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Sesto ciclo

Anno liturgico A (2016-2017)

Solennità e feste

Corpus Domini

(18 giugno 2017)

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Dt 8,2-3.14b-16a;  Sal 147;  1 Cor 10,16-17;  Gv 6,51-58

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L’origine della festa, propria dell’Occidente latino, è legata al possente risveglio della devozione eucaristica che si sviluppò dal secolo XII in poi, accentuando particolarmente la presenza reale di Cristo nel sacramento e quindi la sua adorazione. Furono le visioni di Giuliana di Cornillon, monaca agostiniana di Liegi, ad avere un influsso decisivo nell’introduzione della festività, che per la prima volta si celebrò nella diocesi di Liegi nel 1247. Urbano IV, già arcidiacono di Liegi e confessore di Giuliana, la prescrisse per tutta la Chiesa nel 1264.

Quando s. Agostino si domanda quale sia la virtù specifica dell’Eucarestia, non può che rispondere: “La virtù propria di questo nutrimento è quella di produrre l’unità, affinché, ridotti ad essere il corpo di Cristo, divenuti sue membra, siamo ciò che riceviamo”. In effetti, quando ci accostiamo alla comunione eucaristica, l’amen che il fedele risponde non significa: sì, credo che quel pezzo di pane è il corpo di Cristo, ma, più in verità: sì, so che faccio parte di quel corpo e accetto di vivere come un corpo solo! Lo rimarca anche la preghiera sui doni: “Concedi benigno alla tua Chiesa, o Padre, i doni dell’unità e della pace, misticamente significati nelle offerte che ti presentiamo”.

Un corpo solo con il Signore Gesù, che si è consegnato agli uomini perché gli uomini conoscessero la grandezza dell’amore di Dio per loro! La liturgia oggi sottolinea fortemente la realtà di quell’essere un corpo solo, nella consegna al mondo. Il brano di Giovanni, con un realismo perfino provocatorio, lo rivela chiaramente. Gesù, che si presenta come il pane vero disceso dal cielo, raffigurato nella manna che gli ebrei ebbero in dono nella loro traversata del deserto, non dice semplicemente che chi ‘mangia’ di lui avrà la vita. Dice più specificamente: chi lo ‘mastica rompendo con i denti’, azione tipica del mangiare a livello corporale. Ebbene, nello spirito, l’azione del ‘mangiare’ il corpo del Signore, è ancora più reale del mangiare fisico. Tra l’altro, Giovanni sottolinea come il primo effetto del mangiare la carne del Signore immolato non sia quello di avere il Signore in noi, ma di dimorare noi in lui, di essere noi presi in lui. E proprio questo effetto primario, tipicamente spirituale e assolutamente reale, fonte di energia e di vita, induce a collegare l’essere un corpo solo con il Signore con l’essere un corpo solo anche tra di noi, come ricorda la lettera di Paolo ai Corinzi. Essere nel Signore significa essere assunti nella dinamica di rivelazione dell’amore di Dio al mondo (questo significa l’essere inviati da Dio) per cui la vita stessa non può essere vissuta che a servizio dello splendore di quell’amore.

Nel lungo discorso/discussione, riportato da Giovanni, tra Gesù e la folla a proposito del pane di vita, dopo la miracolosa moltiplicazione dei pani, la folla comincia a dubitare quando Gesù si presenta come colui che è disceso dal cielo. Loro lo conoscono, è figlio di Giuseppe, conoscono la sua famiglia: come fa a dire che viene dal cielo? La fonte però della perplessità non sta tanto nella provenienza di Gesù, ma nella dinamica di rivelazione che lo contraddistingue: rivela il dono di Dio abbassandosi, comunica la vita di Dio abbassandosi. Quando Gesù parla di dare la sua carne da mangiare è a quel movimento di rivelazione che allude. Ma senza accettare che lui sia l’Inviato, che lui sia il Testimone dell’amore di Dio per gli uomini, il discorso è incomprensibile, troppo duro alle loro orecchie e se ne vanno via. Non potranno gustare il pane della vita, che è il pane vero (rispetto alla manna) e che è il pane vivo.

Ora, è proprio l’Eucaristia la rivelazione del mistero delle cose. Nell’inno ai vespri della festa si canta: “Frumento di Cristo noi siamo […] In pane trasformaci, o Padre, per il sacramento di pace: un Pane, uno Spirito, un Corpo, la Chiesa una-santa, o Signore”. E Francesco d’Assisi, nel suo commento al Padre Nostro, annuncia: “Il nostro pane quotidiano, il tuo Figlio diletto, il Signore nostro Gesù Cristo, dà a noi oggi: in memoria, comprensione e reverenza dell’amore che egli ebbe per noi e di tutto quello che per noi disse, fece e patì”.

Un uomo non si rivela in tutta la sua totalità se non dentro un mistero più grande di lui, che gli offre uno spazio di movimento, infinito quanto il suo desiderio. Il chicco di frumento non conosce la sua vera natura se non viene trasformato in farina, impastata, cotta in pane e poi assunto in sacramento di pace. L’uomo non coglie la sua verità se non nel suo porsi con gli altri uomini ed accogliersi ed offrirsi e farsi punto di comunione, luogo in cui crescere in comunione, assunto nel corpo di Cristo. Cosa diventa il nostro cuore compreso nella logica eucaristica? Un amore donato che si fa dimora per tutti nella gioia. E da dove si pesca la potenza e la freschezza di quell’amore se non nell’essere un corpo solo con il Signore Gesù, che di quell’amore è il testimone per eccellenza?

È l’Eucarestia, come dice s. Francesco, a comunicare al cuore dell’uomo credente, che fa affidamento alla logica che viene dall’alto, la potenza di una memoria, di una intelligenza e di un sentimento per un amore grande che ci ha toccati, per Colui che si è rivelato al nostro cuore come capace di amore per noi. Sperimentando questo, allora le sue parole, il suo agire ed il suo soffrire, si impastano con il nostro, lo lievitano e, mossi ormai dalla sua stessa dinamica di vita, impariamo a stare solidali con tutti, in quell’umanità che si fa un unico corpo, un corpo solo con il nostro Dio.

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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):

[I testi delle letture sono protetti dal © Libreria Editrice Vaticana e ne è vietata la riproduzione, anche parziale e con qualsiasi mezzo]

Prima Lettura  Dt 8, 2-3. 14b-16a

Dal libro del Deuteronòmio

 

Mosè parlò al popolo dicendo:

«Ricòrdati di tutto il cammino che il Signore, tuo Dio, ti ha fatto percorrere in questi quarant’anni nel deserto, per umiliarti e metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore, se tu avresti osservato o no i suoi comandi.

Egli dunque ti ha umiliato, ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di manna, che tu non conoscevi e che i tuoi padri non avevano mai conosciuto, per farti capire che l’uomo non vive soltanto di pane, ma che l’uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore.

Non dimenticare il Signore, tuo Dio, che ti ha fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile; che ti ha condotto per questo deserto grande e spaventoso, luogo di serpenti velenosi e di scorpioni, terra assetata, senz’acqua; che ha fatto sgorgare per te l’acqua dalla roccia durissima; che nel deserto ti ha nutrito di manna sconosciuta ai tuoi padri».

Salmo Responsoriale  dal Salmo 147

Loda il Signore, Gerusalemme.

Celebra il Signore, Gerusalemme,

loda il tuo Dio, Sion,

perché ha rinforzato le sbarre delle tue porte,

in mezzo a te ha benedetto i tuoi figli.

Egli mette pace nei tuoi confini

e ti sazia con fiore di frumento.

Manda sulla terra il suo messaggio:

la sua parola corre veloce.

Annuncia a Giacobbe la sua parola,

i suoi decreti e i suoi giudizi a Israele.

Così non ha fatto con nessun’altra nazione,

non ha fatto conoscere loro i suoi giudizi.

Seconda Lettura  1 Cor 10, 16-17

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi

Fratelli, il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo?

Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all’unico pane.

 

SEQUENZA

 

[ Sion, loda il Salvatore,

la tua guida, il tuo pastore

con inni e cantici.

 

    Lauda Sion Salvatorem,

    lauda ducem et pastorem,

    in hymnis et canticis.

 

Impegna tutto il tuo fervore:

egli supera ogni lode,

non vi è canto che sia degno.

 

    Quantum potes, tantum aude:

    quia major omni laude,

    nec laudare sufficis,

 

Pane vivo, che dà vita:

questo è tema del tuo canto,

oggetto della lode.

 

    laudis thema specialis,

    panis vivus et vitalis

    hodie proponitur.

 

Veramente fu donato

agli apostoli riuniti

in fraterna e sacra cena.

 

   Quem in sacræ mensæ coenæ,

    turbæ fractrum duodenæ

    datum non ambigitur.

 

Lode piena e risonante,

gioia nobile e serena

sgorghi oggi dallo spirito.

 

    Sit laus plena, sit sonora,

    sit jucunda, sit decora

    mentis jubilatio.

 

Questa è la festa solenne

nella quale celebriamo

la prima sacra cena.

 

    Dies enim solemnis agitur,

    in qua mensæ prima recolitur

    Hujus institutio.

 

E il banchetto del nuovo Re,

nuova, Pasqua, nuova legge;

e l’antico è giunto a termine.

 

    In hac mensa novi Regis,

    novum Pascha novæ legis,

       phase vetus terminat.

 

Cede al nuovo il rito antico,

la realtà disperde l’ombra:

luce, non più tenebra.

  

    Vetustatem novitas,

    umbram fugat veritas,

    noctem lux eliminat.

 

Cristo lascia in sua memoria

ciò che ha fatto nella cena:

noi lo rinnoviamo,

 

    Quod in coena Christus gessit,

    faciendum hoc expressit

    in sui memoriam.

 

Obbedienti al suo comando,

consacriamo il pane e il vino,

ostia di salvezza.

 

    Docti sacris institutis,

    panem, vinum in salutis

    consecramus hostiam.

 

È certezza a noi cristiani:

si trasforma il pane in carne,

si fa sangue il vino.

 

    Dogma datur christianis,

    Quod in carnem transit panis,

       Et vinum in sanguinem.

 

Tu non vedi, non comprendi,

ma la fede ti conferma,

oltre la natura.

 

    Quod non capis, quod non vides,

    animosa firmat fides,

    Præter rerum ordinem.

 

È un segno ciò che appare:

nasconde nel mistero

realtà sublimi.

 

      Sub diversis speciebus,

   signis tantum, et non rebus,

      latent res eximiæ.

 

Mangi carne, bevi sangue;

ma rimane Cristo intero

in ciascuna specie.

 

    Caro cibus, sanguis potus:

    manet tamen Christus totus

       sub utraque specie.

 

Chi ne mangia non lo spezza,

né separa, né divide:

intatto lo riceve.

 

    A sumente non concisus,

    non confractus, non divisus:

    integer accipitur.

 

Siano uno, siano mille,

ugualmente lo ricevono:

mai è consumato.

 

    Sumit unus, sumunt mille:

    quantum isti, tantum ille:

    Nec sumptus consumitur.

 

Vanno i buoni, vanno gli empi;

ma diversa ne è la sorte:

vita o morte provoca.

 

    Sumunt boni, sumunt mali:

    sorte tamen inæquali,

    vitæ vel interitus.

 

Vita ai buoni, morte agli empi:

nella stessa comunione

ben diverso è l’esito!

 

    Mors est malis, vita bonis:

    Vide paris sumptionis

    quam sit dispar exitus.

 

Quando spezzi il sacramento

non temere, ma ricorda:

Cristo è tanto in ogni parte,

quanto nell’intero.

 

    Fracto demum sacramento,

    ne vacille, sed memento

    tantum esse sub fragmento,

 

È diviso solo il segno

non si tocca la sostanza;

nulla è diminuito

della sua persona. ]

 

    Quantum tot tegitur.

    Nulla rei fit scissura:

    Signi tantum fit fractura,

    qua nec status, nec statura       

    signati minuitur.

 

Ecco il pane degli angeli,

pane dei pellegrini,

vero pane dei figli:

non dev’essere gettato.

 

    Ecce Panis Angelorum,

    factus cibus viatorum:

    vere panis flliorum,

    non mittendus canibus.

 

Con i simboli è annunziato,

in Isacco dato a morte,

nell’agnello della Pasqua,

nella manna data ai padri.

 

    In figuris præsignatur,

    cuni Isaac immolatur,

    Agnus Paschæ deputatur,

    datur manna patribus.

 

Buon pastore, vero pane,

o Gesù, pietà di noi:

nutrici e difendici,

portaci ai beni eterni

nella terra dei viventi.

 

    Bone pastor, panis vere,

    Jesu, nostri miserere:

    Tu nos pasce, nos tuere,

    tu nos bona fac videre

    in terra viventium.

 

Tu che tutto sai e puoi,

che ci nutri sulla terra,

conduci i tuoi fratelli

alla tavola del cielo

nella gioia dei tuoi santi.

 

    Tu qui cuncta seis et vales,

    qui nos pascis hic mortales:

    Tuos ibi commensales,

    coheredes et sodales

    fac sanctorum civium.

      Amen. (Alleluia).

 

Vangelo  Gv 6, 51-58

Dal vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù disse alla folla:

«Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».

Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?».

Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.

Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».