Quinto ciclo
Anno liturgico C (2015-2016)
Tempo di Pasqua
V Domenica
(24 aprile 2016)
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At 14, 21-27; Sal 144; Ap 21, 1-5; Gv 13, 31-33. 34-35
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Tutta la liturgia di oggi ruota attorno all’aggettivo nuovo. L’ingresso segnala il canto nuovo, la colletta il fatto che Dio, nel suo Figlio, rinnova gli uomini e le cose, l’Apocalisse rivela: “Ecco, io faccio nuove tutte le cose”, il canto al vangelo e il vangelo: “Vi do un comandamento nuovo”, l’antifona dopo la comunione parla di vita nuova.
Ora, la novità di Gesù risalta dal rapporto che nella sua umanità vive con il Padre a nostro favore. Perché – possiamo domandarci – Gesù rivela il comandamento nuovo dopo che Giuda è uscito dalla sala del cenacolo? Gesù ha lavato i piedi anche a Giuda e tutti hanno sentito la sua spiegazione: “Vi ho dato infatti l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi” (Gv 13,15). Solo quando Giuda se ne è andato e Gesù vede tutto quello che gli accadrà può aggiungere: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 13,34).
Possiamo comprendere in questo modo. Quel comandamento non si riferisce semplicemente all’amore del prossimo, ma al significato che l’amore del prossimo assume nei discepoli di Gesù. Lui collega il lavare i piedi alla sua gloria. La gloria, che è splendore di amore, gli deriva dal fatto di porre la sua vita per noi perché sia riconosciuta la grandezza dell’amore del Padre per noi. Il suo lavare i piedi ai discepoli si riferisce direttamente all’esito della sua vita, che gli verrà presa perché lui l’ha voluta donare. A uno schiavo ebreo era consentito rifiutarsi di lavare i piedi ai padroni, mentre Gesù si sottopone anche a questo servizio. Come a dire: nulla va anteposto all’amore pur di rivelare la grandezza dell’amore del Padre per noi. I discepoli di Gesù verranno riconosciuti nel mondo per questo servizio vicendevole del lavarsi i piedi, nulla anteponendo all’amore l’uno per l’altro, perché partecipi del segreto di Gesù: solo così viene mostrata la grandezza dell’amore del Padre. E proprio questo farà desiderare di conoscere Gesù e diventare suoi discepoli a quanti ancora non lo conoscono o l’abbiano misconosciuto.
In effetti, la novità del comandamento dell’amore è posta tra la gloria che rifulge in Gesù nel suo farsi dono agli uomini da parte di Dio e il segno che rivela al mondo l’appartenenza dei discepoli al loro Signore. Proprio perché il crocifisso è il re della gloria, non si può non cogliere quella gloria come lo splendore dell’amore che si è riversato sugli uomini e che farà dire agli apostoli: “dobbiamo entrare nel regno di Dio attraverso molte tribolazioni” (At 14,22). Sono le tribolazioni come fatica di fedeltà all’amore, come pazienza dell’amore che non viene meno nelle avversità e nelle afflizioni, come vestito di umiltà che segnala la forza dell’intimità con quel Signore che si è conosciuto e che ci ha conquistati. Di fronte al mondo, invece, quella gloria diventa segno di appartenenza, segno rivelatore e segno attirante: rivelazione di un’esperienza forte di fede nel Cristo, capace di farci vivere e di far desiderare ad altri di vivere secondo quella novità di amore che rinnova alle radici la nostra umanità. Accogliere Gesù significa anche accogliere che in noi si esprima la dinamica di rivelazione che lo caratterizza: mostrare quanto è grande l’amore del Padre per i suoi figli e riunire i figli di Dio dispersi.
È singolare che Gesù non faccia mai comando ai discepoli di amare lui, mentre il comando di amare Dio e amare il prossimo è diretto. Quando allude all’amore per lui, lo suggerisce attraverso le espressioni: ‘se mi amate, osserverete i miei comandamenti’; ‘rimanete nel mio amore’. Verso di lui invece il comando diretto è: ‘credete in me’. Perché? Qui si può comprendere il nocciolo dell’amore di cui Gesù ci fa comando. L’amore vicendevole non rivela la generosità dei cuori, ma l’esperienza dell’incontro con Gesù; l’amore vicendevole parla di Dio che ha toccato il cuore dell’uomo e non dell’uomo che è diventato buono e perciò è in rapporto diretto all’esperienza della fede, quella fede di cui Gesù ci fa comando nei suoi confronti.
Nella visione dell’Apocalisse della Gerusalemme celeste, come il luogo dove l’amore di Dio è gustato e condiviso, risuonano le parole: “Ecco la tenda di Dio con gli uomini! Egli abiterà con loro ed essi saranno suoi popoli ed egli sarà il Dio con loro, il loro Dio” (Ap 21,3). Se all’inizio della creazione l’immagine del paradiso è un giardino dove l’uomo viene collocato, alla fine della storia l’immagine è una città che l’uomo ha contribuito a costruire. L’immagine della città suggerisce che la felicità sta nelle relazioni, sta nella fraternità goduta nell’intimità dell’unico Padre, che ci ha attirati nell’umanità del suo Figlio, perché avessimo la sua vita e la vita in abbondanza. Il paradiso è il compimento del nome di Gesù, l’Emmanuele, il Dio con noi!
Il salmo 144 canta l’esperienza dell’amore con le parole: “Misericordioso e pietoso è il Signore, lento all’ira e grande nell’amore. Buono è il Signore verso tutti, la sua tenerezza si espande su tutte le creature”. Usa le parole della rivelazione del nome di Dio sul Sinai, a Mosè, dopo la tragedia del peccato del vitello d’oro, quando tutto sembrava perduto, come è raccontato nei capitoli 32-34 del libro dell’Esodo. Dio è ricco di misericordia! Significa: noi, l’amore, lo sperimentiamo secondo l’intensità della coscienza del nostro non essere più innocenti, nella gratitudine di essere amati oltre ogni nostro merito, senza più alcun titolo di differenza con i nostri fratelli rispetto alla grandezza di questo amore. L’antica versione greca del v. 9 del salmo 144: “Buono è il Signore verso tutti”, rende con: “Dolce il Signore con quanti pazientano”. Collego questa interpretazione all’espressione di Paolo e Barnaba: “dobbiamo entrare nel regno di Dio attraverso molte tribolazioni” (At 14,22). Il pazientare allude non solo alla tenacia della fede, ma alla tenacia della misericordia verso tutti per non scordare che tutti siamo chiamati alla stessa mensa e tutti siamo indegni. Eppure tutti cercati e attirati allo stesso amore perdonante. Di questo deve parlare l’amore del prossimo che i discepoli di Gesù professano.
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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):
[I testi delle letture sono protetti dal © Libreria Editrice Vaticana e ne è vietata la riproduzione, anche parziale e con qualsiasi mezzo]
Prima Lettura At 14, 21b-27
Dagli Atti degli Apostoli
In quei giorni, Paolo e Bàrnaba ritornarono a Listra, Icònio e Antiòchia, confermando i discepoli ed esortandoli a restare saldi nella fede «perché – dicevano – dobbiamo entrare nel regno di Dio attraverso molte tribolazioni».
Designarono quindi per loro in ogni Chiesa alcuni anziani e, dopo avere pregato e digiunato, li affidarono al Signore, nel quale avevano creduto. Attraversata poi la Pisìdia, raggiunsero la Panfìlia e, dopo avere proclamato la Parola a Perge, scesero ad Attàlia; di qui fecero vela per Antiòchia, là dove erano stati affidati alla grazia di Dio per l’opera che avevano compiuto.
Appena arrivati, riunirono la Chiesa e riferirono tutto quello che Dio aveva fatto per mezzo loro e come avesse aperto ai pagani la porta della fede.
Salmo Responsoriale Dal Salmo 144
Benedirò il tuo nome per sempre, Signore.
Misericordioso e pietoso è il Signore,
lento all’ira e grande nell’amore.
Buono è il Signore verso tutti,
la sua tenerezza si espande su tutte le creature.
Ti lodino, Signore, tutte le tue opere
e ti benedicano i tuoi fedeli.
Dicano la gloria del tuo regno
e parlino della tua potenza.
Per far conoscere agli uomini le tue imprese
e la splendida gloria del tuo regno.
Il tuo regno è un regno eterno,
il tuo dominio si estende per tutte le generazioni.
Seconda Lettura Ap 21, 1-5
Dal libro dell’Apocalisse di san Giovanni apostolo
Io, Giovanni, vidi un cielo nuovo e una terra nuova: il cielo e la terra di prima infatti erano scomparsi e il mare non c’era più.
E vidi anche la città santa, la Gerusalemme nuova, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo.
Udii allora una voce potente, che veniva dal trono e diceva:
«Ecco la tenda di Dio con gli uomini!
Egli abiterà con loro
ed essi saranno suoi popoli
ed egli sarà il Dio con loro, il loro Dio.
E asciugherà ogni lacrima dai loro occhi
e non vi sarà più la morte
né lutto né lamento né affanno,
perché le cose di prima sono passate».
E Colui che sedeva sul trono disse: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose».
Vangelo Gv 13, 31-33a. 34-35
Dal vangelo secondo Giovanni
Quando Giuda fu uscito [dal cenacolo], Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito.
Figlioli, ancora per poco sono con voi. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri.
Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».