Sesto ciclo
Anno liturgico C (2018-2019)
Tempo Ordinario
II Domenica
(20 gennaio 2019)
___________________________________________________
Is 62,1-5; Sal 95 (96); 1Cor 12,4-11; Gv 2,1-12
___________________________________________________
Il brano evangelico di oggi si conclude con l’annotazione: “Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui” (Gv 2,11). Il vangelo di Giovanni termina con l’affermazione: “Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome” (Gv 20,30-31). Giovanni usa il termine ‘segno’ e non ‘miracolo’ in riferimento ai gesti simbolici di Gesù per indicare che in lui ha luogo l’evento escatologico, il compimento delle promesse di Dio. Il lettore del vangelo sa che verrà introdotto all’esperienza degli apostoli: “E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità” (Gv 1,14).
Ora, la manifestazione della gloria di Gesù ha sempre a che fare con il suo amore salvatore, tanto che la manifestazione suprema della sua gloria avverrà sulla croce, quando la sua ora sarà venuta e tutto sarà compiuto. I segni, che Gesù compie nel suo cammino verso quell’ora, hanno lo scopo di orientare gli sguardi a ciò che avverrà in quell’ora, l’ora della sua glorificazione, allorquando il re crocifisso apparirà come il re della gloria, per aver mostrato la grandezza e lo splendore dell’amore del Padre per noi, sigillando nel sangue la nuova alleanza ed effondendo su tutti il suo Spirito di vita.
Nel racconto di Giovanni gli eventi, che intercorrono dal riconoscimento di Gesù al Giordano da parte di Giovanni Battista fino alle nozze di Cana, sono racchiusi nello spazio di una settimana, in riferimento alla settimana della creazione narrata dalla Genesi. L’episodio di Cana segue il riconoscimento di Gesù da parte di Natanaele, il quale segue quello da parte di Andrea e Giovanni, i quali seguono quello di Giovanni Battista. Per cogliere la portata del miracolo di Cana, bisogna percepire la densità di quel ‘andarono dunque e videro’ (Gv 1,39) di Andrea e Giovanni, i quali svelando a Pietro tutta l’emozione che li abitava riferiscono la loro scoperta in questi termini: ‘abbiamo trovato il Messia’. E ancora, bisogna intuire la sorpresa di Natanaele, che risiedeva proprio a Cana, quando Gesù gli si rivolge con quelle parole: ‘vedrai cose più grandi di queste!’ (Gv 1,50). Tutti i segni che Gesù compie sono collocati nella scia di questo ‘vedere cose più grandi’ fino alla rivelazione suprema, con la sua morte e risurrezione, allorquando le cose più grandi sono ormai le cose ultime, definitive, supreme, a partire dalle quali tutto prende senso e splendore.
L’annotazione temporale ‘il terzo giorno’ allude anche al legamento di Isacco da parte di Abramo nel suo viaggio verso il monte Moria dove avrebbe sacrificato il figlio (“Il terzo giorno Abramo alzò gli occhi e da lontano vide quel luogo…”, Gen 22,4); allude alla teofania del Sinai (“Il terzo giorno, sul far del mattino, vi furono tuoni e lampi, una nube densa sul monte e un suono fortissimo di corno: tutto il popolo che era nell’accampamento fu scosso da tremore”, Es 19,16); allude alla risurrezione di Gesù (“Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere»”, Gv 2,19). Tutte allusioni che rendono particolarmente denso il racconto giovanneo delle nozze di Cana.
Il racconto, simbolo dell’antica alleanza in cui Dio appariva come lo Sposo del popolo, non ruota attorno alla figura degli sposi novelli, di cui non sappiamo nulla, ma attorno all’intervento di Gesù. Gesù interviene da invitato: è lui il nuovo Sposo, come aveva ben visto il Battista (cfr. Gv 1,15.27.30). E manca il vino, quello che solo il Messia avrebbe portato, il vino simbolo dell’amore e della gioia, compimento delle promesse di Dio al suo popolo. Il vino è collegato al Messia secondo la profezia messianica di Gen 49,11. È simbolo dell’amore come appare nel Cantico dei cantici 1,2;7,10; 8,2. Se ne accorge sua madre, che appartiene all’antica alleanza, ma la cui fedeltà a Dio la rende capace di vedere in Gesù il Messia, per cui si rivolge fiduciosa ai servi: “Qualsiasi cosa vi dica, fatela”.
Gesù, che fa riempire d’acqua le anfore di pietra e fa attingere e portare in tavola, realizza il passaggio dall’antica alla nuova alleanza con il dono del vino, che simboleggia l’esperienza diretta e personale, nella gioia e nell’amore, della relazione tra Dio e l’uomo: “Perché la legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo” (Gv 1,17). Quello che la legge prometteva, Gesù lo rende possibile in sovrabbondanza; quello a cui anelava il cuore dell’uomo ora diventa vivibile, gustosamente esperibile: l’uomo vive finalmente la pace con il suo Dio, in un amore ritrovato e condivisibile. E questo si vedrà proprio nella sua ora quando dalla croce risplenderà il suo amore infinito, amore che, con il dono dello Spirito Santo, diventa radice di vita e di azione nel suo discepolo e segno di Dio per il mondo intero.
La trasformazione dell’acqua in vino si ritrova nella storia delle religioni come espressione di un sogno degli uomini, ma il contesto in cui avviene non è mai un matrimonio. La cerimonia nuziale come contesto di questo segno è tipica dell’immagine messianica del vangelo, che dà un sapore tutto nuovo al vivere insieme da discepoli di Gesù secondo la dinamica dell’acqua, divenuta vino, che si offre nella Parola, divenuta carne e attraverso di essa. Tutto il vangelo resta immerso in questa atmosfera nuziale. Le nozze, che illustrano il mistero della comunione di Dio con l’uomo, alludono al compimento dei desideri del cuore ormai abitati dal desiderio di Dio che ci è venuto incontro, che ci ha guadagnati al suo amore e che ci ha conquistati al suo splendore.
Il miracolo di Cana, mentre allude al passaggio dalla Legge alla Grazia, allude anche al mistero dell’intelligenza delle Scritture. Tutte le Scritture parlano di lui (‘Voi scrutate le Scritture pensando di avere in esse la vita eterna: sono proprio esse che danno testimonianza di me’, Gv 5,39): tutte le parole alludono alla Parola fatta carne. E quando si incomincia a intravedere questa tensione profonda che percorre tutta la Scrittura, allora si passa dal bere l’acqua al gustare il vino (che sulla bocca del maestro di tavola è chiamato ‘vino bello’). Così come nel compiere i comandamenti di Dio: un conto è praticarli materialmente, un conto è praticarli cogliendo l’ispirazione e la rivelazione di vita che comportano.
Quest’ultimo aspetto è ben delineato nel brano di Isaia che descrive Dio come lo Sposo che gioisce della sua sposa, la quale passa da una percezione di angosciosa solitudine, di abbandonata, all’emozione di essere svelata a se stessa in una dolcezza di riposo perché sposata (forse, meglio: ‘abitata in dolcezza’, come segnala l’antica versione greca della LXX). La percezione di quella nuova realtà, di cui è indegna, ma di cui gode nell’intimo, grata e consegnata, costituisce il contenuto del nome nuovo con la quale è chiamata. ‘Acqua’ e ‘vino’ diventano così le due modalità con cui è possibile agire nella vita: tutto si può fare essendo acqua e tutto si può fare essendo vino. Per questo è detto che il vino rallegra il cuore dell’uomo (cfr. Sal 104,15) e che il regno di Dio è definito con l’immagine della gioia delle nozze.
Possiamo allora pregare con la chiesa: “… la santa chiesa sperimenti la forza trasformante del suo amore e pregusti nella speranza la gioia delle nozze eterne”, allorquando tutti ci relazioneremo come figli di Dio nell’esperienza assoluta e sovrana dell’amore di Dio per noi.
***
I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):
[I testi delle letture sono protetti dal © Libreria Editrice Vaticana e ne è vietata la riproduzione, anche parziale e con qualsiasi mezzo]
Prima Lettura Is 62,1-5
Dal libro del profeta Isaìa
Per amore di Sion non tacerò,
per amore di Gerusalemme non mi concederò riposo,
finché non sorga come aurora la sua giustizia
e la sua salvezza non risplenda come lampada.
Allora le genti vedranno la tua giustizia,
tutti i re la tua gloria;
sarai chiamata con un nome nuovo,
che la bocca del Signore indicherà.
Sarai una magnifica corona nella mano del Signore,
un diadema regale nella palma del tuo Dio.
Nessuno ti chiamerà più Abbandonata,
né la tua terra sarà più detta Devastata,
ma sarai chiamata Mia Gioia
e la tua terra Sposata,
perché il Signore troverà in te la sua delizia
e la tua terra avrà uno sposo.
Sì, come un giovane sposa una vergine,
così ti sposeranno i tuoi figli;
come gioisce lo sposo per la sposa,
così il tuo Dio gioirà per te.
Salmo Responsoriale Dal Salmo 95
Annunciate a tutti i popoli le meraviglie del Signore.
Cantate al Signore un canto nuovo,
cantate al Signore, uomini di tutta la terra.
Cantate al Signore, benedite il suo nome.
Annunciate di giorno in giorno la sua salvezza.
In mezzo alle genti narrate la sua gloria,
a tutti i popoli dite le sue meraviglie.
Date al Signore, o famiglie dei popoli,
date al Signore gloria e potenza,
date al Signore la gloria del suo nome.
Prostratevi al Signore nel suo atrio santo.
Tremi davanti a lui tutta la terra.
Dite tra le genti: «Il Signore regna!».
Egli giudica i popoli con rettitudine.
Seconda Lettura 1 Cor 12, 4-11
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi
Fratelli, vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti.
A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune: a uno infatti, per mezzo dello Spirito, viene dato il linguaggio di sapienza; a un altro invece, dallo stesso Spirito, il linguaggio di conoscenza; a uno, nello stesso Spirito, la fede; a un altro, nell’unico Spirito, il dono delle guarigioni; a uno il potere dei miracoli; a un altro il dono della profezia; a un altro il dono di discernere gli spiriti; a un altro la varietà delle lingue; a un altro l’interpretazione delle lingue.
Ma tutte queste cose le opera l’unico e medesimo Spirito, distribuendole a ciascuno come vuole.
Vangelo Gv 2, 1-12
Dal vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli.
Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela».
Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono.
Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora».
Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.