Sesto ciclo
Anno liturgico B (2017-2018)
Tempo Ordinario
XVI Domenica
(22 luglio 2018)
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Ger 23,1-6; Sal 22; Ef 2,13-18; Mc 6,30-34
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Il brano evangelico di oggi, in verità, serve da introduzione al miracolo della moltiplicazione dei pani, che sarà proclamato nelle cinque domeniche successive a partire dal testo di Giovanni 6. Anche nei commenti antichi il brano è letto nella prospettiva del banchetto messianico, simbolo della salvezza definitiva offerta da Dio al suo popolo, che viene enunciato con la moltiplicazione dei pani per sfamare la folla.
Alcuni particolari del racconto di Marco sono assai suggestivi. Quando Gesù invita in disparte gli apostoli, lo fa perché si riposino un poco. L’accenno al riposarsi è misterioso. Si tratta dello stesso termine che ricorre nell’affermazione di Gesù: “Venite a me … e io vi darò ristoro… e troverete ristoro” (Mt 11,28-29). Quel ‘ristoro/riposo’ corrisponde al movimento della sua compassione, ma pesca nel riposo di Dio il settimo giorno della creazione, riposo che viene ripreso dal salmo responsoriale. Gli antichi rabbini hanno pensato che vi fu un atto di creazione anche il settimo giorno: “Che cosa è stato creato il settimo giorno? La ‘menuchà’, la tranquillità, la serenità, la pace e il riposo” (Cfr. Gen Rabbà, 10, 9). È lo stato in cui non vi è contesa né lotta, né paura né diffidenza; è felicità, pace e armonia; vita nel mondo futuro, vita eterna. Quando nel salmo si proclama: “Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla; su pascoli erbosi mi fa riposare, ad acque tranquille mi conduce” (Sal 23,1-2) si allude proprio alle acque di ‘menuchoth’. Stessa allusione che troviamo nelle parole del Signore Gesù quando dice ai suoi discepoli: “Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero” (Mt 11,28-31). Vi darò ristoro = vi farò riposare; sarò la vostra felicità, pace, riposo. L’umiltà/mitezza che lo definisce costituisce la cifra della luce della santità di Dio che si riversa sul mondo e che abilita a quello sguardo capace di cogliere il mondo nel suo insieme.
È singolare che Gesù inviti i discepoli a starsene in disparte, a cercare un luogo solitario per riposare e che contemporaneamente si trovino davanti una folla numerosa, per la quale Gesù sente profonda compassione. Quando i discepoli annunceranno il regno di Dio non faranno che far arrivare ai cuori l’eco di quella ‘compassione’, di quella ‘profonda commozione’ di Gesù, buon pastore, mandato a riunire i figli di Dio dispersi. L’annuncio che non provenga dalla condivisione, dalla solidarietà con quella ‘compassione’ sarà piatto e ripetitivo e non toccherà i cuori. D’altra parte, se i discepoli non impareranno a starsene in disparte con il loro Signore, non sentiranno la profondità di quella ‘compassione’ e non potranno annunciare ‘con potenza’ il regno di Dio. La vivacità, la vitalità, nel senso che porta vita, della parola di Dio trova qui le sue radici. D’altronde è la stessa dinamica dei doni di Dio, della stessa elezione del popolo, della chiamata alla fede. Essere scelti dal Signore non è in funzione di un privilegio, ma di una intimità per farsi eco presso tutti di quella ‘compassione’ che tutti raggiunge, perché non si dà pace finché uno solo resti escluso.
Inviando gli apostoli in missione, Gesù li aveva forniti delle stesse sue prerogative: ‘scacciare i demoni, guarire ogni malattia e infermità’. Nessuno può proclamare la verità della vita a titolo proprio, come nessuno può procurare ristoro al cuore degli uomini a titolo proprio. La verità e il ristoro che essa procura procedono dall’alto, esprimono la compassione di Dio che raggiunge il cuore degli uomini, in Cristo. E se il discepolo non lascia intravedere chiaramente tale rimando, non è un ‘chiamato’, un ‘inviato’, lavora per la sua gloria e non potrà sanare nessuno. Così avverrà quando dirà agli apostoli di dare da mangiare a una folla sterminata.
Nel brano di oggi la compassione di Gesù si esercita nel parlare alla folla a lungo, insegnando i misteri del regno dei cieli, mentre in Mc 8,2 la compassione si eserciterà nello sfamare la folla. Parola e pane, Verbo e Corpo, come nella liturgia eucaristica: l’insegnamento della parola dà il senso del sacrificio e della comunione eucaristica, rendendoci una cosa sola con il Signore. Per questo il nome profetico che, alla vigilia del crollo di Gerusalemme sotto l’invasione assira, Geremia preannuncia per l’Inviato del Signore che ricostituirà il suo popolo, sarà: “Signore-nostra-giustizia”. Intendendo ‘giustizia’ dal punto di vista di Dio, cioè come l’offerta della sua pace e del suo perdono pieno di compassione per noi. Esattamente quello che Paolo, nella lettera agli Efesini, proclama: “Egli infatti è la nostra pace, colui che di due ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro di separazione che li divideva …” (Ef 2,14). Non ci sono più motivi di separazione tra gli uomini se Gesù li ha uniti nella sua pace. Cadono barriere e diffidenze se si guardano i fratelli nel nome di Gesù, che li ha tutti riuniti come figli dell’Altissimo, di cui la beatitudine proclama: ‘beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio’ (Mt 5,9). Perché quella pace pesca nel mistero delle ‘viscere di compassione’ di Dio per i suoi figli, di cui le Scritture sono la testimonianza luminosa.
La compassione di Gesù per l’umanità è alla radice della sua missione sia come rivelatore del Padre che come salvatore. In essa prendono senso e valore tutti i suoi gesti e le sue parole, come anche tutte le parole e le opere di Dio lungo la storia sacra. Molte volte nei vangeli si parla della compassione di Gesù. Gesù ha compassione delle folle, del lebbroso, della vedova di Nain, dei ciechi di Gerico. Le sue parabole illustrano spesso il mistero della compassione: il padre che vede il figlio prodigo ritornare, il padrone che rimette il debito al servo insolvente, il samaritano che raccoglie il malcapitato e lo cura amorevolmente. A sottolineare che l’amore di Gesù, che si identifica con il Signore, pastore del suo popolo, non è vincolato a nulla, ma procede dal suo stesso essere, dalla sua totale intimità con il Padre che vuole i suoi figli assisi alla sua mensa e che tutti attira a sé.
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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):
[I testi delle letture sono protetti dal © Libreria Editrice Vaticana e ne è vietata la riproduzione, anche parziale e con qualsiasi mezzo]
Prima Lettura Ger 23, 1-6
Dal libro del profeta Geremìa
Dice il Signore:
«Guai ai pastori che fanno perire e disperdono il gregge del mio pascolo. Oracolo del Signore.
Perciò dice il Signore, Dio d’Israele, contro i pastori che devono pascere il mio popolo: Voi avete disperso le mie pecore, le avete scacciate e non ve ne siete preoccupati; ecco io vi punirò per la malvagità delle vostre opere. Oracolo del Signore.
Radunerò io stesso il resto delle mie pecore da tutte le regioni dove le ho scacciate e le farò tornare ai loro pascoli; saranno feconde e si moltiplicheranno. Costituirò sopra di esse pastori che le faranno pascolare, così che non dovranno più temere né sgomentarsi; non ne mancherà neppure una. Oracolo del Signore.
Ecco, verranno giorni – oracolo del Signore –
nei quali susciterò a Davide un germoglio giusto,
che regnerà da vero re e sarà saggio
ed eserciterà il diritto e la giustizia sulla terra.
Nei suoi giorni Giuda sarà salvato
e Israele vivrà tranquillo,
e lo chiameranno con questo nome:
Signore-nostra-giustizia».
Salmo Responsoriale Dal Salmo 22
Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla.
Il Signore è il mio pastore:
non manco di nulla.
Su pascoli erbosi mi fa riposare,
ad acque tranquille mi conduce.
Rinfranca l’anima mia.
Mi guida per il giusto cammino
a motivo del suo nome.
Anche se vado per una valle oscura,
non temo alcun male, perché tu sei con me.
Il tuo bastone e il tuo vincastro
mi danno sicurezza.
Davanti a me tu prepari una mensa
sotto gli occhi dei miei nemici.
Ungi di olio il mio capo;
il mio calice trabocca.
Sì, bontà e fedeltà mi saranno compagne
tutti i giorni della mia vita,
abiterò ancora nella casa del Signore
per lunghi giorni.
Seconda Lettura Ef 2, 13-18
Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesìni
Fratelli, ora, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate lontani, siete diventati vicini, grazie al sangue di Cristo.
Egli infatti è la nostra pace,
colui che di due ha fatto una cosa sola,
abbattendo il muro di separazione che li divideva,
cioè l’inimicizia, per mezzo della sua carne.
Così egli ha abolito la Legge, fatta di prescrizioni e di decreti,
per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo,
facendo la pace,
e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo,
per mezzo della croce,
eliminando in se stesso l’inimicizia.
Egli è venuto ad annunciare pace a voi che eravate lontani,
e pace a coloro che erano vicini.
Per mezzo di lui infatti possiamo presentarci, gli uni e gli altri,
al Padre in un solo Spirito.
Vangelo Mc 6, 30-34
Dal vangelo secondo Marco
In quel tempo, gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato. Ed egli disse loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’». Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare.
Allora andarono con la barca verso un luogo deserto, in disparte. Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero.
Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.