Quinto ciclo
Anno liturgico C (2015-2016)
Tempo Ordinario
XXVI Domenica
(25 settembre 2016)
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Am 6, 1.4-7; Sal 145; 1 Tm 6, 11-16; Lc 16, 19-31
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La parabola di oggi illustra in negativo quello che la parabola dell’amministratore disonesto illustrava in positivo: “Procuratevi amici con la disonesta ricchezza, perché, quand’essa verrà a mancare, vi accolgano nelle dimore eterne”. La costatazione di fondo può essere riassunta così: il povero ha bisogno del ricco in vita, il ricco ha bisogno del povero in morte. Guai a non accorgersi di questo bisogno!
Possiamo leggere la parabola in tre tempi:
1) la storia è narrata in chiave speculare a suggerire il ribaltamento delle situazioni, tipico del messaggio biblico. La sottolineatura che ne consegue è la seguente: Dio non giudica come giudica l’uomo! Qui il ricco gode e il povero soffre, lassù il povero godrà e il ricco soffrirà. Come qui il povero chiede pietà al ricco ma non la trova, lassù il ricco chiederà pietà ma non la troverà. L’abisso che si era stabilito in vita tra il ricco e il povero, ricomparirà, ormai definitivo, tra il povero e il ricco. Il ribaltamento delle situazioni allude al giudizio di Dio che toglierà ogni illusione. Si tratta dell’illusione della ricchezza come garanzia della vita. La parabola suggerisce uno dei criteri di discernimento più sicuri per agire bene: porsi dal punto di vista della fine, porsi dal punto di vista dell’eterno.
In gioco non è affatto la condanna delle ricchezze e l’esaltazione della povertà. In gioco è la solidarietà nella vita. S. Agostino dice del ricco: ‘possegga pure, ma non si lasci possedere’. L’uomo ricco, che gode di beni materiali, si arricchirà presso Dio se li condividerà con il povero, in modo che il rendimento di grazie sia solidale. È come dire che la vita si gioca nell’amore e l’amore risulterà dalla dignità di tutti, custodita e favorita con ogni mezzo. Non viene chiesto al ricco di disfarsi della sua ‘ricchezza disonesta’, ma di usarla per provvedere al povero.
La parabola non è raccontata per dare consolazione al povero, per invitarlo alla pazienza; è raccontata per svegliare il ricco. La forza del racconto poi non sta nel deterrente di paura (i toni sono pacati e familiari) ma nello svelamento del segreto della vita. In gioco è la fede nel Salvatore che ‘convince’ alla fraternità nella comunione col proprio Dio.
2) I particolari della parabola illustrano bene la posta in gioco nella vita e il modo di giocarla bene. Ci sono come dei punti nevralgici con cui il narratore chiede di misurarsi per averne intelligenza.
Anzitutto i nomi dei personaggi. Il ricco non ha nome, mentre il povero è chiamato Lazzaro, che significa ‘Dio aiuta’. Senza Dio l’uomo si confonde con ciò di cui si serve e che finisce per servire. Voler avere la vita dalla ricchezza comporta dimenticare Dio e misconoscere il fratello.
Il ricco non è condannato per la sua cattiveria e nemmeno per il suo disprezzo del povero; è condannato perché non vede, non si premura di vedere, nemmeno s’accorge del povero tanto vive nella sua illusione. Solo negli inferi è detto che il ricco ‘alzò gli occhi e vide’. Non aveva mai alzato gli occhi durante la sua vita. Ma oramai, non essendo più tempo di agire, il suo vedere lo condanna. Questo particolare esprime il movimento del cuore che prelude al riconoscimento della verità della vita. Quello che viene indicato avvenire là nell’inferno, nel giudizio della parabola, è proprio quello che ci si esorta ad assumere adesso nella nostra vita. A tale riguardo, la prima lettura del profeta Amos celebra l’intervento di Dio nella storia come il sopraggiungere del disincanto, come la cessazione dell’illusione. Quella classe nobile che sperperava allegramente i beni del popolo senza curarsi del bene del popolo verrà spazzata via: la potenza assira conquisterà Israele e tutti saranno ridotti in schiavitù.
Lazzaro, nel paradiso, è descritto con l’immagine del banchetto messianico, nel posto d’onore, a fianco di Abramo. La scena corrisponde al banchetto dell’ultima Cena con Gesù e Giovanni al suo fianco che può reclinarsi sul suo petto. È la traduzione in immagine dell’affermazione: gli ultimi sono i primi. Qui si vede cosa significa l’espressione più volta ripetuta nei salmi: Dio conosce l’umile.
3) La conclusione della parabola lascia intravedere allusioni misteriose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”. Quando Lazzaro, fratello di Marta e Maria, è stato risuscitato da Gesù, il miracolo non convincerà coloro che erano ostili verso Gesù. Gesù stesso risusciterà, ma di per sé nemmeno questo convincerà. Occorre prima dar credito alla parola di Dio, alla promessa di Dio celata nella sua parola. Declinerei in due tempi la portata di questa affermazione:
a) Dio non si può vedere direttamente. A Lui ci si può aprire accogliendo la sua parola e avendo cura del povero. Non basta però condividere i propri beni; occorre anche aver premura del povero, perché è quella premura che rende preziosa e amabile la condivisione, che risulta così essere segno della fede in Dio, che vuole felici i suoi figli.
b) non si può cogliere la portata del mistero di Gesù, compimento della promessa di Dio per l’umanità, se non riferendosi a tutte le parole della Scrittura, perché tutte di Lui parlano. Da interpretare nel senso dell’espressione di Paolo a Timoteo: “ti ordino di conservare senza macchia e in modo irreprensibile il comandamento fino alla manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo…”. Ogni parola va custodita e accolta, integra e viva, perché praticandola ci sveli il volto del Signore che si è fatto nostro prossimo, vicino a noi e raggiungibile nel nostro vicino. La condizione? La trovo ben espressa in una colletta della messa nel rito ambrosiano: “… conferma in noi la grazia della tua libertà”. Vedere nei comandamenti la possibilità di sperimentare l’amore di Dio per noi e la fraternità con gli uomini comporta il dono di una grande libertà, quella che ci deriva dal Signore Gesù Cristo che, rivelandoci il suo Volto dà anche a noi un volto in cui specchiarsi, riconoscersi e ritrovarsi. È la libertà che il cuore respira quando i suoi pensieri si accostano ai pensieri di Dio, quando i suoi pensieri si intessono con i pensieri di Dio e cade l’illusione di potenza, di sufficienza, di dominio per aprirci orizzonti nuovi e lucidità di visione e calore di rapporti.
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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):
[I testi delle letture sono protetti dal © Libreria Editrice Vaticana e ne è vietata la riproduzione, anche parziale e con qualsiasi mezzo]
Prima Lettura Am 6, 1.4-7
Dal libro del profeta Amos
Guai agli spensierati di Sion
e a quelli che si considerano sicuri
sulla montagna di Samaria!
Distesi su letti d’avorio e sdraiati sui loro divani
mangiano gli agnelli del gregge
e i vitelli cresciuti nella stalla.
Canterellano al suono dell’arpa,
come Davide improvvisano su strumenti musicali;
bevono il vino in larghe coppe
e si ungono con gli unguenti più raffinati,
ma della rovina di Giuseppe non si preoccupano.
Perciò ora andranno in esilio in testa ai deportati
e cesserà l’orgia dei dissoluti.
Salmo Responsoriale Dal Salmo 145
Loda il Signore, anima mia.
Il Signore rimane fedele per sempre
rende giustizia agli oppressi,
dà il pane agli affamati.
Il Signore libera i prigionieri.
Il Signore ridona la vista ai ciechi,
il Signore rialza chi è caduto,
il Signore ama i giusti,
il Signore protegge i forestieri.
Egli sostiene l’orfano e la vedova,
ma sconvolge le vie dei malvagi.
Il Signore regna per sempre,
il tuo Dio, o Sion, di generazione in generazione.
Seconda Lettura 1 Tm 6, 11-16
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo a Timoteo
Tu, uomo di Dio, evita queste cose; tendi invece alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza. Combatti la buona battaglia della fede, cerca di raggiungere la vita eterna alla quale sei stato chiamato e per la quale hai fatto la tua bella professione di fede davanti a molti testimoni.
Davanti a Dio, che dà vita a tutte le cose, e a Gesù Cristo, che ha dato la sua bella testimonianza davanti a Ponzio Pilato, ti ordino di conservare senza macchia e in modo irreprensibile il comandamento, fino alla manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo,
che al tempo stabilito sarà a noi mostrata da Dio,
il beato e unico Sovrano,
il Re dei re e Signore dei signori,
il solo che possiede l’immortalità
e abita una luce inaccessibile:
nessuno fra gli uomini lo ha mai visto né può vederlo.
A lui onore e potenza per sempre. Amen.
Vangelo Lc 16,19-31
Dal vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù disse ai farisei:
«C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe.
Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”.
Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”.
E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».