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tratto da:

FILOTEO  SINAITA –
Quaranta capitoli sulla sobrietà

SECONDA parte DI QUATTRO

[Reperibile sul sito, alla pagina pubblicazioni, anche in formato ebook liberamente scaricabile]

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  1. La superbia è abominio davanti a Dio

Colui che purifica il proprio cuore e che, nel Signore, sradica il peccato fin dalle sue radici, colui che si sforza di guadagnare una conoscenza più divina e che è in grado di contemplare nel suo spirito realtà invisibili a molti, non deve per questo insuperbirsi sopra gli altri. Tra le creature non ne esiste nessuna di più pura di un essere incorporeo, nessuna di più capace di conoscenza di un angelo; eppure, lo stesso angelo, per essersi inorgoglito, precipitò dal cielo come una folgore. La sua superbia fu così giudicata da Dio come abominio. Ma coloro che scavano l’oro diventano famosi[1].

  1. È impossibile combattere i nemici spirituali senza castigare il corpo

Dice l’Apostolo: “Ma quelli che partecipano alla gara s’impongono ogni sorta di privazioni” (1Cor.9,25). Ne consegue che è impossibile, legati come siamo a quella carne che causa angustie ed è sempre in atto di spirare desideri contro lo spirito (cfr. Ga1.5,17), scendere in battaglia contro i principati e contro le potenze invisibili del male a pancia piena. “Il regno di Dio non è né cibo né bevanda” (Rom.14,17); “Le aspirazioni della carne sono nemiche di Dio: non si piegano alla legge di Dio anzi neppure lo possono” (Rom.8,7) dice ancora l’Apostolo.

D’altronde si sa perché la carne non possa piegarsi alla legge di Dio, in quanto è terrena; mescolata com’è ad umori, sangue e bile, tende sempre al basso, aspira sempre a cose terrene; trova godimento nei piaceri perniciosi della vita presente. “Certo le aspirazioni della carne dicono morte” (Rom.8,6); “e coloro che sono carnali non possono piacere a Dio” (Rom.8,8).

  1. Necessità dell’umiltà e modi per acquistarla

Noi che ci preoccupiamo di praticare la custodia dello spirito nel Signore abbiamo bisogno di molta umiltà, prima di tutto verso Dio e quindi anche verso gli uomini. In tutti i modi e in ogni circostanza dobbiamo procurarci un cuore contrito, studiandoci di umiliarlo in ogni cosa.

Sa rendere il cuore contrito e umile il ricordo della nostra precedente vita nel mondo, se con scrupolosità la richiamiamo alla memoria. Il ricordo di tutti i peccati commessi fin dalla fanciullezza, riesaminati in modo dettagliato dalla mente (eccettuati però i peccati secondo la carne, poiché la loro considerazione è dannosa) sa rendere umili, fa sgorgare le lacrime e ci induce a rendere grazie a Dio con tutto il nostro cuore. Anche il ricordo continuo e vivo della morte ottiene gli stessi effetti ed inoltre genera compunzione[2], accompagnata da una certa dolcezza e gioia, come anche sobrietà di spirito.

Ci compenetra profondamente di umiltà, informandone tutto il nostro comportamento, il ricordo attento della passione del Signore nostro Gesù Cristo, se ne conserviamo ben vive le immagini nella memoria e vi meditiamo sopra spesso. Anche questo produce certamente lacrime.

Infine, sa rendere veramente umile l’anima anche la considerazione della moltitudine dei favori divini ricevuti: dal momento che siamo in battaglia contro i demoni superbi, rende umili l’enumerare ed il considerare specificatamente tutte le grazie divine di cui siamo favoriti.

  1. Come sia necessario praticare l’umiltà

Uomo, non negare al tuo amor proprio[3] quei rimedi che hanno il potere di salvare l’anima. Diversamente, non sei più discepolo del Cristo e certamente neanche imitatore di Paolo, il quale dice: “(non sono) neppure degno di essere chiamato apostolo” (1 Cor.15,9) e in un altro passo: “(sono stato) prima bestemmiatore e persecutore e violento” (1 Tim.1,13).

Non vedi, uomo superbo, come il santo apostolo non dimentica la sua vita precedente? Dal principio della creazione fino ad ora tutti i santi si sono rivestiti di questo eccellente e santo mantello divino. Lo stesso Signore nostro Gesù Cristo, pur essendo Dio incomprensibile, inconoscibile e ineffabile, nel voler mostrare la strada della vita eterna e della santità, rivestì l’umiltà in tutta la sua vita terrena. Così, veramente a giusto titolo la santa umiltà è detta virtù divina, comandamento e veste del Signore. Anche gli angeli e tutte quelle potenze luminose e divine praticano e custodiscono questa virtù, ben sapendo di quale caduta precipitò satana per essersi inorgoglito. A esempio per gli angeli e per gli uomini di come si debba temere di cadere, il maligno giace nell’abisso, essendo stato giudicato come la creatura più ignominiosa di ogni altra davanti a Dio, a causa del suo peccato di superbia. Custodendo tali esempi davanti ai nostri occhi e sicuri del vantaggio spirituale che deriva da quella virtù, procuriamo di umiliarci sempre, in tutti i modi, sostenuti proprio da quegli ammonimenti, per quanto è in nostro potere.

Umiliamoci nell’anima e nel corpo, nella volontà, nelle parole, nei pensieri e nel comportamento sia esteriormente che interiormente. Quello che soprattutto dobbiamo ricercare è di fare in modo che Gesù Cristo, il Figlio di Dio e Dio lui stesso, che si è dato per noi, non si erga contro di noi. Infatti “Dio resiste agli orgogliosi, ma a quelli di umile condizione concede favore” (Giac.4,6; citazione di Prov.3,34); “Il Signore ha in abominio ogni cuore altero” (Prov.16,5); “chiunque si abbasserà sarà innalzato” (Mt.23,12); “imparate da me che sono mite e umile di cuore” (Mt.11,29).

Perciò stiamo ben attenti!

  1. La temperanza modera i movimenti passionali dell’anima

Badate – dice il Salvatore nostro – che i vostri cuori non si appesantiscano …” (Lc. 21,34 e versetti seguenti). Difatti “quelli che partecipano alla gara si impongono ogni sorta di privazioni” (1 Cor.9,25).

Ben conoscendo tutte queste parole che la Sacra Scrittura ci rivolge, sforziamoci di condurre la nostra vita nella temperanza. Astenendoci prima di tutto dal troppo mangiare, abitueremo il corpo a una regola e consuetudine santa, somministrandogli il cibo con misura. Così anche i sobbalzi della stessa parte concupiscibi1e faci1mente vengono sopiti e ordinati sotto la direzione della parte razionale; a dire il vero bisogna aggiungere che in realtà avviene la stessa cosa anche per i moti della parte irascibile[4].

Ed anche dalle altre mancanze teniamoci agevolmente sempre lontani, poiché, secondo il giudizio di coloro che possiedono la virtù per esperienza personale, viene definita virtù anche l’essere temperanti in generale, vale a dire il tenersi lontani da ogni specie di male (cfr. 1 Tess.5,22). In effetti, l’agente primo della nostra purificazione è Dio, causa e dispensatore di ogni bene, ma subito dopo viene l’astinenza costante e misurata dai molti cibi.

  1. I precetti evangelici hanno lo scopo di sanare l’anima nelle sue tre potenze. Come la potenza irascibile sia insidiata dal maligno

Come satana, opponendosi a Dio allo scopo di impedire che si faccia la sua volontà, vale a dire i suoi comandamenti, contro i quali si adopera nel tentativo di annullarli, combatte contro Dio per mezzo nostro, così a sua volta Dio vuole che per mezzo nostro si compia la sua santissima volontà la quale, ripeto, equivale ai suoi divini e vivificanti comandamenti, distruggendo tramite noi e con la sua potenza il disegno funesto del maligno. In effetti, quell’insensata volontà del nemico, la quale sembra opporsi a Dio per mezzo di coloro che spinge a trasgredire i divini comandamenti, viene invece sopraffatta da Dio stesso tramite la debolezza umana.

E vedi se non sia così. Tutti i comandamenti del divino Evangelo sembrano stabilire le leggi di condotta per l’anima nella sua suddivisione tripartita e renderla sana per mezzo di ciò che ordinano. Direi, piuttosto, che non solo sembrano, ma che effettivamente rendono sana l’anima. Ed è proprio a queste tre parti dell’anima che anche il demonio muove chiaramente guerra notte e giorno[5]. E se satana fa guerra alle tre parti dell’anima, allora significa che fa guerra ai comandamenti di Cristo, perché Cristo, tramite i comandameriti, stabilisce le leggi di condotta per le tre parti dell’anima. Queste tre parti sono costituite dalla parte irascibile, dalla parte concupiscibile e da quella razionale.

Considera il precetto: “Chiunque si adira senza motivo contro il suo fratello sarà passibile di giudizio” (Mt.5,22)[6] e gli altri che seguono. Tramite questi viene curata la parte irascibile. Ma il nemico di nuovo tenta di annullare questo comandamento, insieme agli altri dello stesso genere, con l’introdurre nell’intimo pensieri di contesa, di rancore e di invidia. Anche il nostro avversario d’altronde sa molto bene che la guida della parte irascibile è la parte razionale. Ed allora colpisce proprio quest’ultima tramite i pensieri, come dicevo,·insinuando cioè pensieri di invidia, di contesa, di litigio, di inganno, di vanagloria e persuade la parte razionale ad abbandonare 1a propria funzione di piricipio direttivo, a cedere le redini alla parte irascibile e a permettere di lasciarla senza guida.

Così la parte irascibile, dopo aver cacciato la sua guida, trae fuori dalla bocca in parole ciò che stava prima riposto nel cuore, quello cioè che vi era stato introdotto dai pensieri del nemico e che vi era stato ammassato per negligenza della mente, permettendo che si veda quanto il cuore sia pieno di cattiveria, invece che essere pieno dello spirito di Dio e dei suoi divini pensieri, proprio secondo le parole del Signore: “Perché la bocca parla da quel che abbonda nel cuore” (Mt.12,34).

Se infatti il maligno avrà la forza di tirare fuori in parole quello che viene meditato e custodito dentro il nostro cuore, non solamente il fratello verrà sorpreso a dire stupido al fratello, a dargli del pazzo (cfr. Mt.5,22), ma spesso gli accadrà di passare dalle parole offensive perfino all’omicidio. Il maligno si avvale di questi mezzi, perché ci è stato dato da Dio il comandamento di non adirarci senza motivo (cfr. Mt.5,2).

Si sarebbe potuto evitare di cadere in quelle parole offensive e in tutto quel che ne segue, se avessimo cacciato immediatamente dal cuore, per mezzo della preghiera e dell’attenzione interiore, ogni pensero di tal natura appena ne fosse apparsa la suggestione[7].

Così il maligno raggiunge il suo scopo se s’insinua nel nostro cuore attraverso i pensieri: troverà così il modo di distruggere il comandamento di Dio.

  1. Precetti per la potenza concupiscibile e come questa sia insidiata dal maligno

Cosa prescrive il divino comandamento del Signore alla parte concupiscibile della nostra anima? “Chiunque guarda una donna desiderandola, ha già commesso in cuor suo adulterio con essa” (Mt.5,28). Il maligno sa bene che ci è stato dato questo comandamento e così va tessendo contro di esso come una rete nella nostra mente.

Dato che questo comandamento ci fa stare lontani dagli oggetti sensibili che possono indurci a peccare, il maligno fa in modo che nasca una guerra dentro noi stessi. Ed ecco allora che nella mente si vedono immagini, forme e fantasie licenziose suscitate dal maligno e si odono parole capaci di trascinarci alla passione e altre cose che coloro i quali hanno esperienza della vita dello spirito ben conoscono.

  1. Precetti per la potenza razionale e come questa venga spodestata dal maligno

Qual è invece il comandamento rivolto alla parte razionale della nostra anima? “Io però vi dico di non giurare affatto; il vostro linguaggio sia sì e no” (cfr. Mt.5,34.37). E ancora: “Chi non rinuncia a tutto e mi segue non è degno di me” (cfr. Mt.10,37-38); “Entrate per la porta stretta” (Mt.7,13). Questi sono i precetti adatti alla nostra parte razionale[8].

Di nuovo però il nemico, come volendo mettere le mani su di un comandante coraggioso, cioè la parte razionale, prima la fa uscir di senno con pensieri di ingordigia e di negligenza, poi le sottrae l’egemonia facendosi beffe di lei come di un comandante ubriaco, per restare – quel dragone – padrone di servirsi della parte irascibile e concupiscibile come di schiavi al fine di eseguire le sue volontà.

Quando queste potenze, parlo della parte irascibile e concupiscibile, sono lasciate libere dalla parte razionale, allora usano i nostri cinque sensi come strumenti per farci commettere apertamente i peccati, che sono i seguenti: gli occhi si fanno curiosi, non avendo più la mente che li tenga legati a guardare dentro di noi, l’udito si fa bramoso di ascoltare futilità e vanità, l’olfatto diventa effeminato, la gola intemperante, le mani vogliose di toccare ciò che non si deve. Ne consegue che l’ingiustizia subentra al posto della giustizia, la stoltezza al posto della prudenza, l’incontinenza al posto della temperanza, la schiavitù al posto della fortezza. Sono queste infatti quattro virtù cardinali; quando queste, cioè giustizia, prudenza, temperanza e fortezza, sono sane, allora governano la nostra anima nella sua suddivisione tripartita.

Quando le nostre tre parti sono ben governate, sanno tener lontani i sensi dalle cose sconvenienti. Solo allora il nostro spirito, potendo realizzare la calma interiore, dal momento che le sue potenze sono per disposizione divina ben governate e ubbidienti, combatterà coraggiosamente e con facilità nella guerra spirituale.

Ma se getta scompiglio nelle sue potenze a causa della sua negligenza, facendosi vincere dalle suggestioni del maligno, viola i divini comandamenti. A questa violazione ne dovrà seguire necessariamente o un pentimento corrispondente oppure il castigo nel secolo futuro.

Sarà bene perciò conservare sempre sobrio il proprio spirito perché con la sobrietà lo spirito si riappropria saldamente della sua vera natura[9] e diventa così vero custode dei divini commandamenti.

  1. L’anima viene liberata dalle tenebre tramite la preghiera e la sobrietà

L’anima è assediata e circondata dagli spiriti cattivi, incatenata alle tenebre. Questo cerchio di tenebra che l’avvolge non le permette di pregare come vorrebbe; si trova in effetti legata nel suo intimo[10] ed i suoi occhi interiori non vedono più nulla. Quando però inizia ad elevare preghiere a Dio e pregando si sforza di mantenersi nella sobrietà, allora quell’anima, grazie a questa preghiera, verrà liberata da quelle tenebre; diversamente, sarebbe impossibile venirne liberati.

A questo punto l’anima si fa capace di riconoscere che nel proprio cuore c’è un altro tipo di lotta, un’altra intima opposizione, un’altra guerra dei pensieri ispirati dagli spiriti del male, come d’altronde ne fanno testimonianza le Sacre Scritture: “Se lo spirito di colui che domina sale contro di te, non lasciare il tuo posto” (Eccl.10,4)[11]. Il posto dello spirito è il suo stare ben saldo nella virtù e il mantenersi nella sobrietà. Ma questo stare ben saldo può dirsi sia della virtù come del male, secondo le parole del salmista: “Beato l’uomo il quale non si muove nel consiglio degli empi e nella via dei peccatori non sta” (Sal.1,1) e dell’Apostolo: “State dunque con i vostri fianchi cinti nella verità” (Ef. 6,14)[12].

   20. Come arrivare a possedere fermamente il Signore Gesù nella nostra anima

Sforziamoci di possedere il Cristo molto fermamente, dato che i nostri nemici cercano continuamente di rapirLo dalla nostra anima, per paura che Gesù, davanti alla folla dei pensieri che occupano la sede dell’anima, non scompaia (cfr. Gv.5,13)[13]. Senza fatica dell’anima non è possibile conservarlo fermamente.

Esaminiamo attentamente la sua vita terrena per imparare a condurre la nostra in umiltà. Teniamo ben saldo il ricordo della sua passione per poter sopportare ogni afflizione bramando di essere suoi imitatori. Gustiamo il suo ineffabile amore, pieno di accondiscendenza per noi nella sua incarnazione, perché gustando nell’anima tale dolcezza conosciamo quanto è buono il Signore (cfr. Sal.34,9).

Ma sopra tutte queste cose o, meglio ancora, prima di ogni cosa poniamo senza reticenze tutta la nostra fede in lui e nelle sue parole. Attendiamo giorno per giorno i doni che la sua provvidenza ci elargisce e in qualunque modo si sia a noi manifestata, accogliamola in rendimento di grazie, con gioia e prontezza, per imparare a guardare unicamente a Dio, il quale provvede a tutte le cose secondo le disposizioni della sua Sapienza.

Quando compiremo tutte queste cose, allora non saremo lontani da dio, se davvero, come ha detto uno di quegli uomini teofori[14], ormai perfetti nello spirito, la devozione a dio consiste nella perfezione che non ha mai fine[15].

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[1] Si tratta di una frase alquanto enigmatica. Teofane parafrasa così l’espressione: “Ben sapete cosa fanno coloro che estraggono l’oro dalla terra (proprio come essi vanno sotto terra, voi dovete stare sotto tutti gli uomini per ottenere l’oro della conoscenza)”, Cfr. Dobrotoljubie v russkom perevode, dopolnennoe, 5 voll., Jordanville, N.Y. 1963-1966, t. III (1965), p. 292.

[2] La compunzione o ‘tristezza secondo Dio’ (πέντος) è il lutto incessante di coloro che si ricordano sempre della gloria da cui sono decaduti e che piangono per i loro peccati. Queste lacrime purificano l’anima e la dispongono a ricevere la consolazione divina, la gioia spirituale, in modo da realizzare la beatitudine evangelica: “Beati gli afflitti (πενϑοῦντες), perché saranno consolati” (Mt.5,4). I Padri hanno coniato una parola intraducibile per indicare questo stato di profondo dolore ed insieme di grande gioia: χαρμολύπη, letteralmente: gioia-dolore.

[3] Il termine greco φιλαυτία non indica tanto l’amor proprio come passione specifica, bensì quella affezione per il nostro corpo e quella compiacenza di se stessi che costituiscono la radice di ogni passione. Ogni essere tende alla sua ‘soddisfazione’ e le passioni si potrebbero dire sciocchi tentativi di procurare ‘soddisfazione’ al nostro essere, ma nella più totale ignoranza della sua vera realtà, con il risultato di raccogliere insoddisfazione e dolore. L’umiltà, invece, colloca il nostro essere nella sua vera realtà davanti a Dio e a noi stessi, in perfetta armonia con gli altri e con le cose, perché porta a considerare ogni creatura secondo il pensiero di Dio e non secondo la lente deformante della nostra φιλαυτία.

[4] Secondo la classica concezione generalmente professata dai Padri, l’anima è dotata di tre facoltà o potenze: τό λογιστικόν, la parte razionale, τό ϑυμικόν, la parte irascibile, τό ἐπιϑυμητικόν, la parte concupiscibile. La parte razionale, nel contesto dei Padri, non è semplicemente la capacità di raziocinio, ma la capacità, frutto naturale della grazia, di conoscere quanto si addice alla realizzazione della propria natura, che è quella di aderire a Dio, Sommo Bene. La parte concupiscibile è la sede degli affetti e dei desideri. La parte irascibile è la sede dell’energia che attivamente sostiene e asseconda il desiderio nella ricerca del suo soddisfacimento.

[5] Facilmente l’uomo sarà preda del maligno finché le potenze della sua anima, che ora si muovono indipendentemente e l’una contro l’altra a causa dello scompiglio prodotto dal peccato, non siano ristabilite nell’armonia originaria, fatta di sottomissione della potenza irascibile e concupiscibile al loro principio direttivo, la potenza razionale. Questo è il primo obiettivo dello sforzo ascetico.

[6] Nella citazione di Mt. 5,22 Filoteo segue il testo evangelico di alcuni codici, i quali inseriscono la lezione: εἰκῇ, senza motivo.

[7] Sul termine ‘suggestione’ cfr. più avanti i capitoli 34 e 35.

[8] Il modo in cui questi tre precetti, tratti dal vangelo di Matteo, si adattino alla parte razionale non è così immediatamente comprensibile. La prima citazione si può riferire al discernimento che la parte razionale deve esercitare giudicando col suo ‘sì e no’ del valore positivo o negativo di tutto ciò che riguarda la salvezza dell’anima. Per riuscire in questo intento deve rinunciare a tutti quegli oggetti che le parti irascibile e concupiscibile propongono, come suggerisce la seconda citazione e proprio questa rinuncia è la porta stretta a cui accenna la terza citazione.

[9] La sobrietà, rimuovendo ogni pensiero e movimento passionale dal cuore e impedendo al nemioco di penetrarvi, riporta la perfetta armonia tra le varie facoltà dell’anima, in modo che lo spirito possa aderire sempre più profondamente a Dio. Lo spirito ritrova così la sua natura originaria, riscoprendo quell’immagine di Dio secondo la quale è stato creato e che il peccato aveva offuscato, senza però riuscire a cancellarla. Ed allora diventa custode dei comandamenti di Dio, perché li sente scaturire dal fondo di se stesso, come realizzazione del suo essere nella piena unione con Dio.

[10] Secondo l’interpretazione di Teofane, bisognerebbe intendere che l’anima si trova come legata dalle tenebre in segreto, cioè nelle sue più segrete profondità e del tutto inconsapevolmente, cfr. Dobrotoljubie, op. cit., p. 295-296.

[11] Gregorio Palamas spiega egregiamente il passo di Eccl. 10,4: “Se lo spirito di colui che domina, vale a dire quello degli spiriti cattivi e delle cattive passioni, sale contro di te, dice l’Ecclesiaste, non lasciare il tuo posto, vale a dire non lasciare senza sorveglianza nessuna parte della tua anima, nessun membro del tuo corpo. Così veramente diventerai inaccessibile per gli spiriti che ti attaccano in basso …” (triade I,2,9), cfr. Grégoire Palamas, Défense des saints hésychastes, vol. I, p. 92 (Filocalia IV, p. 128). La Bibbia Marietti traduce: “Se l’ira del principe si accende contro di te non lasciare il tuo posto”.

[12] La Bibbia Marietti traduce: “Su dunque! con la verità per cintura”. Questa traduzione non fa capire la conclusione di Filoteo basata sul concetto di stare saldo.

[13] Abbiamo qui un tipico esempio dell’interpretazione spirituale della S. Scrittura, comune nella tradizione patristica. La ‘folla’ del versetto di Giovanni (‘Gesù, infatti, era scomparso perché là c’era folla’) diventa la folla dei pensieri a cui Gesù si sottrae perché non sono secondo Dio.

[14] Teoforo, letteralmente: ‘portatore di Dio’, colui che ha Dio nel suo intimo ed è unito a lui. Titolo riferito particolarmente ai santi Padri.

[15] Filoteo allude certamente a Giovanni Climaco, di cui ricalca il pensiero sulla ‘perfezione dei perfetti che consiste in un perfezionamento senza fine’, cfr. Scala paradisi XXIX, PG 88,1148C. La perfezione non indica uno stato definito da raggiungere, ma un movimento di continua ascesa verso Dio. In altri termini, la ‘perfezione’ dell’uomo consiste nel suo continuo pentimento davanti a Dio, che non può mai avere fine. Cfr. Isacco Siro, Discorso 55 (ed. greca), Sulle passioni.