Sesto ciclo
Anno liturgico C (2018-2019)
Tempo Ordinario
VIII Domenica
(3 marzo 2019)
___________________________________________________
Sir 27,4-7; Sal 91; 1Cor 15,54-58; Lc 6,39-45
___________________________________________________
Il brano di oggi segue l’illustrazione del criterio di discernimento del bene che Gesù ha appena spiegato: quale grazia devono mostrare i discepoli nel loro agire? Il loro agire dove deve pescare? Cosa deve far splendere? Gesù racconta la parabola dei due ciechi che cadono nel fosso se non saranno guidati. E formula il principio: “Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro” (Lc 7,40). Poi aggiunge l’invito a non guardare al difetto, piccolo, del fratello senza aver prima considerato il difetto, grande, di noi stessi, se non si vuole essere ipocriti. Sul principio: “L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda” (Lc 7,45).
Quello che forse stentiamo a riconoscere è il collegamento tra il primo e il secondo principio. Secondo le parole di Gesù in cosa consiste l’ipocrisia? L’ipocrisia è l’atteggiamento di chi giudica in proprio senza rifarsi al suo maestro, senza voler seguire il suo maestro. Se ci riferiamo al passo di Giovanni in cui si narra, dopo la lavanda dei piedi nell’ultima cena, dell’esortazione che rivolge ai suoi apostoli, possiamo intuire la profondità di senso delle parole di Gesù. Ritornando sul gesto dell’aver lavato i piedi ai suoi apostoli, Gesù spiega: “Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi. In verità, in verità io vi dico: un servo non è più grande del suo padrone, né un inviato è più grande di chi lo ha mandato. Sapendo queste cose, siete beati se le mettete in pratica” (Gv 13,15-17).
La bontà di cui parla Gesù è quella che deriva dall’imitazione di Dio: “Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo” (Lc 18,19). E se Gesù è il testimone per eccellenza della bontà di Dio per l’uomo, allora chi si muove come lui otterrà un cuore buono. Ma per muoversi come lui, occorre prima accoglierlo, riconoscerlo, dimorare in lui, riconoscersi in lui. Il buon tesoro del cuore è proprio lui. Da quel buon tesoro non possono che derivare frutti di bene. Quando però il nostro cuore fa resistenza, ha paura, si nasconde, non vuol riconoscersi in colui che è il suo salvatore e il suo riposo, allora avviene che dal cattivo tesoro derivano frutti di male. Il primo segnale di questo è l’ipocrisia, vale a dire pretendere di giudicare il fratello senza patire prima il giudizio su noi stessi, con la presunzione di ammantare di vesti splendide ciò che è intrinsecamente sgradito a Dio: voler correggere il fratello per il suo bene senza sincerarsi che quel bene faccia conoscere il Signore nella sua bontà.
È poi caratteristico che l’esemplificazione del frutto buono o cattivo sia applicato alla parola. Lo diceva già il libro del Siracide: “Quando si scuote un setaccio restano i rifiuti; così quando un uomo discute, ne appaiono i difetti. I vasi del ceramista li mette a prova la fornace, così il modo di ragionare è il banco di prova per un uomo. Il frutto dimostra come è coltivato l’albero, così la parola rivela i pensieri del cuore” (Sir 27,4-6). E il salmo responsoriale commenta questa costatazione con l’invito al rendimento di grazie, l’atteggiamento che segnala la sincerità del cuore nei confronti di Dio e la libertà del cuore nei confronti dei fratelli: “È bello rendere grazie al Signore … annunciare quanto è retto il Signore, mia roccia: in lui non c’è malvagità” (Sal 91,2.16). Prima ancora che una certa parola, a rivelare i pensieri del cuore è il tono con cui questa parola è rivolta ai fratelli, è la disposizione interiore profonda nella quale quella parola pesca. E se la disposizione interiore è quella che Gesù fa sentire con il lavare i piedi ai discepoli, allora vuol dire che il cuore ha accolto la misericordia di Dio per noi e tutte le parole che formulerà porteranno il profumo di quella misericordia. L’ipocrisia sarà vinta.
Nella tradizione ebraica il salmo 91/92 è l’unico salmo in cui si annota che deve essere cantato in un certo giorno, cioè di sabato. Il Targum interpreta questo salmo come il canto del primo Adamo. E noi possiamo interpretarlo come il canto dell’ultimo Adamo, del nuovo Adamo, di Gesù, lui che è il vero albero buono che produce frutti buoni. Come un’antica preghiera salmica fa pregare: “Accordaci, Signore, che, trapiantati nella tua dimora, fioriamo sempre nei tuoi atri. Fa’ che non periamo, insieme ai peccatori, come l’erba dei campi, ingannati dalle vanità passeggere, ma, portando un frutto di conversione, godiamo di te solo, che rimani in eterno, in una felicità senza fine”.
Così, l’immagine dell’albero buono che produce frutti buoni e di quello cattivo che produce frutti cattivi, non è semplicemente una massima, un proverbio. È l’indicazione di un percorso, è rivelazione di una verità: se starete saldi in colui che ha avuto misericordia per voi, anche voi potrete usare misericordia ai vostri fratelli. E in questo, essere come il vostro Maestro, nulla più. Esiste però titolo maggiore di gloria per il discepolo di Gesù? Avviene finalmente quello che il canto al vangelo proclama citando un passo della lettera ai Filippesi: “Risplendete come astri nel mondo, tenendo salda la parola di vita” (Fil 2,15d-16a). La luce di cui si parla non è luce propria, ma la luce della vita del Signore nostro Gesù Cristo, capace di dare libertà, pace e gioia al cuore, generando nel nostro cuore parole di vita che a lui rimandano e che di lui fanno sognare.
***
I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):
[I testi delle letture sono protetti dal © Libreria Editrice Vaticana e ne è vietata la riproduzione, anche parziale e con qualsiasi mezzo]
Prima Lettura Sir 27,4-7
Dal libro del Siracide
Quando si agita un vaglio, restano i rifiuti;
così quando un uomo riflette, gli appaiono i suoi difetti.
La fornace prova gli oggetti del vasaio,
la prova dell’uomo si ha nella sua conversazione.
Il frutto dimostra come è coltivato l’albero,
così la parola rivela il sentimento dell’uomo.
Non lodare un uomo prima che abbia parlato,
poiché questa è la prova degli uomini.
Salmo Responsoriale Dal Salmo 91
È bello cantare il tuo nome, Signore.
E’ bello annunziare al mattino il tuo amore,
la tua fedeltà lungo la notte,
Poiché mi rallegri, Signore, con le tue meraviglie,
esulto per l’opera delle tue mani.
Il giusto fiorirà come palma, crescerà come cedro del Libano;
piantati nella casa del Signore,
fioriranno negli atri del nostro Dio.
Nella vecchiaia daranno ancora frutti,
saranno vegeti e rigogliosi,
per annunziare quanto è retto il Signore:
mia roccia, in lui non c’è ingiustizia.
Seconda Lettura 1 Cor 15,54-58
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi
Fratelli, quando questo corpo corruttibile si sarà vestito d’incorruttibilità e questo corpo mortale d’immortalità, si compirà la parola della Scrittura: “La morte è stata ingoiata per la vittoria. Dov’è, o morte, la tua vittoria? Dov’è, o morte, il tuo pungiglione?”.
Il pungiglione della morte è il peccato e la forza del peccato è la legge. Siano rese grazie a Dio che ci dà la vittoria per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo!
Perciò, fratelli miei carissimi, rimanete saldi e irremovibili, prodigandovi sempre nell’opera del Signore, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore.
Vangelo Lc 6,39-45
Dal vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli una parabola: «Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutt’e due in una buca? Il discepolo non è da più del maestro; ma ognuno ben preparato sarà come il suo maestro.
Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello, e non t’accorgi della trave che è nel tuo? Come puoi dire al tuo fratello: Permetti che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio, e tu non vedi la trave che è nel tuo? Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio e allora potrai vederci bene nel togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello.
Non c’è albero buono che faccia frutti cattivi, né albero cattivo che faccia frutti buoni. Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dalle spine, né si vendemmia uva da un rovo.
L’uomo buono trae fuori il bene dal buon tesoro del suo cuore; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male, perché la bocca parla dalla pienezza del cuore».