Quinto ciclo
Anno liturgico C (2015-2016)
Tempo Ordinario
XXXII Domenica
(6 novembre 2016)
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2 Mac 7, 1-2. 9-14; Sal 16; 2 Ts 2,16-3,5; Lc 20, 27-38
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“E non osavano più rivolgergli alcuna domanda” (Lc 20,40): così finisce il brano evangelico proclamato oggi. Entrato trionfalmente a Gerusalemme, con il gesto di scacciare i venditori dal tempio e con la parabola dei vignaioli omicidi, Gesù si è ormai inimicato la leadership religiosa e politica del tempo. Il rapporto con i capi del popolo si è definitivamente rotto. Hanno già deciso di mettere le mani su di lui, senza però ancora riuscirci; si cercano pretesti e si tendono trappole al Maestro per coglierlo in fallo. L’incomprensione è totale e ci sarà posto solo per la cattura ormai prossima. Con la differenza che, mentre i capi si chiudono nell’accusa, la gente resta stupita dalla forza dell’insegnamento di Gesù.
Intervengono i sadducei che, a differenza dei farisei, non credono nella risurrezione dei morti, credenza che si era affermata due secoli prima con il profeta Daniele. Gesù condivideva con i farisei questa credenza e allora i sadducei si oppongono a lui con un esempio di scuola che cerca di ridicolizzare la fede nella risurrezione. Nella risposta ai sadducei, nei passi paralleli di Matteo e Marco, Gesù li apostrofa come coloro che non conoscono le Scritture né conoscono la potenza di Dio. Cita l’evento del roveto ardente, narrato in Esodo 3, dove Dio rivela il suo nome, nome che rimanda alla compassione per il suo popolo di cui conosce le sofferenze e che vuole scendere a liberare. Il nome di Dio non rinvia mai semplicemente all’essere di Dio, ma al suo ‘essere per noi’. Tanto che Dio è sempre ‘Dio di’: Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe.
Dicendo che Dio è Dio di Abramo non si vuole sottolineare che è il Dio che Abramo ha adorato e servito, ma il Dio che ha chiamato, custodito e salvato Abramo. Esperienza così fondante per il cuore dell’uomo che Origene così illustra nel suo commento a Giosuè: “Magari venisse concessa anche a me l’eredità di Abramo, Isacco, Giacobbe e divenisse mio il mio Dio allo stesso modo che è diventato Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe, in Cristo Gesù, Signore nostro” (Omelia XVIII,3). In quel ‘mio’ possiamo ravvisare tutto il coinvolgimento emotivo della professione di fede di Tommaso davanti al Signore Gesù Risorto, tutta l’emozione della Maddalena e del cieco di Gerico. Possiamo ravvisare tutta l’intimità di Gesù con il Padre di cui svela l’immenso amore per noi. In effetti, con la venuta di Gesù e con l’imminente mistero della sua morte e risurrezione, Dio oramai sarà il ‘Dio di Gesù’, il Dio che in Gesù ha sigillato il suo amore per noi nel modo più radicale e definitivo.
La risposta di Gesù ai Sadducei non riguarda semplicemente una verità degli ultimi tempi: i morti risorgeranno. Riguarda la potenza del dono di Dio che rende gli uomini che lo accolgono figli della risurrezione. Per comprendere questa espressione possiamo collegarla alla beatitudine: “beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio” (Mt 5,9). Gesù dice che i figli della risurrezione sono i figli di Dio. Allora i figli della risurrezione sono gli operatori di pace: chi vive nella pace e nella concordia, quella che Gesù ci ha ottenuto con il dono del suo Spirito e che Paolo illustra in Ef 4,32 dicendo: ‘Dio ha perdonato a voi in Cristo’, espressione che secondo il verbo greco dovrebbe essere resa con ‘Dio ha fatto grazia di sé a voi in Cristo’. Un’esperienza profonda del suo perdono, di questo suo far grazia di sé a me, che rende capace me, a mia volta, di fare grazia di me a tutti nel suo amore, in fraternità. Questa è proprio l’opera del suo Spirito, quello che sulla croce Gesù ha reso al Padre perché venisse effuso su di noi. Lo stesso Spirito che invochiamo nella preghiera eucaristica perché ci renda un unico corpo e uno spirito solo, finché alla fine Dio sia tutto in tutti. Figli di Dio sono allora coloro che lo Spirito governa, coloro che si muovono sotto l’azione dello Spirito e l’unica perfezione desiderabile per l’uomo è appunto quella di lasciarsi penetrare fin nelle midolla da questo far grazia di sé da parte di Dio agli uomini, in Cristo, per la potenza del suo Spirito. Come dice stupendamente s. Francesco, sintesi dell’intera Tradizione: “ciò che devono desiderare sopra ogni cosa è di avere lo Spirito del Signore e la sua santa operazione”.
Vuol dire allora che la vita vissuta nel segno del far grazia di sé a noi in Cristo e del far grazia di noi a tutti in Cristo, è la vita non toccata dalla morte, non più toccata dal veleno della divisione e della separazione. E se il peccato porta la morte, vuol dire che il peccato non è che la resistenza a vivere in radicalità la fraternità operata dallo Spirito, ostacolo che ci vela il volto di Dio e ci impedisce di conoscerlo come Padre. La morte è la rinuncia a questa proprietà di relazione con Dio, realtà misteriosa di cui anche gli affetti che si vivono in questo mondo sono allusivi. Una volta che la verità risplenderà in tutta la sua bellezza non ci sarà più bisogno di far valere le modalità allusive perché tutto sarà aperto e avverrà quello che il versetto responsoriale proclama: “Ci sazieremo, Signore, contemplando il tuo volto”.
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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):
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Prima Lettura 2 Mac 7, 1-2. 9-14
Dal secondo libro dei Maccabèi
In quei giorni, ci fu il caso di sette fratelli che, presi insieme alla loro madre, furono costretti dal re, a forza di flagelli e nerbate, a cibarsi di carni suine proibite.
Uno di loro, facendosi interprete di tutti, disse: «Che cosa cerchi o vuoi sapere da noi? Siamo pronti a morire piuttosto che trasgredire le leggi dei padri».
[E il secondo,] giunto all’ultimo respiro, disse: «Tu, o scellerato, ci elimini dalla vita presente, ma il re dell’universo, dopo che saremo morti per le sue leggi, ci risusciterà a vita nuova ed eterna».
Dopo costui fu torturato il terzo, che alla loro richiesta mise fuori prontamente la lingua e stese con coraggio le mani, dicendo dignitosamente: «Dal Cielo ho queste membra e per le sue leggi le disprezzo, perché da lui spero di riaverle di nuovo». Lo stesso re e i suoi dignitari rimasero colpiti dalla fierezza di questo giovane, che non teneva in nessun conto le torture.
Fatto morire anche questo, si misero a straziare il quarto con gli stessi tormenti. Ridotto in fin di vita, egli diceva: «È preferibile morire per mano degli uomini, quando da Dio si ha la speranza di essere da lui di nuovo risuscitati; ma per te non ci sarà davvero risurrezione per la vita».
Salmo Responsoriale Dal Salmo 16
Ci sazieremo, Signore, contemplando il tuo volto.
Ascolta, Signore, la mia giusta causa,
sii attento al mio grido.
Porgi l’orecchio alla mia preghiera:
sulle mie labbra non c’è inganno.
Tieni saldi i miei passi sulle tue vie
e i miei piedi non vacilleranno.
Io t’invoco poiché tu mi rispondi, o Dio;
tendi a me l’orecchio, ascolta le mie parole.
Custodiscimi come pupilla degli occhi,
all’ombra delle tue ali nascondimi,
io nella giustizia contemplerò il tuo volto,
al risveglio mi sazierò della tua immagine.
Seconda Lettura 2 Ts 2, 16 – 3, 5
Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicesi
Fratelli, lo stesso Signore nostro Gesù Cristo e Dio, Padre nostro, che ci ha amati e ci ha dato, per sua grazia, una consolazione eterna e una buona speranza, conforti i vostri cuori e li confermi in ogni opera e parola di bene.
Per il resto, fratelli, pregate per noi, perché la parola del Signore corra e sia glorificata, come lo è anche tra voi, e veniamo liberati dagli uomini corrotti e malvagi. La fede infatti non è di tutti. Ma il Signore è fedele: egli vi confermerà e vi custodirà dal Maligno.
Riguardo a voi, abbiamo questa fiducia nel Signore: che quanto noi vi ordiniamo già lo facciate e continuerete a farlo. Il Signore guidi i vostri cuori all’amore di Dio e alla pazienza di Cristo.
Vangelo Lc 20, 27-38
Dal vangelo secondo Luca
[ In quel tempo, si avvicinarono a Gesù alcuni sadducèi – i quali dicono che non c’è risurrezione ] – e gli posero questa domanda: «Maestro, Mosè ci ha prescritto: “Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello”. C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. Da ultimo morì anche la donna. La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie».
Gesù rispose loro: [ «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: “Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe”. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui». ]