(Brano tratto da: Louis GINZBERG, Le leggende degli ebrei, vol. II, Da Abramo a Giacobbe, Adelphi, Milano 1997, a cura di Elena Loewenthal, (pagg. 63-68).
Nel terzo giorno successivo alla circoncisione, Dio vide che Abramo era in preda a terribili sofferenze e disse agli angeli: «Andiamo a far visita al malato». Gli angeli però replicarono: «“Che è l’uomo da ricordarTi di lui, il figlio dell’uomo ché Tu ne debba aver cura?” (Sal, 8,5). Perché mai dovresti recarti in un luogo di impurità, sangue e sporcizia?». Ma Dio disse loro: «Così dice il Signore. Sappiate che quel sangue mi è più gradito della mirra e dell’incenso: se voi non volete visitare Abramo, andrò da solo».
Il giorno in cui Dio si recò dal patriarca era particolarmente infuocato, perché il Signore aveva aperto un buco nell’inferno in modo che l’afa potesse raggiungere la superficie della terra: questo affinché nessun viandante si avventurasse per strada, disturbando Abramo che soffriva. Quel deserto però rese il patriarca più angustiato che mai, tanto che mandò il suo servo Eliezer a fare un giro nei paraggi per vedere se arrivava qualcuno. La ricerca fu però infruttuosa, e Abramo, nonostante il dolore e la calura soffocante, si apprestò a incamminarsi egli stesso lungo la strada maestra, nella speranza di riuscire là dove Eliezer aveva fallito, e di trovare un viaggiatore cui offrire ospitalità. Il patriarca, infatti, conosceva bene quel proverbio che dice: «Non ti fidare degli schiavi». Proprio in quel momento gli apparve Dio, circondato dagli angeli. Abramo cercò di alzarsi, ma Dio gli impedì qualunque atto di riverenza formale, e quando egli replicò che era sconveniente restare seduti in presenza del Signore, Dio disse: «Sappi che in futuro i tuoi discendenti già a quattro o cinque anni staranno seduti nelle scuole e nelle sinagoghe dove Io dimorerò!».
In quel momento Abramo vide tre uomini. Erano gli angeli Michele, Gabriele e Raffaele che avevano assunto quell’aspetto per esaudire il suo desiderio di adempiere al dovere dell’ospitalità. A ciascuno di loro inoltre Dio aveva conferito una particolare missione da svolgere sulla terra: Raffaele doveva curare la ferita di Abramo, Michele comunicare a Sara la lieta notizia di una prossima gravidanza, mentre Gabriele aveva il compito di distruggere Sodoma e Gomorra. Giunti nei pressi della tenda del patriarca, i tre angeli si accorsero che era intento a medicarsi, e per questo si ritirarono. Ma Abramo corse loro incontro uscendo per un altro ingresso della sua tenda, che aveva ampie aperture su ogni lato. Egli considerava infatti il dovere dell’ospitalità ancor più importante che accogliere la Šekinah stessa. Abramo implorò dunque Dio: «Signore, Ti prego, non abbandonare il Tuo servo mentre si prende cura degli ospiti». Poi si rivolse allo straniero che stava in mezzo agli altri due e che per questo pensò fosse il più importante – era l’arcangelo Michele -, e lo invitò ad accedere con i compagni alla sua tenda. I modi cortesi che usavano fra loro quei viaggiatori fecero una buona impressione ad Abramo, e lo convinsero di aver a che fare con persone di alto rango. Ma dato il loro aspetto da arabi, gente che usava adorare la polvere sui propri piedi, egli li invitò a lavarseli prima di entrare, così da non contaminare la sua tenda.
Nel giudicare l’indole di quei viandanti Abramo non si affidò semplicemente al proprio intuito. Nei pressi della tenda vi era un albero che dispiegava le fronde e donava la sua ombra solo a coloro che avevano fede in Dio. Se capitavano degli idolatri, i rami si volgevano verso l’alto, negando alla terra la propria frescura: e Abramo, all’apparire di questo segno, accorreva ad adempiere alla sua missione di convertire i pagani. Oltre a saper distinguere il devoto dall’empio, l’albero riconosceva il puro dall’impuro, negando a quest’ultimo la propria ombra finché non si fosse sottoposto al bagno rituale nella sorgente che scaturiva dalle sue radici, le cui acque sgorgavano immediatamente se l’impurità era di carattere veniale e dunque rimediabile all’istante, mentre nei casi più gravi si facevano aspettare per sette giorni. Abramo invitò dunque i tre ad appoggiarsi contro l’albero, per aver modo di capire se erano degni o meno.
Avuta la certezza che si trattava davvero di sant’uomini, quelli di cui si dice che «parlano poco e agiscono molto», Abramo disse: «“prenderò un pezzo di pane, rinfrancherete il vostro cuore” (Gn, 18,5), visto che siete passati presso la mia tenda proprio all’ora del pasto. Poi, dopo che avremo reso grazie a Dio, potrete proseguire il vostro cammino». In realtà quello che gli ospiti si videro servire fu un banchetto regale, persino più fastoso di quelli che avrebbe imbandito Salomone al culmine della sua gloria. Abramo in persona corse alla mandria per procurare la carne. Macellò tre vitelli, così da poter ammannire a ogni ospite una «lingua in salsa di senape», e affidò a Ismaele il compito di prepararli, al fine di educarlo all’osservanza dei precetti graditi a Dio, mentre a Sara ordinò di cuocere il pane. Consapevole del fatto che le donne tendono a mostrarsi piuttosto avare con gli ospiti, Abramo fu molto chiaro nella sua richiesta. Disse infatti: «prendi tre seà di fior di farina» (Gn 18,6). Ma il pane non comparve sulla tavola perché un caso fortuito lo aveva reso impuro, mentre egli lo ammetteva ogni giorno al proprio desco solo se perfetto. Il patriarca in persona servì i suoi ospiti, e gli parve che mangiassero: ma non era che un’illusione. Gli angeli in realtà non toccarono cibo, e a consumare il banchetto furono Abramo, i suoi tre amici Aner, Escol e Mamre e suo figlio Ismaele, mentre le porzioni offerte ai messaggeri divini furono divorate da un fuoco celeste.
Pur sotto spoglie umane gli angeli rimanevano angeli, ma la dignità di Abramo era tale che essi stessi, in sua presenza, si sentivano insignificanti.
Dopo il pasto gli angeli chiesero di Sara: sapevano che si era ritirata nella sua tenda, ma le convenienze volevano che si rendesse omaggio alla padrona di casa. Le mandarono perciò una coppa di vino sulla quale era stata pronunciata la benedizione. Poi Michele, sommo fra gli angeli, annunciò la nascita di Isacco. Tracciò una riga sulla parete, e disse: «quando il sole giungerà a questo punto, Sara concepirà un figlio; e quando toccherà il successivo, ella darà alla luce il bambino». La notizia era riservata a Sara, poiché Abramo aveva ricevuto tale promessa già molto tempo prima: gli angeli dunque gliela comunicarono all’ingresso della sua tenda, in presenza di Ismaele, che si frappose fra loro e la donna perché non sarebbe stato corretto che il messaggio venisse trasmesso in segreto, senza testimoni. La bellezza di Sara era talmente radiosa che l’angelo ne rimase folgorato e fu indotto ad alzare lo sguardo verso di lei. Così facendo, udì la donna che rideva fra sé e sé: «è mai possibile che queste annose viscere accolgano un figlio, che queste mammelle inaridite si inturgidiscano? E quand’anche io fossi ancora in grado di concepire, il mio signore Abramo non è forse troppo vecchio?».
Allora il Signore disse ad Abramo: «e io, pensi che sia troppo vecchio per i miracoli? Perché mai dunque Sara ride, mettendo in dubbio la sua prossima gravidanza?». Con tali parole Dio volle rimproverare tanto Abramo quanto la sua compagna: anch’egli infatti si era mostrato poco convinto quando Dio gli aveva annunciato che avrebbe avuto un discendente. Ma in questa occasione il Signore menzionò soltanto l’incredulità di Sara, lasciando che Abramo traesse le giuste conclusioni a proposito di se stesso.
Premuroso di salvaguardare la pace familiare, Dio evitò di riferire esattamente ad Abramo tutto quello che Sara aveva detto, e in particolare le parole della moglie a proposito della sua tarda età, che avrebbero potuto turbarlo: la concordia fra coniugi è infatti talmente preziosa che persino il Santo, sia Egli benedetto, tralasciò la verità pur di non guastarla.
Dopo aver intrattenuto i suoi ospiti Abramo li accompagnò per un tratto di strada, poiché la regola di accomiatarsi convenientemente da colui che parte è persino più importante di quella dell’ospitalità. Due degli angeli si diressero verso Sodoma, l’uno per distruggerla e l’altro per trarre in salvo Lot; il terzo invece, compiuta che ebbe la sua missione presso Abramo, risalì in cielo.