Tratto da:
FILOTEO SINAITA –
Quaranta capitoli sulla sobrietà
QUARTA parte DI QUATTRO
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- La S. SCRITTURA testimonia dell’esistenza della guerra spirituale.
Il beato Apostolo, lo strumento della elezione divina (cfr. At.9,15), colui che parla in Cristo (cfr. 2Cor.2,17), conosceva molto bene per esperienza diretta quella guerra invisibile e spirituale che si combatte nell’intimo e quindi anche in ciascuno di noi. Scrivendo agli Efesini diceva: “La nostra lotta, infatti, non è contro il sangue e la carne, ma contro i principati, contro le potestà, contro i signori di questo mondo tenebroso, contro gli spiriti del male nelle regioni celesti” (Ef. 6,12). E dice l’Apostolo Pietro: “Siate sobri, state all’erta! L’avversario nostro, il diavolo, si aggira, come leone ruggente, cercando qualcuno da divorare. Resistetegli saldi nella fede” (1Pt.5,8-9).
Il Signore nostro Gesù Cristo, parlando delle diverse disposizioni di coloro che ascoltavano le parole del Vangelo, diceva: “Poi viene il diavolo e porta via la Parola dal loro cuore – è chiaro che il demonio riesce in questo furto facendocela malignamente dimenticare[1] – affinché, credendo, non siano salvati” (Lc.8,12).
E ancora l’Apostolo: “Io mi diletto della legge di Dio nell’uomo interiore, ma sento un’altra legge in conflitto con la legge della mia ragione che mi tiene prigioniero” (citazione libera di Rom.7,22-23).
Queste cose sono state dette a nostro ammaestramento, per renderci noto ciò che era nascosto.
- Grazie all’umiltà abbiamo coscienza della nostra debolezza
È naturale che la scienza gonfi di orgoglio, ritenendosi superiore a molti, quando sia priva di autocritica ed umiltà. È grazie a queste ultime che noi abbiamo coscienza della nostra propria debolezza. Siano dunque in noi questi sentimenti mentre ascoltiamo le parole di colui che dice: “Fratelli, io non reputo di avere raggiunto la meta; una cosa sola: dimenticato ciò che è dietro di me e tutto proteso verso ciò che mi sta innanzi, corro alla meta, al premio della superna chiamata del Cristo” (Fil.3,13-14). E ancora: “E appunto così io corro, non come alla cieca; così io faccio il pugilato, non battendo colpi in aria; ma pesto il mio corpo e lo meno schiavo, per timore che, dopo aver predicato agli altiri, io non finisca reprobo” (1Cor.9,26-27).
Riconosci quale grande umiltà e nello stesso tempo quale corsa per la virtù? Vedi che umiltà ha Paolo, santo di così grande forza ed elevatura? “Cristo – dice – venne nel mondo per salvare i peccatori, il primo dei quali sono io” (1Tim.1,15). Perciò non è forse necessario che ci umiliamo noi, data la pochezza della nostra natura: in effetti cosa c’è di più vile della polvere?
Dobbiamo aver vivo nella memoria il ricordo di Dio, perché per questo siamo stati creati. Ma ci è necessaria anche la pratica della temperanza[2] per correre leggeri nel Signore nostro.
- Non si possono evitare i peccati se non si sradicano i cattivi pensieri
All’uomo che si abbandona ai cattivi pensieri riuscirebbe impossibile purificare dai peccati l’uomo esteriore. Coloro che non sradicano dal loro cuore i cattivi pensieri non mancheranno di tradurli negli atti cattivi corrispondenti.
La causa del guardare una donna per desiderarla è da ricercare nel fatto che l’occhio interiore ha già precedentemente consumato l’adulterio e si è ottenebrato; la causa del desiderio di sentire discorsi ignobili è da ricercare nel fatto che con gli orecchi dell’anima ascoltiamo quanto vanno sussurrando contro di noi i demoni dell’impurità che sono dentro di noi.
Perciò, nel Signore, dobbiamo purificarci nell’uomo esteriore e interiore, custodire ciascuno di noi i propri sensi e purificarli ogni giorno dalle attività passionali e peccaminose.
Come ieri nella nostra ignoranza, vivendo nel mondo istupiditi dalle vane illusioni della nostra mente, abbiamo servito con tutta la mente e con tutti i sensi la frode del peccato, così ora, passati a vivere secondo Dio, dobbiamo di nuovo con tutta la mente e con tutti i sensi servire il Dio vivo e vero (cfr. 1Tess.1,9), la sua giustizia e la sua volontà.
- Successione dei vari momenti della tentazione
Dapprima sopraggiunge la suggestione (προσβολή), segue l’unione (συνδυασμός), poi viene il consenso (συγκατάϑεσις), quindi la prigionia (αἰχμαλωσία) e si finisce con la passione (πάϑος) che si forma con l’abitudine e la continuità: questa è la vittoria della battaglia che viene combattuta contro di noi (dai demoni). È così che i santi Padri definiscono questa successione[3].
- Spiegazione dei termini che indicano i vari momenti della tentazione
I Padri dicono che la suggestione è un puro e semplice pensiero o un’immagine di un oggetto che sorge accidentalmente e all’improvvi so nel cuore e che appare alla mente.
L’unione consiste nel conversare con l’oggetto che ci si è presentato con o senza passione da parte nostra.
Il consenso è l’inclinazione compiacente dell’anima verso l’oggetto visto.
La prigionia è una cattura violenta ed involontaria del cuore; o ancora, una stabile convivenza con l’oggetto presentatosi che distrugge lo stato migliore di noi stessi.
I Padri definiscono propriamente la passione un male che si annida per lungo tempo nel profondo dell’anima[4].
Di tutti questi momenti, il primo è senza peccato, il secondo non sempre, il terzo dipende dallo stato in cui si trova l’uomo che sta lottando[5]: dalla lotta deriva la vittoria o la sconfitta.
- Continuazione del capitolo precedente.
Come si ottiene la vittoria sul nemico
Quanto alla prigionia, viene diversamente valutata a seconda che sopraggiunge nel momento della preghiera o in un altro momento[6].
La passione, invece, senza dubbio va soggetta ad una penitenza corrispondente oppure al castigo futuro.
Chi però resiste o si mostra impassibile all’inizio, cioè alla suggestione, di colpo taglia tutti i vizi. Questa è la lotta che i malvagi demoni sferrano contro monaci e non monaci, questa è la sconfitta e la vittoria, come dicevamo. Al vincitore la corona, a chi soccombe e non fa penitenza il castigo.
Perciò buttiamoci in questa lotta spirituale contro i demoni per impedire di tradurre i loro malvagi suggerimenti in corrispondenti opere sensibili peccaminose. Tagliamo via dal nostro cuore il peccato e troveremo dentro noi stessi il regno dei cieli (cfr. Lc.17,21). Teniamo puro il nostro cuore e custodiamolo permanentemente nella compunzione davanti a Dio, per mezzo di quell’attività così meravigliosa.
- Ritenere come mancanze soltanto i peccati commessi in azioni è frutto dell’inganno demoniaco
La maggior parte dei monaci non si rende conto dell’inganno[7] che lo spirito subisce a opera dei demoni. Tutti intenti nello sforzo di evitare i peccati in opere (τῇ πράξει) non si danno pensiero dello spirito, sempliciotti e rozzi come sono; penso che passino tutta la loro vita senza gustare la purità del cuore, completamente ignari della tenebra delle passioni interiori. Quanti in effetti non conoscono la lotta di cui parla Paolo,[8] né si sono compenetrati del bene tramite l’esperienza propria,[9] giudicano come mancanze soltanto i peccati commessi in azioni, senza darsi pensiero delle sconfitte e delle vittorie a livello dello spirito; anzi, abitualmente non sono neppure in grado di vederle, essendo segrete e conosciute soltanto da Dio come giudice e dalla coscienza di colui che è entrato in questa lotta. A costoro mi sembra indirizzato il detto della Scrittura: “(illudono il mio popolo) dicendo: Tutto bene! Mentre tutto va male” (Ez.13,10).
Preghiamo per quei fratelli che si trovano in tale stato a causa della loro semplicità ed insegnamo loro, come meglio possiamo, a non tenersi lontano unicamente dalle azioni cattive che si commettono con i propri atti[10].
Coloro invece che hanno un ardente desiderio divino di purificare l’occhio interiore dell’anima, li attende un altro genere di attività in Cristo, un altro mistero.
- Il ricordo della morte genera molte virtù
Il chiaro ricordo della morte abbraccia veramente molte virtù: genera il ‘penthos’[11], induce ad astenerci da ogni cosa, ci rammenta la gehenna; è madre della preghiera e delle lacrime, custodia del cuore, imperturbabilità nei confronti della materia perché effimera; produce perspicacia accompagnata da discernimento, i cui figli sono il duplice timore di Dio e la purificazione del cuore dai pensieri passionali, abbraccia molti comandamenti del Signore. In esso si vede il combattimento senza tregua sopportato con immenso sforzo, che sta però a cuore alla moltitudine degli atleti di Cristo.
- Il non accettare di poter essere sempre provati causa gravi danni
Il sopraggiungere di avvenimenti imprevisti o di avversità danneggia non poco l’attenzione della nostra mente. Distoglie lo spirito dallo sforzo di ritrovare il suo stato migliore, virtuoso e buono[12] e lo trascina in dispute e contese peccaminose.
La causa di questa nostra rovina consiste nel fatto che non ci curiamo minimamente della possibilità di subire sempre delle prove.
- La nostra condizione è quella di poter essere sempre provati
Nessun fatto importuno o molesto, che tutti i giorni può capitare, ci porterà danno né ci causerà angustia finché, sapendo (che ciò è inevitabile), terremo sempre ben in mente questo pensiero[13].
Perciò dice il divino Apostolo Paolo: “provo diletto nelle infermità, negli oltraggi, nelle necessità” (2Cor.12,10); “e tutti quelli che vogliono vivere piamente in Cristo Gesù saranno perseguitati” (2Tim.3,12); “a lui sia gloria in eterno. Amen!” (Rom.11,36).
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[1] Cfr. nota 10, cap. 6.
[2] Cfr. nota 12, cap. 8.
[3] Gli autori spirituali orientali generalmente definiscono in questa successione i vari momenti della tentazione, presentandoli come i differenti gradi di penetrazione del male dentro di noi. Cfr. Introduzione, “Momenti della tentazione” e “Senso della battaglia interiore”.
[4] Teofane, parafrasando il testo di Filoteo, illustra i vari momenti con queste spiegazioni:
suggestione (προσβολή, прилогь) = contatto, azione; quando un oggetto lanciato raggiunge il bersaglio verso il quale è stato scagliato.
unione (συνδυασμός, сочетание) = che si congiunge insieme; l’attenzione si trova legata all’oggetto in modo che c’è solamente l’anima e l’oggetto che ha interferito con essa e l’ha occupata.
consenso (συγκατάϑεσις, сосложение) = fondersi, mescolarsi insieme; l’oggetto, che ha invaso l’anima e ne ha occupata l’attenzione, ha provocato il desiderio e l’anima vi ha acconsentito e quindi si è fuso, mescolato con essa.
prigionia (αἰχμαλωσία, пленение) = prigionia; l’oggetto ha incantato l’anima che lo aveva desiderato e la guida ad agire come uno schiavo incatenato.
passione (πάϑος, страсть) = malattia dell’anima, inculcata nell’anima da una frequente ripetizione (un appagamento ripetuto dello stesso desiderio) e da una abitudine (di azioni, attraverso le quali si trova ad essere appagata) che è ormai diventata una qualità dell’anima (un tratto del carattere).
Cfr. Dobrotoljubie, op. cit., p. 300: parafrasi del capitolo 34 di Filoteo.
[5] La responsabilità relativa al terzo momento è valutata in rapporto agli sforzi e al grado di resistenza dell’uomo che lotta.
[6] Se la prigionia capita durante la preghiera, la nostra responsabilità è maggiore perché la preghiera suppone un’attenzione a Dio più diretta di qualsiasi altra circostanza. Se si considera poi la natura di ciò che la causa, risulta più o meno grave a seconda che sia provocata da pensieri cattivi o da cose senza importanza. Cfr. Giovanni Climaco, Scala paradisi XV,107, PG 88,897.
[7] Cfr. nota 93.
[8] Cfr. Ef.6,12: “La nostra lotta, infatti, non è contro il sangue e la carne, ma contro i principati, contro le potestà, contro i signori di questo mondo tenebroso, contro gli spiriti del male nelle regioni celesti”.
[9] L’espressione ‘compenetrati del bene’ (τῷ καλῷ ποιωϑέντες) indica l’uomo che, oltre ad avere soggiogato il suo corpo e i suoi sensi in modo da non commettere più atti cattivi, ha purificato anche il suo cuore da ogni pensiero cattivo ed è ritornato così alla bontà originaria dell’essere creato da Dio. Non si sforza più di fare atti buoni per diventare buono ( = πρᾶξις); al contrario, i suoi atti sono buoni perché egli è buono, avendo rimosso ogni ostacolo all’azione di Dio dentro di sé.
[10] In greco la frase è poco chiara. Nella nostra traduzione abbiamo seguito l’interpretazione di Paisij e Teofane; tuttavia sarebbe possibile anche una diversa traduzione, come ha fatto P. Staniloae nella sua versione romena: “Per cui tra i fratelli ce ne sono alcuni di questo tipo, a causa della loro semplicità. Si augurano e si sforzano quanto meglio possono di tenersi lontani da azioni cattive commesse in concreto”, cfr. Filocalia, traduzione dal greco di Dumitru Staniloae, 8 voll., Sibiu 1947-1980, vol. IV (1948), p. 118.
[11] Cfr. nota 16.
[12] Filoteo allude al fatto che la natura propria dello spirito è quella di attendere alla contemplazione di Dio (cfr. cap. 32) e che solo in essa lo spirito ritrovi il suo stato migliore, cioè il suo vero stato ‘naturale’, da cui scaturiscono le virtù e ogni bene per noi. Ogni sforzo ascetico ha per unico scopo il permettere al nostro spirito di stabilirsi in questo stato di contemplazione o di unione con Dio, allontanando tutto ciò che lo scompiglia ed offusca. La stessa espressione ‘stato migliore’ si ritrova con lo stesso significato nel cap. 35.
[13] Tentazioni, avversità, imprevisti sono gli strumenti di cui Dio si serve per mettere alla prova la sincerità del nostro attaccamento a Lui e per indurci ad abbandonare ciò che è terreno, passionale e che ci impedisce di godere della sua comunione. Un uomo spirituale sa che può essere così provato o tentato in qualsiasi momento ed è pronto a non lasciarsi sfuggire nessuna occasione per avvicinarsi sinceramente a Dio; sa che la vita dello spirito è una lotta incessante, dove l’unica recriminazione permessa è quella contro se stessi.
L’uomo, invece, che si lascia cogliere alla sprovvista è colui che non accetta questo stato di cose, è arroccato in se stesso, sempre pronto a trovare giustificazioni per se stesso e, di conseguenza, a recriminare nei confronti di Dio e del prossimo perché le cose non vanno secondo i suoi desideri.