Quinto ciclo
Anno liturgico C (2015-2016)
Tempo Ordinario
X Domenica
(5 giugno 2016)
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1Re 17,17-24; Sal 29; Gal 1,11-19; Lc 7,11-17
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Il racconto del miracolo di Gesù che ridà la vita al figlio di una vedova nasce dalla costatazione della profonda compassione che Gesù prova e va letto con il seguito della narrazione evangelica dove è messa in luce la natura drammatica della fede in lui. In effetti, subito dopo Luca narra della risposta di Gesù ai due discepoli inviati da Giovanni Battista: “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?” (Lc 7,19). È la domanda di una vita. Di Giovanni Battista, anzitutto. Tutta la sua vita era consistita nel predisporre la via a un Altro: ‘Lui deve crescere; io, invece, diminuire’ (Gv 3,30). Accoglierne il mistero non significa però saperne in anticipo l’esito. Significa, più semplicemente ma più sinceramente, rimanere disposto ad accogliere comunque tutta l’esperienza umana e spirituale che quel mistero comporta nel suo dispiegamento. Così Giovanni, in carcere, alla fine della vita, riformula la stessa domanda con un risvolto angosciante: mi sono forse illuso? È lui quel Tu che tutti attendono e che io sono stato chiamato a svelare al mondo?
Coloro che assistono al miracolo per la vedova di Nain proclamano pieni di stupore: “Un grande profeta è sorto tra noi” e “Dio ha visitato il suo popolo”, richiamandosi evidentemente al profeta Elia, di cui la prima lettura di oggi riporta un identico miracolo. Ma Gesù non è semplicemente un grande profeta e quel miracolo è soltanto allusivo della potenza di salvezza che si compirà con la sua morte e risurrezione. Il miracolo è frutto della compassione che Gesù vive, compassione a cui spesso il racconto evangelico rimanda come segno della grandezza dell’amore del Padre per tutti i suoi figli, di cui Gesù è il Testimone per eccellenza. La compassione di Gesù rimanda al desiderio che lavora il suo cuore in vista dello svelamento del segreto di Dio nel suo amore per gli uomini (cfr Lc 12,50; 22,15), che apparirà in tutto il suo splendore nella sua morte e risurrezione. I cuori, per aprirsi all’accoglimento del segreto di Dio per loro, sono invitati a sentire la compassione di Gesù per loro, per la loro umanità, per la loro storia. Compassione che, a sua volta, sarà provata dai cuori quando guarderanno a Colui che hanno trafitto. L’incontro dei due sentimenti di compassione genera il processo della salvezza.
Gesù chiude la sua risposta agli inviati del Battista con l’affermazione: ‘E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo’ (Lc 7,23), che costituisce la firma apposta da Gesù in calce alla vita ed alla persona del Battista. Il volto di Dio lo vedono coloro che non si scandalizzano della sua piccolezza quando, ormai sfigurato sulla croce, allorché nemmeno d’uomo aveva più l’aspetto, accolgono tutto il mistero di Dio nel suo amore per gli uomini, vedono cioè la sua scelta di essere Dio per gli uomini, non di sembrarlo soltanto.
La domanda di Giovanni Battista non è che l’eco dell’angoscia di Gesù al Getsemani e al Calvario dove la sua piccolezza raggiunge la punta massima, ma dove si rivela in tutto il suo splendore la grandezza di Dio. E la domanda del Battista, come quella che resta nascosta nel cuore di coloro che assistono al miracolo di Gesù, è anche la nostra domanda di credenti che sempre si trovano confrontati, lungo il percorso della propria vita, con il mistero della scoperta del vero Volto di Dio. L’esito dell’incontro con Dio non è mai scontato. L’esperienza che siamo invitati continuamente a fare va sempre al di là di quello che ci immaginiamo o ci aspettiamo: in gioco è l’incontro con il Dio Vivente e non con un simulacro di Dio, che risulterebbe soltanto la proiezione delle nostre pretese. Ma tutto questo esige l’entrata nella piccolezza di Dio a cui risponde, specularmente, la piccolezza dell’uomo che trova vita, se la perde, che vive se è capace di morire, che si ritrova libero se rinnega se stesso, ecc., al seguito del “il più piccolo nel regno di Dio è più grande di lui” (Lc 7,28). ‘Il più piccolo’ è appunto Gesù.
Il movimento interiore del Battista esprime la traiettoria dello stesso movimento che caratterizza il nostro cuore. Anche noi siamo nella sua condizione e, come lui, per vivere fino in fondo la nostra vocazione all’umanità, abbiamo bisogno di affidarci all’Inviato di Dio e di imparare a modellare le nostre attese sul compimento effettivo delle opere di Dio che in Gesù si manifestano.
Quando Paolo, nella sua lettera ai Galati, si richiama alla potenza di rivelazione del vangelo che ha cambiato la sua vita, vuole come invitarci ad attendere la manifestazione del Salvatore al nostro cuore finché essa diventi radice di letizia. Solo allora non scambieremo più le nostre opere con la pretesa di giustizia o la nostra scienza con la rivendicazione di potere e sapremo rapportarci a tutti nella condivisione di quella letizia che fa conoscere a tutti l’amore salvatore di Dio. Si realizza così quello che la preghiera dopo la comunione proclama: “Signore, la forza risanatrice del tuo Spirito, operante in questo sacramento, ci guarisca dal male che ci separi da te e ci guidi sulla via del bene”. Fidarsi di Dio, affidarci a Gesù e al suo vangelo, significa non riconoscere più diritto di cittadinanza al male che ci abbindola continuamente; significa non acconsentire più al male che ci separa dalla vita perché ci separa da lui.
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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):
[I testi delle letture sono protetti dal © Libreria Editrice Vaticana e ne è vietata la riproduzione, anche parziale e con qualsiasi mezzo]
Prima Lettura 1 Re 17, 17-24
Dal primo libro dei Re
In quei giorni, il figlio della padrona di casa, [la vedova di Sarepta di Sidòne,] si ammalò. La sua malattia si aggravò tanto che egli cessò di respirare. Allora lei disse a Elìa: «Che cosa c’è fra me e te, o uomo di Dio? Sei venuto da me per rinnovare il ricordo della mia colpa e per far morire mio figlio?».
Elia le disse: «Dammi tuo figlio». Glielo prese dal seno, lo portò nella stanza superiore, dove abitava, e lo stese sul letto. Quindi invocò il Signore: «Signore, mio Dio, vuoi fare del male anche a questa vedova che mi ospita, tanto da farle morire il figlio?». Si distese tre volte sul bambino e invocò il Signore: «Signore, mio Dio, la vita di questo bambino torni nel suo corpo».
Il Signore ascoltò la voce di Elìa; la vita del bambino tornò nel suo corpo e quegli riprese a vivere. Elìa prese il bambino, lo portò giù nella casa dalla stanza superiore e lo consegnò alla madre. Elìa disse: «Guarda! Tuo figlio vive». La donna disse a Elìa: «Ora so veramente che tu sei uomo di Dio e che la parola del Signore nella tua bocca è verità».
Salmo Responsoriale Dal Salmo 29
Ti esalterò, Signore, perché mi hai risollevato.
Ti esalterò, Signore, perché mi hai risollevato,
non hai permesso ai miei nemici di gioire su di me.
Signore, hai fatto risalire la mia vita dagli inferi,
mi hai fatto rivivere perché non scendessi nella fossa.
Cantate inni al Signore, o suoi fedeli,
della sua santità celebrate il ricordo,
perché la sua collera dura un istante,
la sua bontà per tutta la vita.
Alla sera ospite è il pianto
e al mattino la gioia.
Ascolta, Signore, abbi pietà di me,
Signore, vieni in mio aiuto!
Hai mutato il mio lamento in danza,
Signore, mio Dio, ti renderò grazie per sempre.
Seconda Lettura Gal 1, 11-19
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Gàlati
Vi dichiaro, fratelli, che il Vangelo da me annunciato non segue un modello umano; infatti io non l’ho ricevuto né l’ho imparato da uomini, ma per rivelazione di Gesù Cristo.
Voi avete certamente sentito parlare della mia condotta di un tempo nel giudaismo: perseguitavo ferocemente la Chiesa di Dio e la devastavo, superando nel giudaismo la maggior parte dei miei coetanei e connazionali, accanito com’ero nel sostenere le tradizioni dei padri.
Ma quando Dio, che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia, si compiacque di rivelare in me il Figlio suo perché lo annunciassi in mezzo alle genti, subito, senza chiedere consiglio a nessuno, senza andare a Gerusalemme da coloro che erano apostoli prima di me, mi recai in Arabia e poi ritornai a Damasco.
In seguito, tre anni dopo, salii a Gerusalemme per andare a conoscere Cefa e rimasi presso di lui quindici giorni; degli apostoli non vidi nessun altro, se non Giacomo, il fratello del Signore.
Vangelo Lc 7,11-17
Dal vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù si recò in una città chiamata Nain, e con lui camminavano i suoi discepoli e una grande folla.
Quando fu vicino alla porta della città, ecco, veniva portato alla tomba un morto, unico figlio di una madre rimasta vedova; e molta gente della città era con lei.
Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione per lei e le disse: «Non piangere!». Si avvicinò e toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: «Ragazzo, dico a te, àlzati!». Il morto si mise seduto e cominciò a parlare. Ed egli lo restituì a sua madre.
Tutti furono presi da timore e glorificavano Dio, dicendo: «Un grande profeta è sorto tra noi», e: «Dio ha visitato il suo popolo».
Questa fama di lui si diffuse per tutta quanta la Giudea e in tutta la regione circostante.