Sesto ciclo
Anno liturgico C (2018-2019)
Tempo Ordinario
XV Domenica
(14 luglio 2019)
___________________________________________________
Dt 30, 10-14; Sal 18; Col 1, 15-20; Lc 10, 25-37
___________________________________________________
È interessante osservare la collocazione di questo brano nel racconto evangelico. Matteo e Marco lo collocano negli ultimi giorni di Gesù a Gerusalemme e lo introducono secondo una formulazione propria all’ambiente ebraico a proposito della questione di quale sia il comandamento più grande. Luca invece, scrivendo per lettori di ambiente greco, colloca il brano all’inizio del viaggio di Gesù a Gerusalemme e pone la questione in rapporto allo scopo della vita. Ed è caratteristico che tale questione si ponga dopo che Gesù si era rallegrato del successo della predicazione dei 72 e aveva commentato: “Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete. Io vi dico che molti profeti e re hanno voluto vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono” (Lc 10,23-24). Partendo da questa prospettiva, cioè della straordinarietà del tempo messianico oramai squadernato, la parabola di Gesù, che rintuzza lo scriba nel suo tentativo di giustificazione, acquista una valenza nuova.
Gesù e lo scriba sono d’accordo nella solenne affermazione biblica che amare Dio con tutto il cuore e amare il prossimo fa accedere alla vita eterna. Non pensano però allo stesso modo. Affermano la stessa cosa, ma non pensano allo stesso modo. La cosa si vede dalla domanda dello scriba e dalla risposta di Gesù. Sull’evidenza del comandamento più grande, lo scriba puntualizza: ma chi è il mio prossimo? Per la mentalità comune di allora, per un ebreo il prossimo è chi appartiene alla sua gente. Gesù la pensa diversamente e, rovesciando l’impostazione dello scriba, dirà alla fine della parabola: “Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti? Quello rispose: “Chi ha avuto compassione di lui”. Gesù gli disse: “Va’ e anche tu fa’ così” (Lc 10,36-37).
Non si tratta di sapere chi sia il mio prossimo (il che equivarrebbe a fissare dei confini per l’esercizio del comandamento, come nel caso, ad esempio, del perdono: ‘quante volte devo perdonare…?). Si tratta di fare da prossimo e questo non tiene conto di alcun confine.
Non solo, ma in questa risposta di Gesù si vede come il raccordo del secondo comandamento al primo non sia scontato. Gesù pone il primo comandamento in assoluto, ma il secondo allo stesso livello del primo. Gesù vuole eliminare ogni idea di confine, limitazione, condizione, nell’esercizio dell’amore di Dio, che è Padre di tutti. Così la parabola è definita sulla sua rivelazione di Figlio dell’uomo che si appressa all’uomo per svelargli la grandezza dell’amore del Padre e non si ritrae di fronte a nessuno perché tutti sono chiamati a godere di questo amore. In effetti, Gesù, con la sua parabola, restituisce al dottore della legge l’ottica giusta, quella di Dio: si tratta di agire da prossimo con chiunque, anche con i nemici o gli avversari, come il buon samaritano che si è mosso a compassione vedendo un uomo ferito sulla strada. Ogni parabola è un’illustrazione dell’agire di Dio, una raffigurazione dei sentimenti e dell’agire di Gesù, venuto a rivelare l’amore di Dio agli uomini. Il buon samaritano è Lui stesso, che ha lasciato le 99 pecore (gli angeli) al sicuro ed è venuto a cercare la pecora (l’uomo) perduta. Così, l’agire in compassione fa ereditare la vita eterna perché assimila a Dio, rende simili al Cristo e ne svela al nostro cuore la bellezza. L’esito del comandamento dell’amore al prossimo non è semplicemente di far star bene il prossimo, se possibile, ma di ottenerci la rivelazione del volto di Dio, compimento dei desideri del nostro cuore.
A questo rimando fa riferimento l’espressione messa in bocca allo scriba e che noi traduciamo: “Chi ha avuto compassione di lui”. La stessa espressione ricorre nel cantico di Zaccaria, in Lc 1,72, resa con “così egli ha concesso misericordia ai nostri padri”. Commentando la parabola, lo scriba non può che riconoscere che il farsi prossimo comporta il far prova di bontà verso chi è nel bisogno, imitando in questo Dio stesso. Ci si accorge subito che l’accento non è sul sapere, ma sul fare e che l’orizzonte è largo, senza sorta di restrizioni. Non si tratta di un semplice fare atti di bontà, ma di radicare gli atti di bontà in un cuore che si muove a compassione, in un cuore che solidarizza e vive l’umanità dell’altro come la propria. Questo è l’intendimento evangelico e Gesù lo illustra all’inizio del suo salire a Gerusalemme insieme ai suoi discepoli perché possano intuire il suo segreto di intimità con Dio e con gli uomini.
Il brano di vangelo è confermato dall’affermazione del Deuteronomio: “Questo comando che oggi ti ordino non è troppo alto per te, né troppo lontano da te…Anzi, questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica”. L’insegnamento di Gesù, specificamente spiegato con la parabola del buon samaritano, è ‘vicino’ a noi. Vuol dire due cose: è accessibile a noi, non è qualcosa di complicato o assurdo o inarrivabile; nello stesso tempo, è adatto a noi, corrisponde al nostro cuore, nel senso che fa vivere il cuore, ne compie gli aneliti profondi. E il libro del Deuteronomio sottolinea: la parola del Signore ti è vicina, “perché tu la metta in pratica”. Vale a dire: il comandamento non rivela il suo segreto se non praticandolo. Non lo puoi praticare se non lo accogli da dentro un’alleanza col tuo Dio, ma non lo puoi comprendere se non praticandolo e così cogliere il gusto di quell’alleanza con Dio che si era prima appena percepita.
Del resto, qui sta anche racchiusa la legge dell’intelligenza spirituale delle Scritture. La parola di Dio non è pronunciata perché la si capisca, ma perché la si metta in pratica. Sarà la pratica a portare quella conoscenza che il cuore desidera. La parola suggerisce una possibilità di pratica che porterà alla comprensione, la quale poi farà ritornare con più desiderio alla parola per vedervi nuove possibilità di pratica e così via. Così, davanti alla parola, al comandamento, è mal posta la domanda: cosa vuol dire? Dovremmo dire: qual è il mistero che nasconde di cui diventare partecipi mettendola in pratica?
Lo rivela anche il salmo 18 con il proclamare: “La legge del Signore è perfetta, rinfranca l’anima; la testimonianza del Signore è stabile, rende saggio il semplice. I precetti del Signore sono retti, fanno gioire il cuore; il comando del Signore è limpido, illumina gli occhi”. Come dicessimo: ho scoperto che la legge del Signore è perfetta perché rende noi perfetti rendendoci pieni di vigore; che è salda perché rende noi veri e saggi; che è retta perché ci fa giusti in letizia; che è limpida perché rende puro il cuore e gli occhi luminosi, ecc. La parola del Signore ristora l’anima, dà gusto all’intelligenza, gioia al cuore e luminosità agli occhi. Come a dire: è la parola del Signore, cioè la vita che deriva da lui, a costituire la fonte del ristoro (pace), del gusto (sapienza, senso), della gioia e della luminosità per i nostri cuori. E tutto questo si sperimenta accettando di condividere l’agire di Dio per gli uomini: farsi prossimo a tutti.
***
I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):
[I testi delle letture sono protetti dal © Libreria Editrice Vaticana e ne è vietata la riproduzione, anche parziale e con qualsiasi mezzo]
Prima Lettura Dt 30, 10-14
Dal libro del Deuteronòmio
Mosè parlò al popolo dicendo:
«Obbedirai alla voce del Signore, tuo Dio, osservando i suoi comandi e i suoi decreti, scritti in questo libro della legge, e ti convertirai al Signore, tuo Dio, con tutto il cuore e con tutta l’anima.
Questo comando che oggi ti ordino non è troppo alto per te, né troppo lontano da te. Non è nel cielo, perché tu dica: “Chi salirà per noi in cielo, per prendercelo e farcelo udire, affinché possiamo eseguirlo?”. Non è di là dal mare, perché tu dica: “Chi attraverserà per noi il mare, per prendercelo e farcelo udire, affinché possiamo eseguirlo?”. Anzi, questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica».
Salmo Responsoriale Dal Salmo 18
I precetti del Signore fanno gioire il cuore.
La legge del Signore è perfetta,
rinfranca l’anima;
la testimonianza del Signore è stabile,
rende saggio il semplice.
I precetti del Signore sono retti,
fanno gioire il cuore;
il comando del Signore è limpido,
illumina gli occhi.
Il timore del Signore è puro,
rimane per sempre;
i giudizi del Signore sono fedeli,
sono tutti giusti.
Più preziosi dell’oro,
di molto oro fino,
più dolci del miele
e di un favo stillante.
Seconda Lettura Col 1, 15-20
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Colossèsi
Cristo Gesù è immagine del Dio invisibile,
primogenito di tutta la creazione,
perché in lui furono create tutte le cose
nei cieli e sulla terra,
quelle visibili e quelle invisibili:
Troni, Dominazioni,
Principati e Potenze.
Tutte le cose sono state create
per mezzo di lui e in vista di lui.
Egli è prima di tutte le cose
e tutte in lui sussistono.
Egli è anche il capo del corpo, della Chiesa.
Egli è principio,
primogenito di quelli che risorgono dai morti,
perché sia lui ad avere il primato su tutte le cose.
È piaciuto infatti a Dio
che abiti in lui tutta la pienezza
e che per mezzo di lui e in vista di lui
siano riconciliate tutte le cose,
avendo pacificato con il sangue della sua croce
sia le cose che stanno sulla terra,
sia quelle che stanno nei cieli.
Vangelo Lc 10, 25-37
Dal vangelo secondo Luca
In quel tempo, un dottore della Legge si alzò per mettere alla prova Gesù e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai».
Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gèrico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levìta, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così».