Guida di lettura alle parabole
L’atteggiamento di fondo:
- Quale domanda ci pone il testo
- Quali domande porre al testo
Passaggi da rispettare:
- PARTIRE DALLA LITURGIA:
- cercare in quale domenica o festa dell’anno si proclama la parabola
- quali i collegamenti tra i diversi brani proclamati nella liturgia
- quali le finestre di luce da cui guardare alle parabole (antifona ingresso, colletta, salmo, canto al vangelo)
- ATTENZIONE AL TESTO
- riferire la narrazione prima di tutto al Signore Gesù e non a noi
- inserirle nel contesto della narrazione evangelica
- quali allusioni relative al mondo della Scrittura
- significati di fondo
- DOMANDE AL TESTO
- a quale domanda la parabola risponde
- DETTAGLI significativi
- DINAMICHE di fede e DINAMICHE spirituali
- LA DOMANDA PER NOI
LA ZIZZANIA, IL GRANELLINO DI SENAPE, IL LIEVITO.
[Dalla domenica XVI, anno A: Sap 12,13-19; Sal 85; Rm 8,26-27; Mt 13,24-43]
Ecco altre tre parabole del Regno: quella della zizzania, del granellino di senape e del lievito. La parabola della zizzania risponde alla domanda che tutti angoscia: perché il male è mescolato al bene? Per cogliere il senso della parabola possiamo porci da tre punti di vista.
1) dal punto di vista di Israele. Qual era la domanda di fondo dei compatrioti di Gesù davanti al suo presentarsi come Messia? La loro posizione può essere riassunta in questi termini: quando verrà il Messia, i malvagi saranno annientati ed il popolo godrà pace e prosperità definitivamente. Questi, però, erano pensieri di uomini, non di Dio. Con la sua parabola Gesù rivela che il male persiste con il bene e solo alla fine il regno si imporrà ed i giusti godranno della gioia del loro padrone. Lo stupore dei servi della parabola allude all’obiezione più forte alla fede cristiana da parte giudaica nel primo secolo: se Gesù è il Messia, come può coincidere la sua venuta con la persistenza ed il dominio delle forze del male (=l’oppressione romana si era accentuata)?
2) dal punto di vista della chiesa. Perché nella chiesa convivono santi e peccatori? Perché non si possono separare i santi dai peccatori? Quante eresie sono sorte per difendere la purezza della chiesa ed hanno finito per creare conventicole di cosiddetti puri senza alcuna attinenza allo spirito del Vangelo!
3) dal punto di vista del cuore dell’uomo. Perché quando desidero il bene il male non mi abbandona? Perché desiderando di fare il bene mi ritrovo spesso a compiere il male? Perché non posso liberarmi dal male una volta per tutte?
Tutte queste domande fanno da sfondo alla parabola, che indica la storia di Dio nel mondo. Il Signore vuol fare degli uomini i figli del regno, ma insieme, di nascosto, è all’opera anche il maligno che invece vuole renderli suoi schiavi. L’esito della contesa tra l’uno e l’altro è scontato: prevarrà il regno di Dio. Il problema nasce dal fatto che, se il regno di Dio è accolto dentro di noi, non è ancora però manifesto, per cui l’uomo si sperimenta come un campo di tensioni contrapposte, che la venuta di Gesù rende ancora più evidenti. Possiamo allora commentare la parabola con rapidi flash:
– un nemico ha fatto questo, cioè il male non proviene dall’intimo dell’uomo. L’uomo non è fatto per il male, sebbene il male stia sempre con lui.
– mentre tutti dormivano, il male si diffonde per la mancanza di vigilanza, per non vegliare alle porte del cuore, sebbene sia inevitabile che il cuore si addormenti e sia toccato dal male. È questa inevitabilità del male che rende inutile ogni lamentela, che rende inutile il condannarsi: meglio lottare e basta. Ogni forma di lamentela è una vittoria del maligno perché fa partecipi della stessa sua condanna.
– contrasto tra la pazienza del padrone e lo zelo dei servi. La pazienza del padrone è data dalla sicurezza della vittoria ( la prima lettura del libro della Sapienza lo rivela chiaramente) mentre il falso zelo dei servi denuncia la ristrettezza delle vedute umane, l’impazienza dell’uomo che cede al potere della violenza, anche se camuffata da nobili ideali. Il rischio dell’uomo è appunto tra un’assunzione indebita di responsabilità (posizione rigorista) e un abbandono di responsabilità (posizione lassista), ambedue procedenti da una ipertrofia dell’io che tutto fagocita, anche se stessi, rendendoci nemici a noi stessi e incapaci di adorare il vero Dio.
Notiamo però il particolare. Gesù, quando racconta le parabole, spesso conclude con l’avvertimento: chi ha orecchi intenda! Qui, l’avvertimento non è dato alla fine del racconto della parabola, ma dopo la spiegazione stessa che avrebbe dovuto chiarire adeguatamente i significati nascosti della parabola. Due cose vanno considerate: 1) con Gesù vengono rivelate cose nascoste fin dalla fondazione del mondo, vale a dire: tutto il mondo si regge sul mistero di Dio e del suo amore per l’uomo e all’uomo viene data finalmente la possibilità, con Gesù, l’Inviato del Padre, di aprirsi a quel mistero e trovare riposo nel suo cuore; 2) il passaggio dal nascosto al chiaro è continuo, non è mai dato una volta per tutte e segue l’evoluzione del rapporto di intimità con Gesù, il Figlio di Dio, potenza e sapienza di Dio.
La domanda sul perché Dio non toglie di mezzo i malvagi, perché lascia spazio al male, può essere anche formulata a partire dal brano della Sapienza e dal salmo 85. Nel brano della Sapienza è detto: “Con tale modo di agire hai insegnato al tuo popolo che il giusto deve amare gli uomini”, dove a ‘tale modo di agire’ si intende l’indulgenza e la mitezza con cui Dio, dotato di forza onnipotente, agisce verso gli uomini e li giudica. Quel ‘deve amare gli uomini’ sarebbe, letteralmente, ‘è necessario che il giusto sia amante degli uomini’. Dove la Scrittura segnala un deve, un è necessario, vuol dire che allude a una radice e a un compimento divini, a un esito divino della vita umana. Il salmo 85, quando riprende, come a commento del brano della Sapienza, la lode di Dio compassionevole, pieno di amore, fedele e misericordioso, lo fa in un contesto preciso, che è il seguente: “Mio Dio, mi assalgono gli arroganti, una schiera di violenti attenta alla mia vita, non pongono te davanti ai loro occhi”. E continua: “Ma tu, Signore, Dio di pietà, compassionevole, lento all’ira e pieno di amore, Dio fedele, volgiti a me e abbi misericordia: dona al tuo servo la tua forza”. L’invocazione a Dio misericordioso nasce dal fatto che il giusto subisce l’azione dei malvagi e l’invocazione si traduce nella richiesta della forza, tipica di Dio, che è quella della ‘indulgenza, mitezza, pazienza…’. È esattamente il contesto della parabola della zizzania. Dio non toglie di mezzo i malvagi perché sono oggetto della sua pazienza, perché i giusti possano rivelare ai malvagi la forza di Dio che non rinuncia al suo amore perché l’uomo lo disattende e i giusti saranno tanto più giusti quanto più faranno risplendere questa potenza di amore paziente di Dio.
La ragione di tale pazienza dei giusti è basata sulle altre due parabole, quella del granellino di senapa e del lievito, parabole che rispondono alla domanda: perché l’inizio del regno è così insignificante? Dove si rivela l’evidenza del regno?
Le due parabole sono costruite sul contrasto tra il seme piccolissimo e la pianta grande, tra un pugnetto di lievito e la grande massa di farina fermentata. Sottolineano la potenza del seme e del lievito e la certezza dell’esito finale. Così, davanti al dramma del male che ci accompagna, resta la fiducia ancora più grande nella potenza della parola di Dio.
La parabola del seme non insiste tanto sulla sua piccolezza, ma sulla potenza che possiede nonostante la sua piccolezza. Il paragone è basato proprio sulla potenza che il seme racchiude. Quando questa potenza si dispiega, cresce a dismisura e diventa un albero e tutti gli uccelli del cielo (intesi dalla tradizione: i popoli pagani, i pensieri malvagi, tutti i pensieri dell’uomo) vengono a nidificare sui suoi rami, cioè sono attratti e lì trovano riposo. La potenza appartiene al seme, non a noi: questo è il motivo profondo della fiducia del cuore rispetto al peso della vita, al peso dei malvagi nella vita.
Il paragone del seme vale in rapporto alla fede: “se aveste fede quanto un granellino di senapa …” (Lc 17,6). Non significa: basta che abbiate almeno un pochino di fede. Piuttosto: aveste fede autentica, grande come un minutissimo seme di senapa. Come a dire: non importa che la fede sia grande o piccola, basta che sia genuina, che agisca come un seme. Allora è capace di fare miracoli, cioè di trasformare tutto il nostro cuore fino a che ogni desiderio e pensiero che vi si trova si riunisca e trovi riposo nel Signore Gesù.
La parabola del lievito mostra come l’evidenza del regno non riguardi una cosa o l’altra. Del regno non si può dire: eccolo qui, eccolo là. Riguarda l’insieme del mondo, della vita, dei rapporti, dell’agire e del sentire, dell’essere e del fare. S. Girolamo spiega come il lievito sia la conoscenza e la comprensione delle Scritture, la conoscenza del mistero del Figlio di Dio fatto uomo per noi, la gioia della scoperta del Figlio di Dio come tesoro e perla preziosa tanto da investire tutte le proprie energie in quel cammino di scoperta e da cedere ogni altro bene in vista di ottenere e di condividere con tutti quel tesoro. La potenza del lievito è quella di portare tutto all’unità: all’unità delle potenze dell’anima, all’unità di spirito/anima/corpo, all’unità della famiglia umana. È la tensione divina che attraversa la nostra storia, che per questo è sempre storia sacra.