Sesto ciclo
Anno liturgico C (2018-2019)
Tempo di Pasqua
II Domenica di Pasqua
(28 aprile 2019)
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At 5, 12-16; Sal 117; Ap 1, 9-11.12-13.17.19; Gv 20, 19-31
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A differenza del proverbio popolare che, di Tommaso, ha ritenuto la sua incredulità e testardaggine, la liturgia ne coglie invece tutta l’audacia e l’ardore. Come proclama un’antifona della liturgia bizantina: “Attingendo ricchezza dall’inviolabile tesoro del tuo divino costato trafitto dalla lancia, Didimo ha riempito il mondo di sapienza e conoscenza”. La valenza simbolica del suo mettere la mano nel costato di Gesù è la medesima del reclinarsi di Giovanni sul petto di Gesù nell’ultima cena: “O straordinario prodigio! Giovanni ha riposato sul petto del Verbo, Tommaso ha ottenuto di toccare il suo costato: e l’uno ne ha tremendamente tratto l’abisso della teologia, mentre l’altro è stato reso degno di iniziarci alla manifestazione del mistero di Gesù, perché chiaramente ci presenta le prove della sua risurrezione”.
Tommaso non è un pavido, un insicuro. Le altre due volte che il vangelo di Giovanni parla di Tommaso ce lo presenta come un uomo generoso, pronto ad andare a morire con Gesù. Il suo dubbio procede da un cuore che ha preso così sul serio la vicenda di Gesù che non vuole illudersi. Quando Gesù gli dice di mettere la mano nel costato e nelle cicatrici, non ha bisogno di ricredersi o di scusarsi: si trova tutto teso a quel Signore che ha sempre voluto seguire e che ora riconosce per davvero: ‘mio Signore e mio Dio’, la più solenne professione di fede del vangelo di Giovanni e, nello stesso tempo, la più intima delle professioni. In quel mio, c’è tutto l’anelito del suo cuore, la sua appassionata esperienza di lui; in quel Signore e Dio, c’è tutta la rivelazione di Gesù al suo cuore, l’intelligenza di tutte le Scritture. È l’unica volta nei vangeli che Gesù è chiamato direttamente Dio.
Se, da parte di Gesù, il suo rivolgersi ai discepoli e poi a Tommaso con il mostrare le sue cicatrici significa: ‘sono proprio io, colui che per voi, per te, ha patito’, il riconoscimento da parte dei discepoli significa: ‘Dio ha proprio amato il mondo, le nostre vite hanno senso solo come risposta a quell’amore che in Gesù ha svelato il vero volto di Dio pieno di accondiscendenza per gli uomini, solo l’amore che da lui deriva e a lui si volge sazia il cuore’.
La pace che Gesù risorto dona è appunto la pace che scaturisce dal vedere il suo Volto, dal vederLo con tutti i segni di quell’amore che fa riposare il nostro cuore, gli fa trovare casa finalmente. Non è un dono particolare, un dono in più: è la conseguenza del vederLo, del suo stare con noi in atto di mostrarsi a noi, dello schiudersi del nostro cuore alla visione di Lui. È quanto ogni amore desidera e da qui, da questa profonda intimità che ne deriva, proviene tutta la nostra forza. I discepoli sono arrivati gradualmente alla conoscenza di questa verità. All’inizio li hanno aiutati dei ‘segni’: la tomba vuota, il racconto delle donne, degli altri discepoli; poi hanno potuto vedere loro stessi Gesù il quale si è fermato con loro, ha mangiato con loro, li ha istruiti, ma senza ancora poter avere la forza di testimoniare con la loro vita questa sconvolgente verità. Per ultimo, con l’invio dello Spirito Santo, hanno sentito che la verità di tutta la loro vita e la verità della vita degli uomini fosse tutta in quel Figlio di Dio, morto e risorto, ‘nel quale sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza’ (Col 2,3) per il quale solo valeva la pena di buttare la propria vita, nel desiderio che tutti finalmente potessero godere di quei tesori di sapienza e di scienza, fino alla fine del mondo.
Se abbiniamo la confessione di fede di Tommaso alla proclamazione di fede di Giovanni nell’Apocalisse, come abbiamo ascoltato nella seconda lettura, tutto si carica di risonanze straordinarie. Il Figlio d’uomo che compare in visione a Giovanni si presenta con queste parole: “Non temere! Io sono il Primo e l’Ultimo e il Vivente. Ero morto, ma ora vivo per sempre e ho le chiavi della morte e degli inferi”. Parole che la colletta riprende: “O Padre, che nel giorno del Signore raduni il tuo popolo per celebrare colui che è il Primo e l’Ultimo, il Vivente che ha sconfitto la morte, donaci la forza del tuo Spirito, perché, spezzati i vincoli del male, ti rendiamo il libero servizio della nostra obbedienza e del nostro amore, per regnare con Cristo nella gloria”.
Quelle parole non attestano semplicemente la verità personale del Risorto, ma la dinamica di rivelazione dell’amore di Dio ai suoi figli che Gesù ha mostrato in tutto il suo splendore. Da intendere: io, che sono il primo, mi sono fatto ultimo, servo di tutti e perciò sono pieno della vita di Dio, che è amore per voi. Così voi, se vi fate servi di tutti, sarete innestati in colui che è Primo e godrete della vita che a lui appartiene. Chiedere la forza del suo Spirito è chiedere di essere innestati nella potenza di questa rivelazione. Quando il Risorto afferma che lui ha le chiavi della morte significa che con lui la morte non agisce più, morte intesa nel senso di mortificazione dell’amore che è vita di Dio per noi.
Tommaso, con la sua confessione di fede, allude alla percezione di questa verità, ormai pronto a compiere quello che sempre ha desiderato nella sua generosità: seguire il suo Maestro fino alla morte. Come per tutti i discepoli, perché qui si innesta la missione di cui ci fa portatori il Signore: “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi”. La pace che dà il Signore è quella per la quale gli apostoli sono inviati nel mondo, per la quale viene loro dato lo Spirito Santo in modo che l’innocenza ottenuta da Dio e con Dio confermi la fraternità degli uomini, segno dello splendore della presenza di Dio ormai riconosciuto. Spiega Gregorio Magno: “Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi, cioè: come il Padre Dio ha inviato me Dio, così io uomo mando voi uomini. Il Padre inviò il Figlio, avendo stabilito che questi si incarnasse per la redenzione del genere umano: volle che entrasse nel mondo per subire la passione, e tuttavia amò il Figlio, che pure era stato inviato per affrontare la morte. E anche gli Apostoli non furono destinati dal Signore ai piaceri del mondo, ma vi furono inviati per subire dolori come era avvenuto per Lui. Così il Figlio è amato dal Padre, e tuttavia è mandato alla passione; come i discepoli sono amati dal Signore, ma inviati nel mondo per affrontare le sofferenze. Per questo Egli dice: Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi, cioè, quando vi espongo alle ingiustizie dei persecutori vi amo con lo stesso amore che ha verso di me il Padre, che pure mi ha inviato a subire tanti dolori”.
Se la liturgia pasquale proclama insistentemente: “eterna è la sua misericordia”, ciò significa non soltanto che Dio sarà eternamente fedele alla sua misericordia, che la sua misericordia durerà per sempre, ma soprattutto che, essendo la sua misericordia dall’eternità, si trova alle origini del nostro mondo, ne racchiude il senso e il mistero fino alla fine, finché il mondo sussisterà. Anche questo è racchiuso nella sussurrata e potentissima confessione di fede di Tommaso: mio Signore e mio Dio!
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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):
[I testi delle letture sono protetti dal © Libreria Editrice Vaticana e ne è vietata la riproduzione, anche parziale e con qualsiasi mezzo]
Prima Lettura At 5, 12-16
Dagli Atti degli Apostoli
Molti segni e prodigi avvenivano fra il popolo per opera degli apostoli. Tutti erano soliti stare insieme nel portico di Salomone; nessuno degli altri osava associarsi a loro, ma il popolo li esaltava.
Sempre più, però, venivano aggiunti credenti al Signore, una moltitudine di uomini e di donne, tanto che portavano gli ammalati persino nelle piazze, ponendoli su lettucci e barelle, perché, quando Pietro passava, almeno la sua ombra coprisse qualcuno di loro.
Anche la folla delle città vicine a Gerusalemme accorreva, portando malati e persone tormentate da spiriti impuri, e tutti venivano guariti.
Salmo Responsoriale Dal Salmo 117
Rendete grazie al Signore perché è buono: il suo amore è per sempre.
Dica Israele:
«Il suo amore è per sempre».
Dica la casa di Aronne:
«Il suo amore è per sempre».
Dicano quelli che temono il Signore:
«Il suo amore è per sempre».
La pietra scartata dai costruttori
è divenuta la pietra d’angolo.
Questo è stato fatto dal Signore:
una meraviglia ai nostri occhi.
Questo è il giorno che ha fatto il Signore:
rallegriamoci in esso ed esultiamo!
Ti preghiamo, Signore: Dona la salvezza!
Ti preghiamo, Signore: Dona la vittoria!
Benedetto colui che viene nel nome del Signore.
Vi benediciamo dalla casa del Signore.
Il Signore è Dio, egli ci illumina.
Seconda Lettura Ap 1, 9-11.12-13.17.19
Dal libro dell’Apocalisse di san Giovanni apostolo
Io, Giovanni, vostro fratello e compagno nella tribolazione, nel regno e nella perseveranza in Gesù, mi trovavo nell’isola chiamata Patmos a causa della parola di Dio e della testimonianza di Gesù.
Fui preso dallo Spirito nel giorno del Signore e udii dietro di me una voce potente, come di tromba, che diceva: «Quello che vedi, scrivilo in un libro e mandalo alle sette Chiese».
Mi voltai per vedere la voce che parlava con me, e appena voltato vidi sette candelabri d’oro e, in mezzo ai candelabri, uno simile a un Figlio d’uomo, con un abito lungo fino ai piedi e cinto al petto con una fascia d’oro.
Appena lo vidi, caddi ai suoi piedi come morto. Ma egli, posando su di me la sua destra, disse: «Non temere! Io sono il Primo e l’Ultimo, e il Vivente. Ero morto, ma ora vivo per sempre e ho le chiavi della morte e degli inferi. Scrivi dunque le cose che hai visto, quelle presenti e quelle che devono accadere in seguito».
Vangelo Gv 20, 19-31
Dal vangelo secondo Giovanni
La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.