Sesto ciclo
Anno liturgico C (2018-2019)
Tempo di Pasqua
III Domenica di Pasqua
(5 maggio 2019)
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At 5, 27b-32. 40b-41; Sal 29; Ap 5, 11-14; Gv 21, 1-19
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La proclamazione del vangelo oggi comprende due scene: la pesca miracolosa con l’invito di Gesù a mangiare con lui e la triplice confessione di Pietro. È la terza volta che Gesù compare ai discepoli, se escludiamo la manifestazione del Risorto a Maria Maddalena, la prima a cui Gesù appare. Sembra di intuire che, a fronte della titubanza dei discepoli, pur inviati in missione nel mondo, il modello del rapporto del discepolo con Gesù Risorto sia offerto proprio dalla Maddalena, a indicare che la dimensione profonda dell’incontro con Gesù si compie solo nell’amore.
La prima scena, con i discepoli che non prendono nulla tutta la notte e che obbedendo all’invito del Risorto pescano una gran quantità di pesci che poi tirano a riva, dove Gesù li attende per consumare con loro un pasto, si rapporta alla missione degli apostoli nel mondo che continuano la stessa missione di Gesù, realizzando quello che Gesù aveva detto in precedenza: “Vi farò pescatori di uomini” (Mt 4,19). L’esito di questa missione è di riunire tutti i figli di Dio dispersi attorno alla mensa dell’Agnello perché l’amore di Dio conquisti tutti. Nella tradizione la scena del pesce sulla brace con il pane è stata spiegata in riferimento alla umanità di Gesù che si cuoce al fuoco della carità e la presenza del pane in riferimento alla sua divinità. Ma quello che è singolare è l’invito che percorre la nostra storia e che risuona potente e sommesso, come del resto è stata la confessione di Tommaso: “Venite e prendete! Il cibo che vi attende è lo stesso Signore Gesù Cristo, Dio e uomo; uomo per amor nostro, divorato dal fuoco della carità, Dio eterno, pane degli angeli. Venite tutti e saziatevi: venite e prendete” (Ludolfo di Sassonia). S. Agostino spiega: Piscis assus, Christus passus, vale a dire: il pesce arrostito rappresenta Cristo nella sua passione, e proprio in quanto rinnegato e ucciso, è cibo per tutti, a tutti porta vita. Il particolare, misterioso, del numero dei pesci tirati a riva, 153, è variamente interpretato. Riporto solo l’interpretazione di Girolamo (si pensava che esistessero 153 tipi di pesci e quindi il numero significa la totalità dell’umanità) e di Agostino (153 è un cosiddetto numero triangolare, ottenuto con la somma dei numeri da 1 a 17. Dato che 17 è formato da 10 e 7, si interpreta come i dieci comandamenti e i sette doni dello Spirito, sempre a sottolineare l’idea di totalità). Il pasto comune però comporta due ‘offertori’ di sapore eucaristico: c’è il pesce preparato prima da Gesù e il pesce portato dai discepoli. Vi si può ravvisare il dono di Gesù ai suoi e il dono degli uni agli altri nell’amore che risponde a quello di Gesù.
In questo senso, se mettiamo in relazione il brano con la prima lettura degli Atti degli apostoli, dove viene segnalato la ‘gioia’ dei discepoli che sono giudicati degni di subire oltraggi per il nome di Gesù (cfr. At 5,41), comprendiamo l’orizzonte in cui situare la missione dei credenti nel mondo. Il fuoco di carità che ha cotto l’umanità di Gesù per farsi cibo è lo stesso fuoco che cuoce l’umanità dei discepoli perché a tutti appaia l’amore del Signore per noi. Quel fuoco è descritto nei primi capitoli degli Atti come la forza e la franchezza con cui gli apostoli danno testimonianza della risurrezione di Gesù. Non si tratta però semplicemente di una testimonianza di convalida (sì, è proprio vero che Gesù, il crocifisso, è risorto!) ma di una testimonianza di dinamismo (se Gesù è risorto, allora l’amore suo ci ha conquistati al punto che ha trasformato la nostra vita tanto da farci vivere in e di quell’amore. Il segno? La gioia nelle persecuzioni. La gioia non è più pescata negli eventi, ma nella libertà dell’amore).
La seconda scena riguarda l’apostolo Pietro. Si ripete alla fine la stessa scena degli inizi. Gesù chiama Pietro e lo invita a seguirlo. Ma se il primo incontro era l’ingresso in una specie di apprendistato, ora, l’ultimo incontro, è l’entrata nella sequela compiuta di Gesù, crocifisso e risorto. Nel vangelo di Giovanni, il primo incontro di Gesù con Pietro viene narrato in 1,42 quando Gesù gli dice: “Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa – che significa Pietro”. Nel corso della narrazione evangelica viene sempre denominato Simon Pietro o Pietro. Solo alla fine, di nuovo, Gesù lo chiama: “Simone, figlio di Giovanni …” per tre volte. Perché lo chiama con il suo vecchio nome? Sembra che Pietro, con tutto l’amore che porta al suo Maestro, abbia ancora bisogno di qualcosa di essenziale, di decisivo, per realizzare quello che il nome, Pietro, impostogli da Gesù, significa per lui e per la comunità dei suoi fratelli.
Nell’intimità che si era creata, dopo aver mangiato, Gesù si rivolge a Pietro: “Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?”, ripetendogli la domanda altre due volte senza più aggiungere ‘più di costoro’. Nell’ultima cena Pietro aveva protestato: “Signore, perché non posso seguirti ora? Darò la mia vita per te!” (13,37) e poi, nella stessa notte, l’aveva rinnegato tre volte. Era chiaro a tutti che Pietro amava il Signore più di tutti per la sua impetuosità, ma ora Pietro non lo può più riconoscere perché era stato l’unico a rinnegarlo. E quando, la terza volta, Gesù gli dice: “Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?” Pietro non può che restare addolorato perché evidentemente si rendeva conto della sua posizione e, finalmente conquistato alla nuova modalità di sequela che Gesù esigeva, risponde affidandosi: “Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene”. La sua confessione equivale a quella di Tommaso: sommessa e potente, confuso e grato. Come gli dicesse: Signore, tu sai tutto, tu sai che io non pongo in me alcuna fiducia e nemmeno intendo pormi al di sopra degli altri, tu sai che il mio cuore è tutto per te.
E quando Gesù, dopo avergli affidato le sue pecorelle, invitandolo a pascerle e a guidarle, gli rivela che lo seguirà fino alla morte, è come se gli dicesse: ora comprendi quello che ti dicevo: “Quello che io faccio, tu ora non lo capisci; lo capirai dopo” (Gv 13,7). Dai per le mie pecorelle quella vita che volevi mettere a rischio per me, quando nell’audacia dell’amor tuo dicevi: morirò per te! Non sapevi che per dare a te la forza del sacrificio dovevo precederti e patirlo prima io; non sapevi che era necessaria la mia morte in croce affinché tu potessi sopportare il martirio.
Solo ora la sua sequela diventa quella voluta da Gesù. Qui avviene la trasformazione definitiva di Pietro. In effetti, per l’apostolo, non si tratta semplicemente di dare la vita per Gesù – cosa che può avvenire anche dentro una visione delle cose mondana o ideologica! – ma di darla condividendo i suoi segreti, il suo sentire, la sua modalità di azione nel mondo perché tutti abbiano la vita. Potremmo anche interpretare: “Signore, non sono degno del tuo amore, e del mio non posso fare gran conto, ma tu conosci il mio cuore, tu sai che ti vuole bene”. Quando un uomo professa il suo amore come balbettando, appena sussurrando, vuol dire che il suo amore va oltre ogni forma di orgoglio o di pretesa e sarà immune dal tarlo del predominio, sotto qualsiasi forma si cerchi: in quell’amore c’è tutto il suo cuore perché si fida totalmente dell’accoglienza dell’altro. E non ha da esibire altro di sé. E quando l’amore è di tal fatta, allora può assumere il compito pastorale in nome del Signore: “Pasci le mie pecore”. A tutti verrà inviato, di tutti si prenderà cura, e di gran cuore, perché tutti e ciascuno appartengono a quel Signore, il cui amore l’ha conquistato e l’amore per il quale costituisce il vero obiettivo del suo interessamento per tutti, perché tutti lo riconoscano e trovino riposo. Gesù può predirgli tranquillamente il suo martirio: l’intimità goduta, finalmente, non sarà più insidiata, così come è avvenuto per Gesù.
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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):
[I testi delle letture sono protetti dal © Libreria Editrice Vaticana e ne è vietata la riproduzione, anche parziale e con qualsiasi mezzo]
Prima Lettura At 5, 27b-32. 40b-41
Dagli Atti degli Apostoli
In quei giorni, il sommo sacerdote interrogò gli apostoli dicendo: «Non vi avevamo espressamente proibito di insegnare in questo nome? Ed ecco, avete riempito Gerusalemme del vostro insegnamento e volete far ricadere su di noi il sangue di quest’uomo».
Rispose allora Pietro insieme agli apostoli: «Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini. Il Dio dei nostri padri ha risuscitato Gesù, che voi avete ucciso appendendolo a una croce. Dio lo ha innalzato alla sua destra come capo e salvatore, per dare a Israele conversione e perdono dei peccati. E di questi fatti siamo testimoni noi e lo Spirito Santo, che Dio ha dato a quelli che gli obbediscono».
Fecero flagellare [gli apostoli] e ordinarono loro di non parlare nel nome di Gesù. Quindi li rimisero in libertà. Essi allora se ne andarono via dal Sinedrio, lieti di essere stati giudicati degni di subire oltraggi per il nome di Gesù.
Salmo Responsoriale Dal Salmo 29
Ti esalterò, Signore, perché mi hai risollevato.
Ti esalterò, Signore, perché mi hai risollevato,
non hai permesso ai miei nemici di gioire su di me.
Signore, hai fatto risalire la mia vita dagli inferi,
mi hai fatto rivivere perché non scendessi nella fossa.
Cantate inni al Signore, o suoi fedeli,
della sua santità celebrate il ricordo,
perché la sua collera dura un istante,
la sua bontà per tutta la vita.
Alla sera ospite è il pianto
e al mattino la gioia.
Ascolta, Signore, abbi pietà di me,
Signore, vieni in mio aiuto!
Hai mutato il mio lamento in danza,
Signore, mio Dio, ti renderò grazie per sempre.
Seconda Lettura Ap 5, 11-14
Dal libro dell’Apocalisse di san Giovanni apostolo
Io, Giovanni, vidi, e udii voci di molti angeli attorno al trono e agli esseri viventi e agli anziani. Il loro numero era miriadi di miriadi e migliaia di migliaia e dicevano a gran voce:
«L’Agnello, che è stato immolato,
è degno di ricevere potenza e ricchezza,
sapienza e forza,
onore, gloria e benedizione».
Tutte le creature nel cielo e sulla terra, sotto terra e nel mare, e tutti gli esseri che vi si trovavano, udii che dicevano:
«A Colui che siede sul trono e all’Agnello
lode, onore, gloria e potenza,
nei secoli dei secoli».
E i quattro esseri viventi dicevano: «Amen». E gli anziani si prostrarono in adorazione.
Vangelo Gv 21, 1-19
Dal vangelo secondo Giovanni
[ In quel tempo, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberìade. E si manifestò così: si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaèle di Cana di Galilea, i figli di Zebedèo e altri due discepoli. Disse loro Simon Pietro: «Io vado a pescare». Gli dissero: «Veniamo anche noi con te». Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla.
Quando già era l’alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?». Gli risposero: «No». Allora egli disse loro: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signore!». Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si strinse la veste attorno ai fianchi, perché era svestito, e si gettò in mare. Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: non erano infatti lontani da terra se non un centinaio di metri.
Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. Disse loro Gesù: «Portate un po’ del pesce che avete preso ora». Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si squarciò. Gesù disse loro: «Venite a mangiare». E nessuno dei discepoli osava domandargli: «Chi sei?», perché sapevano bene che era il Signore. Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro, e così pure il pesce. Era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risorto dai morti. ]
Quand’ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». Gli disse di nuovo, per la seconda volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pascola le mie pecore». Gli disse per la terza volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse: «Mi vuoi bene?», e gli disse: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecore. In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi». Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: «Seguimi».