Quinto ciclo
Anno liturgico C (2015-2016)
Tempo Ordinario
XIX Domenica
(7 agosto 2016)
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Sap 18,3.6-9; Sal 32; Eb 11,1-2.8-19; Lc 12,32-48
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Il brano evangelico di oggi illustra il mistero della grandezza divina del servizio, rivelazione tipicamente evangelica: “Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli”. Ecco l’immagine di fondo che l’uomo non avrebbe potuto inventarsi e che riassume invece il senso della persona e dell’agire di Gesù: Dio si mette a servizio e in servizio degli uomini!
L’esortazione alla vigilanza, con le parabole che la illustrano, dice assai più di quello che saremmo portati a credere. I beni sono precari, e anche la vita è precaria. Stare vigili significa allora non perdere la coscienza di quella precarietà? Oppure, ancora, significa aspettare con timore l’arrivo del padrone, che comunque verrà e che dovrà ricompensare o castigare i suoi servi a seconda di come si sono comportati? Non c’è nulla di evangelico in questo tipo di vigilanza.
La vigilanza evangelica è in rapporto ad altro. Se al Padre è piaciuto darci il suo regno nel Figlio che lo rivela, allora tutto va giudicato in funzione di quella verità. E tanto più quella verità parla al cuore, tanto più il cuore vivrà di quella verità. Come a dire: tanto più il cuore vedrà la bellezza del Figlio di Dio, tanto più la vedrà nei figli degli uomini per cui si metterà a servirli. Le parabole alludono più direttamente al mistero della rivelazione del Figlio di Dio che si compie nella storia, alludono al Signore che viene a preparare tavola ai suoi, a condividere i suoi segreti quanto all’amore di Dio per l’uomo, motivo di beatitudine per il cuore dell’uomo.
Si tratta di un’esperienza di fede che equivale a un vivere nell’orizzonte di una promessa che ha toccato il cuore. In primo luogo non sta la fatica del vegliare, ma la percezione della fedeltà di Dio alla sua alleanza. Non per nulla la liturgia comincia con l’antifona: “Sii fedele, Signore alla tua alleanza, non dimenticare mai la vita dei tuoi poveri. Sorgi, Signore, difendi la tua causa, non dimenticare le suppliche di coloro che t’invocano”. Si tratta di un vegliare in funzione della percezione del regno di Dio arrivato a noi, in funzione della sua promessa di prossimità all’uomo che si è compiuta e che continuamente si va compiendo. La forza dell’esortazione del vegliare sta tutta nel riportare il cuore a sentire l’alleanza di Dio, a vederla realizzata nel Signore Gesù che diventa il tesoro del cuore perché in lui si concentrano le promesse di Dio e i nostri aneliti. E prima ancora che tradursi in fatica di veglia perché il nostro cuore non si allontani dalla verità percepita, diventa ardore di veglia perché il Signore non dimentichi, perché non abbia timore delle nostre miserie, perché non ci abbandoni, perché si costringa alla fedeltà a quell’amore che ha così fortemente voluto per noi.
Il senso della parabola dell’attesa del padrone quando torna dalle nozze va cercato in quel tipo di vigilanza evangelica. L’immagine non ha nulla di usuale perché non esiste sulla terra padrone che si metta a servire coloro che sono al suo servizio. Non è possibile non pensare al gesto di Gesù di lavare i piedi ai discepoli nell’ultima cena, come non è possibile non riferirsi al versetto di Giovanni: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (Gv 14,23). Quel gesto, quella volontà del Signore nei nostri confronti, è ben sottolineata dal versetto iniziale del brano di oggi: “Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto di dare a voi il Regno”. E corrisponde, nella ricostruzione della vicenda del popolo di Israele che esce dall’Egitto, secondo il libro della Sapienza, all’annotazione: “Quella notte fu preannunciata ai nostri padri, perché avessero coraggio, sapendo bene a quali giuramenti avevano prestato fedeltà”.
La fede, che diventa ‘una colonna di fuoco, come guida di un viaggio sconosciuto’, nel viaggio cioè della nostra vita, sta tutta nella percezione di quel “al Padre vostro è piaciuto”. In quella volontà assoluta di benevolenza per l’uomo, volontà manifestata in Gesù, sta il segreto della vigilanza evangelica, come anche della fatica apostolica. Come potremo liberarci dagli affanni e dalle preoccupazioni per i beni di cui abbiamo bisogno per vivere, come potremo vivere in sicurezza una vita assolutamente precaria, come non doverci servire dei fratelli per colmare il vuoto della precarietà che ci attanaglia, se non abbiamo mai percepito quella volontà di benevolenza nei nostri confronti? L’insistenza delle Scritture e della Tradizione quanto al non dimenticate, state attenti, vegliate, trova qui la sua ragion d’essere.
In questa ottica anche un altro particolare del brano evangelico di oggi assume tutta la sua rilevanza. Sembra che le parabole sulla vigilanza si riferiscano a un tempo finale, allorquando il padrone arriverà e non ci saranno più scuse che tengano. In realtà non si tratta di un tempo (il tempo eterno dopo il tempo storico) ma di una dimensione (il tempo eterno che attraversa il tempo storico). Come a dire: il padrone che arriva è l’immagine della rivelazione che si compie quando la vita quotidiana si apre al mistero del regno dei cieli. Non si tratta di un vivere oggi in un certo modo quaggiù per meritarsi di andare domani lassù. Si tratta piuttosto di un’imminenza del Regno che si può rivelare in ogni punto della nostra vita. A questo tende il servizio del padrone riguardo ai suoi servi: lui si rivela al cuore nella sua volontà assoluta di benevolenza per noi, visione che cambia radicalmente l’orizzonte della nostra vita.
A ricordarci che non si tratta, però, di una beatitudine beata, ma angosciosa, lavorata, paziente, sta l’esempio di Abramo riportato nella seconda lettura. È vero che, se Abramo ha potuto vedere solo di lontano i beni promessi, noi possiamo dire di averli conseguiti, avendoli visti realizzati in Gesù. Ma per noi, come per lui, se la promessa è certa, l’attuazione è precaria. Professare che in Gesù le promesse si compiono non significa ancora che si compiono in verità in noi. Non per nulla le parabole sulla vigilanza parlano della responsabilità dell’agire dei discepoli, con l’insidia dell’illusione sempre alle porte, con l’insidia della durezza di cuore rispetto all’attesa del padrone e al trattamento dei fratelli. L’accento però, nell’esperienza evangelica, non è più posto sulla funzionalità dell’agire (faccio bene per avere una ricompensa) ma sulla qualità della vigilanza (sono così desideroso del mio padrone che mi preoccupo di tutti i suoi servi). È l’attesa di Qualcuno, di Qualcuno che si sveli al mio cuore che informa ormai la qualità dell’agire.
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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):
[I testi delle letture sono protetti dal © Libreria Editrice Vaticana e ne è vietata la riproduzione, anche parziale e con qualsiasi mezzo]
Prima Lettura Sap 18, 6-9
Dal libro della Sapienza
La notte [della liberazione] fu preannunciata ai nostri padri,
perché avessero coraggio,
sapendo bene a quali giuramenti avevano prestato fedeltà.
Il tuo popolo infatti era in attesa
della salvezza dei giusti, della rovina dei nemici.
Difatti come punisti gli avversari,
così glorificasti noi, chiamandoci a te.
I figli santi dei giusti offrivano sacrifici in segreto
e si imposero, concordi, questa legge divina:
di condividere allo stesso modo successi e pericoli,
intonando subito le sacre lodi dei padri.
Salmo Responsoriale Dal Salmo 32
Beato il popolo scelto dal Signore.
Esultate, o giusti, nel Signore;
per gli uomini retti è bella la lode.
Beata la nazione che ha il Signore come Dio,
il popolo che egli ha scelto come sua eredità.
Ecco, l’occhio del Signore è su chi lo teme,
su chi spera nel suo amore,
per liberarlo dalla morte
e nutrirlo in tempo di fame.
L’anima nostra attende il Signore:
egli è nostro aiuto e nostro scudo.
Su di noi sia il tuo amore, Signore,
come da te noi speriamo.
Seconda Lettura Eb 11, 1-2.8-19
Dalla lettera agli Ebrei
[ Fratelli, la fede è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede. Per questa fede i nostri antenati sono stati approvati da Dio.
Per fede, Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava.
Per fede, egli soggiornò nella terra promessa come in una regione straniera, abitando sotto le tende, come anche Isacco e Giacobbe, coeredi della medesima promessa. Egli aspettava infatti la città dalle salde fondamenta, il cui architetto e costruttore è Dio stesso.
Per fede, anche Sara, sebbene fuori dell’età, ricevette la possibilità di diventare madre, perché ritenne degno di fede colui che glielo aveva promesso. Per questo da un uomo solo, e inoltre già segnato dalla morte, nacque una discendenza numerosa come le stelle del cielo e come la sabbia che si trova lungo la spiaggia del mare e non si può contare. ]
Nella fede morirono tutti costoro, senza aver ottenuto i beni promessi, ma li videro e li salutarono solo da lontano, dichiarando di essere stranieri e pellegrini sulla terra. Chi parla così, mostra di essere alla ricerca di una patria. Se avessero pensato a quella da cui erano usciti, avrebbero avuto la possibilità di ritornarvi; ora invece essi aspirano a una patria migliore, cioè a quella celeste. Per questo Dio non si vergogna di essere chiamato loro Dio. Ha preparato infatti per loro una città.
Per fede, Abramo, messo alla prova, offrì Isacco, e proprio lui, che aveva ricevuto le promesse, offrì il suo unigenito figlio, del quale era stato detto: «Mediante Isacco avrai una tua discendenza». Egli pensava infatti che Dio è capace di far risorgere anche dai morti: per questo lo riebbe anche come simbolo.
Vangelo Lc 12, 32-48
Dal vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno.
Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma. Perché, dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore.
[ Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito.
Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro!
Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo». ]
Allora Pietro disse: «Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?».
Il Signore rispose: «Chi è dunque l’amministratore fidato e prudente, che il padrone metterà a capo della sua servitù per dare la razione di cibo a tempo debito? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così. Davvero io vi dico che lo metterà a capo di tutti i suoi averi.
Ma se quel servo dicesse in cuor suo: “Il mio padrone tarda a venire”, e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi, il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli infedeli.
Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche.
A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più».