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Sesto ciclo

Anno liturgico A (2016-2017)

Tempo Ordinario

VIII Domenica

(26 febbraio 2017)

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Is 49,14-15;  Sal 61;  1 Cor 4,1-5;  Mt 6,24-34

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Quello che il salmo responsoriale proclama, a commento della straordinaria dichiarazione d’amore di Dio per il suo popolo riportata dal profeta Isaia: “Solo in Dio riposa l’anima mia” (Sal 61/62, 2), raramente è vera per noi! Per questo, l’invito di Gesù che non si possono servire due padroni, non è salutare preoccuparsi del domani, non serve affatto preoccuparsi, è piuttosto disatteso da noi, come non fosse alla nostra portata, data l’oppressione e la fatica del vivere quotidiano. Non ci accorgiamo che la soluzione sta appunto nell’aprire il cuore alla verità di quanto Gesù proclama.

Dice il profeta: “Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai” (Is 49,15). Sono le parole con cui Dio risponde all’angoscia del popolo: “Il Signore mi ha abbandonato, il Signore mi ha dimenticato”. Il profeta aveva già annunciato il ritorno glorioso degli esuli nella terra dei padri, ma quando sarebbe avvenuto? Ogni israelita poteva domandarsi: lo potrò vedere io? In altre parole: è possibile nelle afflizioni continuare a fidarsi di Dio? Perché la fiducia in Dio trova spesso le porte chiuse del nostro cuore?

Il punto nevralgico sta esattamente in ciò che dice Gesù: “Non potete servire Dio e la ricchezza” (Mt 6,24). Ricchezza è il termine che traduce il vocabolo aramaico ‘mamonà’, che propriamente significa proprietà. Se sulla ‘proprietà’, intesa nel suo senso più esteso (le cose e gli affetti, i beni materiali e i beni morali o spirituali), si basa la propria fiducia, è impossibile evitare l’affanno. Lo esprime chiaramente s. Francesco d’Assisi nelle sue Ammonizioni:

“Mangia infatti dell’albero della scienza del bene colui che si appropria la sua volontà e si esalta dei beni che il Signore manifesta e opera in lui; e così per suggestione del diavolo e per aver trasgredito ad un comando diventò per lui il frutto della scienza del male; per cui bisogna che ne sopporti la pena (Amm. II); “Al servo di Dio nessuna cosa deve dispiacere eccetto il peccato. E in qualunque modo una persona pecchi, il servo di Dio che si lasciasse prendere dall’ira o dallo sdegno per questo, a meno che non lo faccia per carità, accumula per sé – come un tesoro – (cfr. Rm 2,5) la colpa degli altri. Quel servo di Dio che non si adira né si turba per alcunché, vive giustamente e senza nulla di proprio. Ed è beato colui che non si trattiene niente per sé, rendendo a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio (Mt 22,21) (Amm. XI); “Beato il servo che rende tutti i suoi beni al Signore Iddio; perché chi riterrà qualche cosa per sé, nasconde dentro di sé il denaro del suo Signore (Mt 25,18), e ciò che crede di avere gli sarà tolto (Lc 8,18) (Amm. XIX).

La ragione più profonda la troviamo espressa nell’antifona di ingresso che cita il salmo 17/18 nei versetti 19-20: “Il Signore è mio sostegno, mi ha liberato e mi ha portato al largo, è stato lui la mia salvezza, perché mi vuol bene”. Nella versione greca e latina del salmo l’ultima espressione suona: ‘perché mi ha voluto, quoniam voluit me’. Ecco, la percezione di questa verità: ‘il Signore mi ha voluto’ costituisce la radice di tutta la nostra fiducia. Il bene per noi è essere voluti, senza altra aggiunta.

Possiamo vedere chiaramente che Matteo inserisce le ammonizioni di Gesù nel contesto di una ritrovata libertà dalle preoccupazioni per un cuore conquistato dall’annuncio del vangelo tanto da indurlo a focalizzare tutti i suoi sforzi su di un unico obiettivo: custodire la gioia del vangelo nelle vicissitudini quotidiane. Luca, invece, inserisce le stesse ammonizioni nel contesto della testimonianza del discepolo di Gesù di fronte al mondo. L’invito a non preoccuparsi dei beni della vita diventa l’invito a non avere paura, a non temere quello che ci può venire dagli uomini perché “al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno” (Lc 12,32). Evidentemente, il cuore deve poter essersi già dischiuso a percepire la bellezza di quel ‘regno’, di cui la Chiesa è allusiva e di cui è la memoria tra gli uomini e per il quale la fede nel Cristo Signore è porta di accesso. La narrazione evangelica tende a questo, come del resto tende a questo anche la celebrazione liturgica.

Quando il canto al vangelo proclama che “la parola di Dio è viva ed efficace, discerne i sentimenti e i pensieri del cuore”, nel contesto del brano evangelico odierno significa: non si può a lungo mescolare ciò che è importante, essenziale, con ciò che è superficiale, vacuo. Se la parola del Signore tocca il nostro cuore, allora appare subito evidente che non si può barattare il di più con il di meno. Se voglio la ricchezza comunque, ciò vuol dire che non voglio il Signore e quindi non mi interessa la giustizia; se voglio il mio diritto comunque, ciò significa che non mi sta a cuore il prossimo; se voglio un bene a scapito della giustizia, ciò significa che non voglio la pace: “Solo in Dio riposa l’anima mia: da lui la mia speranza”.

Di fronte alle preoccupazioni e alle vicissitudini della vita, Gesù invita: “Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta”. È come un invitare a vivere da dentro una relazione riuscita, quella per cui tutte le cose che cerchiamo trovano la loro destinazione di fondo. Non agire in questo modo significa vivere a partire dall’assillo della paura che attanaglia il cuore dell’uomo. Non è solo la paura di non avere quello che ci è necessario, ma la paura che altri prendano quello che è nostro, per cui la lotta contro la paura si risolve nella diffidenza verso tutti e nella lamentela contro la vita.

La scoperta da fare è proprio la benevolenza di Dio che ha deciso di ‘darci il Regno’ comunque. Il regno non si sostituisce ai beni di questo mondo, che ci sono necessari. Fa’ in modo che il perseguimento dei beni non ci perverta il cuore, contro noi stessi e contro il prossimo; fa in modo che i beni raggiungano la loro vera destinazione nel senso di schiudere il cuore alla gratitudine e alla condivisione perché l’amore di Dio splenda nel mondo. Non si tratta però di una saggezza umana, forse anche condivisibile, ma incapace di rispondere al dramma dell’uomo e della storia. Si tratta del segreto di Dio per l’uomo, che Gesù svela e che partecipa ai cuori che sono disposti ad accoglierlo, come più avanti nel racconto evangelico dirà: “Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero” (Mt 11,28-30).

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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):

[I testi delle letture sono protetti dal © Libreria Editrice Vaticana e ne è vietata la riproduzione, anche parziale e con qualsiasi mezzo]

Prima Lettura  Is 49, 14-15

Dal libro del profeta Isaìa

Sion ha detto: «Il Signore mi ha abbandonato,

il Signore mi ha dimenticato».

Si dimentica forse una donna del suo bambino,

così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere?

Anche se costoro si dimenticassero,

io invece non ti dimenticherò mai.

Salmo Responsoriale  Dal Salmo 61

Solo in Dio riposa l’anima mia.

Solo in Dio riposa l’anima mia:

da lui la mia salvezza.

Lui solo è mia roccia e mia salvezza,

mia difesa: mai potrò vacillare.

Solo in Dio riposa l’anima mia:

da lui la mia speranza.

Lui solo è mia roccia e mia salvezza,

mia difesa: non potrò vacillare.

In Dio è la mia salvezza e la mia gloria;

il mio riparo sicuro, il mio rifugio è in Dio.

Confida in lui, o popolo, in ogni tempo;

davanti a lui aprite il vostro cuore.

Seconda Lettura  1 Cor 4, 1-5

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi

Fratelli, ognuno ci consideri come servi di Cristo e amministratori dei misteri di Dio. Ora, ciò che si richiede agli amministratori è che ognuno risulti fedele.

A me però importa assai poco di venire giudicato da voi o da un tribunale umano; anzi, io non giudico neppure me stesso, perché, anche se non sono consapevole di alcuna colpa, non per questo sono giustificato. Il mio giudice è il Signore!

Non vogliate perciò giudicare nulla prima del tempo, fino a quando il Signore verrà. Egli metterà in luce i segreti delle tenebre e manifesterà le intenzioni dei cuori; allora ciascuno riceverà da Dio la lode.

 

Vangelo  Mt 6, 24-34

Dal vangelo secondo Matteo

In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli:

«Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza.

Perciò io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito?

Guardate gli uccelli del cielo: non séminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita?

E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora, se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede?

Non preoccupatevi dunque dicendo: “Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?”. Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno.

Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta.

Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena».