Sesto ciclo
Anno liturgico A (2016-2017)
Tempo Ordinario
IV Domenica
(29 gennaio 2017)
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Sof 2,3; 3, 12-13; Sal 145; 1 Cor 1, 26-31; Mt 5,1-12a
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Di fronte alla magna carta del cristianesimo, come vengono definite le Beatitudini annunciate da Gesù sul monte ai suoi discepoli, non si può non registrare come la comunità cristiana abbia come perso la potenza sconvolgente di questo annuncio: beati i poveri, beati coloro che sono nel pianto, beati i miti … beati i perseguitati per la giustizia!. Gesù non sta esortando ad essere felici; sta rivelando l’accesso alla felicità, sta mostrando come partecipare alla sua intimità di Figlio inviato a mostrare la grandezza dell’amore di Dio per l’uomo. Molto spesso noi prendiamo il vangelo come una specie di correttore/perfezionatore della nostra visione umana del mondo. La sua, però, di Gesù dico, non è una visione complementare alla nostra, ma una visione radicale, che svela i segreti della nostra umanità. Lo riferisce in modo così espressivo s. Paolo nella sua prima lettera ai Corinzi: “ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini” (1Cor 1,25). Le beatitudini sono da recepire a partire da questa rivelazione.
L’uomo aspira alla felicità? Allora Gesù ne traccia le coordinate che la strutturano perché il cuore dell’uomo non fallisca lo scopo della vita. Potremmo anche domandarci: perché è venuto meno il timbro della gioia nell’esperienza della vita cristiana in questo mondo? Perché la sequela del Signore ci lascia piuttosto indifferenti quanto alle energie del cuore, perché sembra suscitare più timore che felicità? Non ci siamo più premurati di cogliere le beatitudini come porte di accesso al mistero di Dio che viene a noi e al mistero dei cuori quanto agli aneliti che li attraversano, limitandoci a vederle come un ideale di perfezione da perseguire, di fatto però irraggiungibile e perciò ininfluente sulle energie di vita dei cuori.
La liturgia ce le fa leggere dentro la prospettiva del Regno, come il salmo responsoriale 145 sottolinea, esplicitando la profezia di Sofonia: “Il Signore regna per sempre”. L’espressione corrisponde a quanto proclamerà la moltitudine dei santi in paradiso: “La salvezza appartiene al nostro Dio seduto sul trono e all’Agnello” (Ap 7,10). Se l’uomo non può darsi la salvezza, nemmeno può darsi la felicità. Il salmo lo dichiara a chiare lettere quando nei primi versetti dichiara: “non confidate nei potenti, in un uomo che non può salvare”, da rendere con più precisione, secondo la versione greca: ‘in un uomo che non ha salvezza’.
La felicità è paradossale. Tutti sappiamo che il piacere te lo puoi prendere, ma la gioia non te la puoi dare. La gioia o la felicità non si prende dove sembra di vederla, ma la si ottiene spesso con ciò che sembra il contrario. Perché in gioco è la credibilità stessa di Dio che viene incontro all’uomo, senza però mai poterlo convincere all’evidenza. Nella felicità è in gioco non semplicemente l’esaudimento di un cuore, ma l’incontro di due, la comunione di due.
Le beatitudini sono otto. La prima e l’ultima comportano la stessa promessa: ‘perché di essi è il regno dei cieli’ e racchiudono le altre sei. C’è un doppio movimento nell’elenco delle beatitudini: un movimento di concatenazione e un movimento circolare. La concatenazione riguarda lo spazio definito dalla seconda alla settima, mentre il movimento circolare è dato dal ritornare dell’ottava alla prima per riavviare, a livelli sempre più profondi, la concatenazione. Se non si coglie il dono di quel ‘regno dei cieli che è venuto a noi con Gesù’, come poter afferrare la potenza di quella felicità nuova promessa? In effetti, la felicità è definita nei termini di una appartenenza (‘di essi è il regno dei cieli’), appartenenza che allude a una comunione di amore ardentemente desiderata e finalmente goduta. Corrisponde al godimento del regno proclamato nella parabola profetica del giudizio finale, alla gioia del banchetto messianico, alla consumazione di un amore che aveva ferito il cuore. Solo che le condizioni che la permettono sono paradossali: si parla di povertà e di persecuzione. Il significato mi sembra questo: l’esperienza promessa è nuova rispetto a tutto ciò che può produrre il mondo. Ma è tale che può portare a compimento tutto ciò che nel mondo si vuol vivere.
In effetti, le promesse di compimento rispetto alle condizioni elencate (beati gli afflitti, i miti, gli affamati della giustizia, i misericordiosi, i puri di cuore, gli operatori di pace) parlano di qualcosa che i nostri cuori cercano comunque: essere consolati, godere ciò che ci appartiene, essere saziati negli aneliti più profondi, essere graziati anche nella nostra indegnità (=misericordia), essere fatti capaci di vedere, vivere nella comunione del Padre da figli felici.
Tenuto conto che Gesù parla a cuori che si stanno aprendo alla rivelazione del regno giunto a loro, la felicità scaturisce dai passaggi indicati:
se ti affliggi solo per la potenza del male che ti domina e dal quale vuoi esserne liberato;
se non avrai altro motivo di ira se non quello di opporti al maligno e così custodirti dolce con tutti; se cercherai la giustizia al di sopra del tuo interesse;
se condividerai con tutti la misericordia che avrai gustato nel perdono di Dio;
se sarai così privo di rivendicazioni e pretese da vedere tutto e tutti nella luce di Dio di cui godrai la presenza;
se seguirai l’opera di Dio che è la fraternità tra gli uomini,
allora – è la promessa della settima beatitudine – sarai come il Figlio di Dio che, per essere venuto a testimoniare quanto è grande l’amore di Dio per gli uomini, non ha preferito se stesso all’amore che lo divorava e ha accettato di essere consegnato nelle mani degli uomini.
Se nella persecuzione l’uomo non perde la sua gioia, allora vuol dire che la potenza del Regno l’ha lambito, che la sua felicità non dipende più dal mondo. Non avrà più bisogno di cercare altra affermazione di sé perché ha trovato quella capace di soddisfare l’anelito del suo cuore, che così sarà confermato nella rinuncia alla brama di ogni bene che non sia espressione di quell’esperienza. Tanto che si affliggerà ancora più profondamente del male che in lui si annida e ripercorrerà la concatenazione dei passaggi a livelli sempre più coinvolgenti, finché tutto in lui splenda della bellezza del Regno.
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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):
[I testi delle letture sono protetti dal © Libreria Editrice Vaticana e ne è vietata la riproduzione, anche parziale e con qualsiasi mezzo]
Prima Lettura Sof 2,3; 3, 12-13
Dal libro del profeta Sofonia
Cercate il Signore
voi tutti, poveri della terra,
che eseguite i suoi ordini,
cercate la giustizia,
cercate l’umiltà;
forse potrete trovarvi al riparo
nel giorno dell’ira del Signore.
«Lascerò in mezzo a te
un popolo umile e povero».
Confiderà nel nome del Signore
il resto d’Israele.
Non commetteranno più iniquità
e non proferiranno menzogna;
non si troverà più nella loro bocca
una lingua fraudolenta.
Potranno pascolare e riposare
senza che alcuno li molesti.
Salmo Responsoriale Dal Salmo 145
Beati i poveri in spirito.
Il Signore rimane fedele per sempre
rende giustizia agli oppressi,
dà il pane agli affamati.
Il Signore libera i prigionieri.
Il Signore ridona la vista ai ciechi,
il Signore rialza chi è caduto,
il Signore ama i giusti,
il Signore protegge i forestieri.
Egli sostiene l’orfano e la vedova,
ma sconvolge le vie dei malvagi.
Il Signore regna per sempre,
il tuo Dio, o Sion, di generazione in generazione.
Seconda Lettura 1 Cor 1, 26-31
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi
Considerate la vostra chiamata, fratelli: non ci sono fra voi molti sapienti dal punto di vista umano, né molti potenti, né molti nobili.
Ma quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono, perché nessuno possa vantarsi di fronte a Dio.
Grazie a lui voi siete in Cristo Gesù, il quale per noi è diventato sapienza per opera di Dio, giustizia, santificazione e redenzione, perché, come sta scritto, chi si vanta, si vanti nel Signore.
Vangelo Mt 5, 1-12a
Dal vangelo secondo Matteo
In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:
«Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati quelli che sono nel pianto,
perché saranno consolati.
Beati i miti,
perché avranno in eredità la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per la giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».