essere principe di questo mondo. Al contrario, si giocherà nella debolezza e nella stoltezza, perché l’amore di Dio prevalga su tutto e tutti conquisti. La croce sarà il sigillo di quel ‘soffrire personalmente’ perché l’amore di Dio si riversi su tutto. Il salmo responsoriale lo rimarca con il commentare l’entrata nel tempio di quel bambino come l’entrata trionfale in cielo del Signore risorto con il vessillo della croce accompagnato da tutti i redenti. Il titolo di re della gloria non ha nulla di questo mondo. Gesù lo accetta solo sulla croce perché la gloria di Dio ha a che fare con lo splendore dell’amore e con nient’altro.

Di qui il significato profondo della festa di oggi. Il sacerdote introduce la liturgia con le parole: “Anche noi qui riuniti dallo Spirito Santo andiamo incontro al Cristo nella casa di Dio, dove lo troveremo e lo riconosceremo nello spezzare il pane nell’attesa che egli venga e si manifesti nella sua gloria”.  E nella benedizione dei ceri prega: “… illuminati dalla luce di questi ceri, infondi nel nostro spirito lo splendore della tua santità, perché possiamo giungere felicemente alla pienezza della tua gloria”. Di quale gloria si tratta se non dello splendore dell’amore di Dio che, in Gesù e con Gesù, condividiamo con tutti i fratelli? D’altra parte, non è questo il significato profetico della vita consacrata, che vede nella festa di oggi la sua celebrazione tipica: risplendere della santità di Dio?

Non si tratta di un cammino placido, come non si tratta di un’attesa beata, come del resto non è stato un cammino placido quello di Gesù. Il brano del profeta Malachia lo proclama chiaramente: “… entrerà nel suo tempio il Signore che voi cercate … Chi sopporterà il giorno della sua venuta? Chi resisterà al suo apparire? Egli è come il fuoco del fonditore e come la lisciva dei lavandai“. Nel testo del profeta Malachia Dio rimprovera all’uomo le sue richieste fasulle, le sue lamentele, che provengono dalla menzogna del suo cuore: Quando abbiamo disprezzato il tuo Nome? Come ti abbiamo stancato? Che vantaggio abbiamo ottenuto dall’osservanza dei comandamenti? In una parola: ce l’abbiamo con Dio, perché non fa quello che vogliamo noi! Come non dover essere purificati da questa lamentosità menzognera che indurisce il cuore e non lo rende sensibile né all’incontro con Dio né all’incontro con i fratelli?

La Chiesa prega: “… infondi nel nostro spirito lo splendore della tua santità …” perché riconosciamo il bisogno di te e del tuo amore!

***

I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):

[I testi delle letture sono protetti dal © Libreria Editrice Vaticana e ne è vietata la riproduzione, anche parziale e con qualsiasi mezzo]

Prima Lettura  Ml 3,1-4

Dal libro del profeta Malachìa

 Così dice il Signore Dio:

«Ecco, io manderò un mio messaggero a preparare la via davanti a me e subito entrerà nel suo tempio il Signore che voi cercate; e l’angelo dell’alleanza, che voi sospirate, eccolo venire, dice il Signore degli eserciti.

Chi sopporterà il giorno della sua venuta? Chi resisterà al suo apparire? Egli è come il fuoco del fonditore e come la lisciva dei lavandai.

Siederà per fondere e purificare l’argento; purificherà i figli di Levi, li affinerà come oro e argento, perché possano offrire al Signore un’offerta secondo giustizia.

Allora l’offerta di Giuda e di Gerusalemme sarà gradita al Signore come nei giorni antichi, come negli anni lontani».

Salmo Responsoriale  Dal Salmo 23

Vieni, Signore, nel tuo tempio santo.

Alzate, o porte, la vostra fronte,

alzatevi, soglie antiche,

ed entri il re della gloria.

Chi è questo re della gloria?

Il Signore forte e valoroso,

il Signore valoroso in battaglia.

Alzate, o porte, la vostra fronte,

alzatevi, soglie antiche,

ed entri il re della gloria.

Chi è mai questo re della gloria?

Il Signore degli eserciti è il re della gloria.

Seconda Lettura  Eb 2,14-18

Dalla lettera agli  Ebrei

Poiché i figli hanno in comune il sangue e la carne, anche Cristo allo stesso modo ne è divenuto partecipe, per ridurre all’impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, e liberare così quelli che, per timore della morte, erano soggetti a schiavitù per tutta la vita.

Egli infatti non si prende cura degli angeli, ma della stirpe di Abramo si prende cura. Perciò doveva rendersi in tutto simile ai fratelli, per diventare un sommo sacerdote misericordioso e degno di fede nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del popolo.

Infatti, proprio per essere stato messo alla prova e avere sofferto personalmente, egli è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova.

 

Vangelo  Lc 2,22-40

Dal vangelo secondo Luca

[ Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, Maria e Giuseppe portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore – come è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» – e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore.

Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore.

Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo:

«Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo

vada in pace, secondo la tua parola,

perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza,

preparata da te davanti a tutti i popoli:

luce per rivelarti alle genti

e gloria del tuo popolo, Israele». ]

Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima –, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori».

C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme.

Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui.