Sesto ciclo
Anno liturgico B (2017-2018)
Tempo Ordinario
XIII Domenica
(1° luglio 2018)
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Sap 1,13-15; 2,23-24; Sal 29; 2 Cor 8,7.9.13-15; Mc 5,21-43
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Il canto al vangelo fa da porta di luce per l’intelligenza della liturgia di oggi: “Il salvatore nostro Gesù Cristo ha vinto la morte e ha fatto risplendere la vita per mezzo del Vangelo” (cfr. 2Tm 1,10). Paolo, alla fine della sua vita, nell’imminenza del martirio, sintetizza il senso del vangelo nello splendore della vita che il Signore Gesù ha fatto scaturire per l’uomo riscattandolo dalla morte. A dire il vero, il testo greco non riporta ‘ha vinto’, ma, in contrapposizione al ‘fece risplendere’, dice con più precisione ‘ha reso inefficace la morte’, vale a dire ha svigorito la morte di tutto il suo potere, potendola ormai patire senza subirne la condanna. Ha lo stesso valore dell’espressione che viene riportata nel vangelo di Giovanni: satana gli viene contro con tutto il suo potere ma, non trovando nulla di suo in lui, non lo può distogliere dal suo compito di mostrare quanto è grande l’amore di Dio per gli uomini e quanto lui ama il Padre (cf. Gv 14,30-31). È vinta definitivamente l’invidia del diavolo e il cuore dell’uomo può tornare a splendere dell’amore di Dio che conferisce la vita.
Come d’altronde sottolinea la conclusione della prima lettura tratta dal libro della Sapienza: “Ma per l’invidia del diavolo la morte è entrata nel mondo e ne fanno esperienza coloro che le appartengono” (Sap 2,24), da rendere forse con più precisione: “ma per invidia del diavolo la morte è entrata nel mondo e quelli della sua parte la sperimentano”. In realtà si tratta della conclusione del ragionamento degli empi, introdotto con le parole: “Dicono fra loro sragionando” e definito: “Hanno pensato così, ma si sono sbagliati; la loro malizia li ha accecati. Non conoscono i misteriosi segreti di Dio …” (Sap 2,1.21-22), segreti che svuotano la morte del suo potere, esercitato dall’invidia del diavolo. Ora, lo stesso ragionamento è ripreso nel vangelo di Matteo alla crocifissione di Gesù quando i capi: “… facendosi beffe di lui dicevano: ‘Ha salvato gli altri e non può salvare se stesso! É il re d’Israele; scenda ora dalla croce e crederemo in lui. Ha confidato in Dio, lo liberi lui, ora, se gli vuol bene” (Mt 27,42-43). I segreti di Dio riguardano proprio quel Figlio, venuto perché gli uomini abbiano la vita e la vita in abbondanza.
Così, i miracoli, narrati nel brano di oggi con tale intensità da assumere valenze simboliche precise, alludono alla potenza salvatrice del Figlio, testimone dell’amore di Dio per l’uomo, amore che farà risplendere proprio nel suo essere innalzato sulla croce, quando il potere della morte sarà esautorato. I miracoli sono l’occasione di rivelazione del Figlio di Dio, rivelazione che necessita, per esplicitare la sua potenza nel cuore dell’uomo, della fede.
È mostrata la fede di due personaggi: un capo della sinagoga, Giairo e una donna, l’emorroissa. Alcuni particolari sono assolutamente singolari. Gesù era stato precedentemente scomunicato dalla sinagoga (cfr. Mc 3,6 e 3,22) e proprio uno dei capi insiste, prostrandosi ai piedi di Gesù, perché venga a guarire sua figlia agli estremi e che muore prima che possano arrivare a casa. Ma Giairo continua a credere, anche quando tutti ormai lo dissuadono. Il brano suggerisce almeno due cose. La prima: quando Gesù è supplicato con fede, interviene. Il testo annota: “Andò con lui”. Gesù accompagna chi ha fede in lui nel tempo e lungo la strada per ottenere la grazia, che avviene in condizioni insperate o disperate. Gesù salva e fa vivere: questo significa fare il bene, come aveva espressamente dichiarato in sinagoga davanti all’uomo della mano inaridita (cfr. Mc 3,1-6). La seconda: il contrario della fede non è la non fede, ma la derisione, come il testo annota rispetto alla gente che piangeva e urlava forte: “E lo deridevano” (Mc 5,40). Stessa derisione che avviene sotto la croce! Non semplicemente la resistenza a credere, ma la presa in giro, quel senso di superiorità che prende le distanze mettendo in ridicolo, questo ci chiude nella impossibilità di avere la vita!
L’emorroissa, la donna che per la sua malattia era dichiarata immonda (cf. Lev 15,25-27), nella calca generale, è l’unica a toccare Gesù. Gesù se ne accorge perché chi lo tocca nella fede permette alla sua potenza salvatrice di operare. Così lui, che è il Santo, santifica; lui, che è il Salvatore, salva; lui, che è il Potente, soccorre e guarisce. Chi non ha vivo il senso della propria immondezza, della propria miseria, non può avere fede sufficiente per ottenere salvezza. Il particolare del mantello (o della frangia, come nel passo parallelo di Matteo, simbolo dell’obbedienza alla parola di Dio) ha fatto pensare al vestito del Verbo che sono le parole della Scrittura. Ci si può accalcare attorno alla Scrittura, ma non succede nulla, come non successe nulla alla folla dei discepoli che pressava il Maestro lungo la strada. Se però ci si accosta anche a una sola parola con fede, allora ne scaturisce la potenza che racchiudeva e l’anima è guarita. E la parola, come il suo corpo, è lì (pensiamo alla celebrazione eucaristica) proprio nell’attesa di lasciar uscire la potenza che racchiude e rivelare l’amore per cui è stata proferita ed è stata inviata. Gesù resta nell’attesa di dirci: la tua fede ti ha salvato, va’ in pace e sii guarito dal tuo male! Un commento di s. Efrem annota: la donna è testimone della divinità di Gesù come Gesù è testimone della sua fede!
La tua fede: è la fiducia nel Messia salvatore, in colui che ci può accogliere e guarire e far vivere dell’amore del Padre, rendendo splendore alla nostra umanità.
Va’ in pace: dopo l’incontro con il Salvatore nulla è più come prima, come tanti episodi dei vangeli dimostrano, perché il cuore ha potuto gustare qualcosa che frantuma le sue pretese e rivendicazioni disponendoci a vivere riconciliati.
Sii guarita: si torna a vivere nella luce della santità di Dio, che è amore per noi, diventato radice e forza dei nostri comportamenti e del nostro orizzonte interiore.
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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):
[I testi delle letture sono protetti dal © Libreria Editrice Vaticana e ne è vietata la riproduzione, anche parziale e con qualsiasi mezzo]
Prima Lettura Sap 1,13-15; 2,23-24
Dal libro della Sapienza
Dio non ha creato la morte
e non gode per la rovina dei viventi.
Egli infatti ha creato tutte le cose perché esistano;
le creature del mondo sono portatrici di salvezza,
in esse non c’è veleno di morte,
né il regno dei morti è sulla terra.
La giustizia infatti è immortale.
Sì, Dio ha creato l’uomo per l’incorruttibilità,
lo ha fatto immagine della propria natura.
Ma per l’invidia del diavolo la morte è entrata nel mondo
e ne fanno esperienza coloro che le appartengono.
Salmo Responsoriale Dal Salmo 29
Ti esalterò, Signore, perché mi hai risollevato.
Ti esalterò, Signore, perché mi hai risollevato,
non hai permesso ai miei nemici di gioire su di me.
Signore, hai fatto risalire la mia vita dagli inferi,
mi hai fatto rivivere perché non scendessi nella fossa.
Cantate inni al Signore, o suoi fedeli,
della sua santità celebrate il ricordo,
perché la sua collera dura un istante,
la sua bontà per tutta la vita.
Alla sera ospite è il pianto
e al mattino la gioia.
Ascolta, Signore, abbi pietà di me,
Signore, vieni in mio aiuto!
Hai mutato il mio lamento in danza,
Signore, mio Dio, ti renderò grazie per sempre.
Seconda Lettura 2 Cor 8,7.9.13-15
Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi
Fratelli, come siete ricchi in ogni cosa, nella fede, nella parola, nella conoscenza, in ogni zelo e nella carità che vi abbiamo insegnato, così siate larghi anche in quest’opera generosa.
Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà.
Non si tratta di mettere in difficoltà voi per sollevare gli altri, ma che vi sia uguaglianza. Per il momento la vostra abbondanza supplisca alla loro indigenza, perché anche la loro abbondanza supplisca alla vostra indigenza, e vi sia uguaglianza, come sta scritto: «Colui che raccolse molto non abbondò e colui che raccolse poco non ebbe di meno».
Vangelo Mc 5, 21-43
Dal vangelo secondo Marco
[In quel tempo, essendo Gesù passato di nuovo in barca all’altra riva, gli si radunò attorno molta folla ed egli stava lungo il mare. E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi e lo supplicò con insistenza: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva». Andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno.]
Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando, udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello. Diceva infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata». E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era guarita dal male.
E subito Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi ha toccato le mie vesti?». I suoi discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che si stringe intorno a te e dici: “Chi mi ha toccato?”». Egli guardava attorno, per vedere colei che aveva fatto questo. E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Ed egli le disse: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male».
Stava ancora parlando, quando [dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!». E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo.
Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. Entrato, disse loro: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina. Prese la mano della bambina e le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!». E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare.]