Quinto ciclo
Anno liturgico C (2015-2016)
Tempo Ordinario
XXVII Domenica
(2 ottobre 2016)
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Ab 1,2-3; 2, 2-4; Sal 94; 2 Tm 1,6-8.13-14; Lc 17, 5-10
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Tutta la liturgia di oggi mira a svelare la struttura del cuore dell’uomo che si gioca nella fede. Il brano evangelico proclamato oggi inizia con la domanda degli apostoli: “Accresci in noi la fede!”. Frase che si potrebbe anche tradurre: “Accordaci la fede”. Tuttavia la domanda ha un suo contesto nelle affermazioni precedenti in cui Gesù parla di scandali nella comunità e di offese tra fratelli, invitando a perdonare sempre. È appunto davanti al compito supremo del perdono che gli apostoli chiedono a Gesù di dar loro la fede. I Padri antichi colgono la dinamica dell’intelligenza del brano nel suo insieme. Bisogna però tenere presente che il termine scandalo si riferisce a tutto ciò che provoca una difficoltà a conservare la fede. In primo piano stanno perciò i rapporti di fraternità. Nella chiesa primitiva le occasioni più gravi di scandalo sono date dalle persecuzioni, che spingevano ad abbandonare la fede e dagli insegnamenti dei falsi maestri, che dividevano la comunità.
Lo scandalo è riferito alle offese tra fratelli perché la comunità è mortificata. La risposta è il perdono vicendevole, che non parla semplicemente della generosità dell’uomo, ma della conoscenza di Dio che abita i cuori, vale a dire della fede in Gesù professata e vissuta. La fede è domandata proprio per vivere il compito divino del perdono, che è il modo umano di vivere l’amore, assecondando quel mistero di riconciliazione in atto nella storia secondo l’espressione della lettera agli Efesini: “perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato [= ha fatto grazia di sé] a voi in Cristo”. Se poi ci riferiamo al passo corrispondente di Matteo il compito ci appare ancora più immenso perché nemmeno si accenna al fatto che il fratello ci chieda scusa: “Se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?” E Gesù di risposta: “Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette” (cfr. Mt 18, 21-22).
Così tanto, in modo così nuovo, Gesù aveva insistito nella sua predicazione su questo comando divino: “tu gli perdonerai”! Il cuore dell’uomo sa e sente che non può riacquistare l’innocenza perduta se non nel perdono ricevuto e offerto, costantemente. Qui si radica l’esperienza di Dio: ognuno sente che non riuscirà credibile nell’offerta del suo amore se l’Amore del Signore non l’avrà raggiunto, se il Signore non gli riverserà in grembo quella tenerezza che non guarda a meriti o a diritti. Nel perdonare si gioca la sincerità dell’aver incontrato Dio e dell’esserci percepiti solidali con i nostri fratelli. La difficoltà risiede proprio nel fatto che non è così semplice ritenerci peccatori, assillati come siamo dalla paura di venire respinti e che non è così facile non aver più paura di Dio.
Con l’esempio del granello di senape Gesù non allude alla ’quantità’ della fede, poca o tanta. Allude alla ‘natura’ della fede, che è, sì, piccola come un granello di senape, ma ha la potenza del seme di senape, è capace di dispiegare la sua potenza vitale una volta seminato in terra, tanto da crescere e diventare l’arbusto più grande fra i vari ortaggi o addirittura un albero (cfr. Lc 13,19). Il paragone usa la stessa immagine riferita al regno di Dio, insignificante all’inizio, ma che col tempo cresce e diventa pianta dove vanno a nidificare gli uccelli, simbolo di tutti i pensieri e i desideri del cuore dell’uomo che vengono attratti dalla vita di Dio gustata nel cuore.
Un particolare significativo dei passi paralleli di Mt 17 e Mc 9 sottolinea quanto sia pressante la domanda della fede. I due evangelisti collocano la risposta di Gesù dopo la guarigione dell’epilettico, che era stato portato in precedenza dagli apostoli per essere guarito, ma loro non ci erano riusciti. A miracolo compiuto, Gesù spiega che basta avere fede e subito dopo annuncia per la seconda volta la sua passione. La fede, necessaria per disporci al perdono, è riferita al Salvatore che per noi patisce e muore, vero scandalo per la mente degli uomini che non sanno scorgere i segreti di Dio.
Aggiungo ancora una curiosa interpretazione di s. Agostino, il quale legge il paragone del granello di senape in rapporto al contrasto del gusto: il seme è insignificante, ma la senape è piccante quando si assaggia. E riferisce l’immagine all’ardore della fede, che non teme più alcuna difficoltà nella vita.
Il brano evangelico comporta anche l’aggiunta della parabola del servo inutile. A dire il vero non è che il servo sia inutile, perché il suo compito lo esegue e serve al padrone. Piuttosto si dovrebbe intendere: sono un servo qualunque, non ho titoli di preferenza o di diritti presso il mio Signore! Quanto è facile cadere nella rivendicazione dei nostri diritti, di quel che è giusto, di quel che ci viene! La vita non si allea con chi avanza titoli di pretesa. Il Signore nemmeno, per quanto aspetti alle porte del nostro cuore in attesa che impariamo semplicemente a chiedere e non a esigere, semplicemente a dare e non a pretendere, semplicemente a fare e non ad aspettarci che ci venga fatto. E questo sarà possibile quando ci accorgeremo che essere servi, nell’esperienza evangelica, significa non aver più bisogno di dimostrare nulla, di esibire nulla, di imporci in nulla. Il vero servo è proprio Gesù, che nella confidenza più totale con il Padre, serve tutti per conquistare tutti a quella stessa confidenza.
Essere servi inutili significa essere semplicemente servi e nulla di più. Ma il nostro titolo di gloria e di onore sta proprio qui: non voler essere e avere altro che quello che l’amore del Signore ha voluto per noi. La rettitudine del servizio sta esattamente in questo accogliersi nei confronti del Padrone senza perdersi nei confronti con gli altri servi. È l’altra faccia dell’espressione: “il giusto vivrà per la sua fede” del profeta Abacuc e vuol dire: chi non avanza pretese, confida davvero in Dio e non inciamperà nella vita perché non sarà in contesa con gli uomini. Quello che non deriva dalla confidenza in Dio viene dalla paura e se viene dalla paura è la rivendicazione che avanza, rivendicazione che stoppa il cammino della comunione con se stessi, con gli altri, con Dio, con le cose.
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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):
[I testi delle letture sono protetti dal © Libreria Editrice Vaticana e ne è vietata la riproduzione, anche parziale e con qualsiasi mezzo]
Prima Lettura Ab 1,2-3; 2, 2-4
Dal libro del profeta Abacuc
Fino a quando, Signore, implorerò aiuto
e non ascolti,
a te alzerò il grido: «Violenza!»
e non salvi?
Perché mi fai vedere l’iniquità
e resti spettatore dell’oppressione?
Ho davanti a me rapina e violenza
e ci sono liti e si muovono contese.
Il Signore rispose e mi disse:
«Scrivi la visione
e incidila bene sulle tavolette,
perché la si legga speditamente.
È una visione che attesta un termine,
parla di una scadenza e non mentisce;
se indugia, attendila,
perché certo verrà e non tarderà.
Ecco, soccombe colui che non ha l’animo retto,
mentre il giusto vivrà per la sua fede».
Salmo Responsoriale Dal Salmo 94
Ascoltate oggi la voce del Signore.
Venite, cantiamo al Signore,
acclamiamo la roccia della nostra salvezza.
Accostiamoci a lui per rendergli grazie,
a lui acclamiamo con canti di gioia.
Entrate: prostràti, adoriamo,
in ginocchio davanti al Signore che ci ha fatti.
È lui il nostro Dio
e noi il popolo del suo pascolo,
il gregge che egli conduce.
Se ascoltaste oggi la sua voce!
«Non indurite il cuore come a Merìba,
come nel giorno di Massa nel deserto,
dove mi tentarono i vostri padri:
mi misero alla prova
pur avendo visto le mie opere».
Seconda Lettura 2 Tm 1,6-8.13-14
Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo a Timoteo
Figlio mio, ti ricordo di ravvivare il dono di Dio, che è in te mediante l’imposizione delle mie mani. Dio infatti non ci ha dato uno spirito di timidezza, ma di forza, di carità e di prudenza.
Non vergognarti dunque di dare testimonianza al Signore nostro, né di me, che sono in carcere per lui; ma, con la forza di Dio, soffri con me per il Vangelo.
Prendi come modello i sani insegnamenti che hai udito da me con la fede e l’amore, che sono in Cristo Gesù. Custodisci, mediante lo Spirito Santo che abita in noi, il bene prezioso che ti è stato affidato.
Vangelo Lc 17,5-10
Dal vangelo secondo Luca
In quel tempo, gli apostoli dissero al Signore: «Accresci in noi la fede!».
Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe.
Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stríngiti le vesti ai fianchi e sérvimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti?
Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».