Sesto ciclo
Anno liturgico B (2017-2018)
Tempo di Pasqua
V Domenica di Pasqua
(29 aprile 2018)
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At 9,26-31; Sal 21; 1 Gv 3,18-24; Gv 15,1-8
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L’immagine della vite ha risonanze profondissime nelle Scritture, soprattutto in rapporto alle premure di Dio per il suo popolo. Si possono leggere i passi di Os 10,1, Is 5,1-7, Ger 2,21. In particolare, però, la vite ricorre nelle parabole di Gesù: nella parabola degli operai inviati alla vigna (Mt 20,1-16), nella parabola dei due figli invitati ad andare a lavorare nella vigna (Mt 21,28-30) e, con accenti assolutamente evocativi, nella parabola dei vignaioli assassini (Mt 21,33-42) dove l’amore di Dio per il suo popolo appare proprio folle.
La vite, per il vino che se ne ricava pestando gli acini e facendo fermentare il mosto, richiama il sacrificio pasquale di Gesù; il vino, frutto della vite, richiama il sangue, il mistero eucaristico, lo Spirito Santo, il regno di Dio.
“Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla” (Gv 15,5). In rapporto a cosa vale quel ‘fare’? La preghiera dopo la comunione sembra suggerire la direzione in cui guardare: “fa’ che passiamo dalla decadenza del peccato alla pienezza della vita nuova”. Tre i termini significativi: vita, nuova, pienezza. Quando Gesù si paragona alla vite e paragona noi ai tralci allude all’evento pasquale che aveva indicato poco prima, parlando ai discepoli della sua dipartita e del suo ritorno: “Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi” (Gv 14,3). Quella vita, che lui ha donato e che diventa in noi radice di vita nuova perché ci fa partecipi della sua, è piena nel senso che non è più mortificabile da nulla. Vale a dire: l’amore del Padre, che Gesù ha fatto splendere nella e con la sua vita, viene immesso in noi in modo da essere anche noi inviati al mondo per mostrarlo nel suo splendore, stando radicati in Gesù.
Senza questo radicamento in Gesù nulla può essere compiuto di quello che è gradito al Padre e che ci procura vita nuova e piena. Se, all’inizio del vangelo, i discepoli cercano dove dimora Gesù e stanno con lui, ora questa ricerca si è approfondita e ricevono la promessa che potranno dimorare in lui, non semplicemente con lui. È il frutto dell’evento pasquale. È caratteristico che il salmo responsoriale di oggi sia il salmo 21(22), il salmo della passione, dato che comincia con l’angosciosa affermazione: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” e termina con la proclamazione del frutto di quella passione: “Al popolo che nascerà diranno: Ecco l’opera del Signore”, espressione che nell’ebraico e nelle versioni greca e latina suona più precisamente: “(proclameranno la sua giustizia) al popolo che sarà generato, che il Signore ha fatto”. Il poter dimorare IN Gesù suppone che Gesù abbia rivelato il suo segreto in tutti gli aspetti che lo caratterizzano, fino a che lo scopo per cui era venuto fosse manifestato in tutta la sua densità e bellezza: Gesù muore, risorge e entra nella gloria del Padre per essere sempre in noi e noi in lui e condividere la sua stessa intimità di vita con il Padre, vita che è amore per noi, incessantemente donata.
La discepolanza rispetto a Gesù è condizionata alla verità/profondità dell’essere IN lui. Quello che Gesù dice: “Chi rimane in me, e io in lui…”. Qui l’immagine della vite e dei tralci acquista tutto il suo spessore di rivelazione. L’immagine cela la realtà della dinamicità e continuità del progresso del discepolo in ragione dell’intimità del rapporto con Gesù, rapporto che può essere sempre più profondo, sempre più stabile. Tanto che la potatura inevitabile per portare più frutto, al di là dell’immagine, significa: più si resta in Gesù, più si porta frutto e il frutto non è che l’intimità sempre più grande, sempre più sincera, sempre più profonda, con Gesù che dimora in noi. Quell’intimità non verte su un ripiegamento intimistico, tutt’altro. Quell’intimità parla della condivisione con Gesù nel suo essere inviato al mondo perché tutti abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza.
Due sono gli aspetti singolari di questa intimità che è fatta gustare al discepolo. Primo aspetto: è bandita ogni banalità, vale il tutto o niente, nel senso che il tralcio che non rimane nella vite verrà tagliato e bruciato. Come a dire: la parola del Signore diventa per noi la parola della nostra vita quotidiana e si fa radice di vita in ogni occasione. Cercare la vita fuori o contro quella parola significa perdersi. Così la discepolanza è concepita nel rifiuto di vivere egoisticamente perché sarebbe un vivere separati da Gesù e dai fratelli.
Secondo aspetto: il progredire nell’essere discepoli di Gesù è concepito nei termini di una presenza personale vissuta nella intimità più grande possibile. Il che equivale a dire che progredire significa far sì che in noi Gesù, il Signore, diventi sempre più dolce, più amante, più vero, più presente insomma nella sua umanità luminosa che dà consistenza alla nostra. Credo corrisponda a quello che dirà san Paolo: “non vivo più io, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20).
Quando Giovanni, nella sua prima lettera, dice: “Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità” (1Gv 3,18), possiamo intendere: siamo invitati ad amare con l’agire, nel concreto della vita quotidiana, ma pescando nell’intimità con Gesù. La vita viene concepita come un’obbedienza alla dinamica dell’amore. Ed è esattamente quello che Gesù sottolinea più volte ai discepoli nell’ultima cena insistendo sul riferimento a lui quanto al ‘come’: amatevi come io ho amato voi, rimanete in me come io rimango in voi …. Quel ‘come’ corrisponde alla verità esperita dell’essere in lui.
Posso ancora aggiungere un aspetto rispetto al portar frutto che riguarda anche l’intelligenza delle Scritture, colte nella loro capacità di rivelare al nostro cuore il mistero di Dio nella sua volontà di salvezza per l’uomo. Il segreto delle Scritture è il segreto di Dio, che ha sempre a che fare con la vocazione dell’uomo alla gioia del suo Dio. E il frutto per l’uomo sta proprio nel vivere secondo quel segreto, nella potenza che quel segreto comunica. Non si tratta tanto di venire a conoscenza di qualche dato di verità, ma di venir sopraffatti dalla rivelazione di un segreto che ti abilita a un’esperienza, capace per sua stessa natura, data la sua radice dall’alto, di inglobare tutti.
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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):
[I testi delle letture sono protetti dal © Libreria Editrice Vaticana e ne è vietata la riproduzione, anche parziale e con qualsiasi mezzo]
Prima Lettura At 9, 26-31
Dagli Atti degli Apostoli
In quei giorni, Saulo, venuto a Gerusalemme, cercava di unirsi ai discepoli, ma tutti avevano paura di lui, non credendo che fosse un discepolo.
Allora Bàrnaba lo prese con sé, lo condusse dagli apostoli e raccontò loro come, durante il viaggio, aveva visto il Signore che gli aveva parlato e come in Damasco aveva predicato con coraggio nel nome di Gesù. Così egli poté stare con loro e andava e veniva in Gerusalemme, predicando apertamente nel nome del Signore. Parlava e discuteva con quelli di lingua greca; ma questi tentavano di ucciderlo. Quando vennero a saperlo, i fratelli lo condussero a Cesarèa e lo fecero partire per Tarso.
La Chiesa era dunque in pace per tutta la Giudea, la Galilea e la Samarìa: si consolidava e camminava nel timore del Signore e, con il conforto dello Spirito Santo, cresceva di numero.
Salmo Responsoriale Dal Salmo 21
A te la mia lode, Signore, nella grande assemblea.
Scioglierò i miei voti davanti ai suoi fedeli.
I poveri mangeranno e saranno saziati,
loderanno il Signore quanti lo cercano;
il vostro cuore viva per sempre!
Ricorderanno e torneranno al Signore
tutti i confini della terra;
davanti a te si prostreranno
tutte le famiglie dei popoli.
A lui solo si prostreranno
quanti dormono sotto terra,
davanti a lui si curveranno
quanti discendono nella polvere.
Ma io vivrò per lui,
lo servirà la mia discendenza.
Si parlerà del Signore alla generazione che viene;
annunceranno la sua giustizia;
al popolo che nascerà diranno:
«Ecco l’opera del Signore!».
Seconda Lettura 1 Gv 3, 18-24
Dalla prima lettera di san Giovanni apostolo
Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità.
In questo conosceremo che siamo dalla verità e davanti a lui rassicureremo il nostro cuore, qualunque cosa esso ci rimproveri. Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa.
Carissimi, se il nostro cuore non ci rimprovera nulla, abbiamo fiducia in Dio, e qualunque cosa chiediamo, la riceviamo da lui, perché osserviamo i suoi comandamenti e facciamo quello che gli è gradito.
Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato. Chi osserva i suoi comandamenti rimane in Dio e Dio in lui. In questo conosciamo che egli rimane in noi: dallo Spirito che ci ha dato.
Vangelo Gv 15, 1-8
Dal vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato.
Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano.
Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».