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p. ELIA CITTERIO,  

Articolo pubblicato sul “Il Regno” 18/2005, pp. 629-645; in collaborazione con Natalino Valentini e Iustin Marchiş[1].


LA RIVOLUZIONE DEL 1989 E LE REAZIONI CHE HA SUSCITATE[2]

Per la comprensione del clima e della natura dei problemi che la Chiesa Ortodossa Romena si trova oggi ad affrontare, è certamente utile passare in rassegna le posizioni che via via si sono registrate nella e attorno alla Chiesa a proposito dell’evento ‘fondatore’ che ha dischiuso un nuovo scenario in Romania, la rivoluzione del 1989.

Dal punto di vista storico-politico, le rivoluzioni in Europa centrale e orientale del 1989 (la caduta del muro di Berlino, la rivoluzione di Havel nell’allora Cecoslovacchia, la caduta di Ceasescu in Romania), che hanno portato alla caduta del comunismo, hanno permesso anche alla Chiesa Ortodossa, repressa da decenni, di venire alla ribalta della storia[3]. Nello stesso tempo, però, gli eventi dopo il 1989 hanno anche evidenziato l’ambiguità del discorso e della pratica sociale ortodossa nel contesto di una società post-totalitaria traumatizzata, che si preparava a rientrare in Europa sul difficile sentiero di una triplice transizione: politica – verso un regime di tipo democratico e uno stato di diritto; economica – verso un’economia di mercato e di libera iniziativa; di mentalità – verso una ‘forma mentis’ di tipo moderno, occidentale, liberale. Tutti passaggi che implicano lo spostamento da una logica totalitaria, intollerante, dell’omogeneità e delle fusioni ad una logica di distinzioni e differenziazioni nella reciproca tolleranza.

Passata l’euforia del momento, sono emerse in Romania le difficoltà della transizione. Accanto alla sopravvivenza di vecchie mentalità di epoca comunista adattatesi al nuovo contesto, le difficoltà in larga misura si devono al riapparire delle ambiguità e tensioni del passato precomunista. Diverse sono state le reazioni. In un certo senso, si è ripreso il grande dibattito interbellico tra i partigiani del liberalismo individualista e del collettivismo nazionalista, tra la ‘etnocrazia’ e la ‘democrazia’, tra i fautori di una libertà e di una autonomia moderne della cultura occidentale e quelli di una ricercata protezione e ripiegamento sul passato, sui valori premoderni della tradizione nazionale.

La rivoluzione ha sorpreso tanto l’intellettualità romena quanto la Chiesa romena, impreparate a un cambiamento di tale portata. All’interno di entrambe queste realtà, si è prodotta una brusca polarizzazione determinata dallo sforzo di immettervi i germi inesistenti, quantunque necessari, di una società civile. Attorno alla rivista 22 si è costituito il ‘Gruppo per il Dialogo Sociale’ e la ‘Alleanza Civica’. Sul loro modello ha fatto la sua comparsa nella Chiesa il ‘Gruppo di riflessione per il rinnovamento della Chiesa’ (costituito da preti e intellettuali), la ‘Conferenza Nazionale Consultiva del clero ortodosso’ (guidata dal sac. Adrian Niculcea) e la ‘Conferenza nazionale Consultiva per il laicato ortodosso’ (organizzatori: S. Dumitrescu, H. Bernea). Fenomeno unico in seno all’Ortodossia, tali conferenze lavoravano per la promozione di giovani vescovi, per il rinnovamento e per la restaurazione nella Chiesa della conciliarità. Purtroppo, queste speranze non si sono concretizzate, per il clima generale di ripiegamento gerarchico e conservatore nella Chiesa, di stagnazione e di rimando delle riforme nella società di quegli anni (1990-1992), segnati da aspre polemiche tra intellettuali e gerarchia, tra intellettuali e nuovo potere a proposito delle compromissioni nel passato regime. Un clima velenoso e controproducente di radicalismo e contestazione reciproci hanno portato al fallimento, almeno per ora, del dialogo tra Chiesa, intellettuali e società.

 

Reazioni ufficiali.

Le reazioni ufficiali della gerarchia ortodossa davanti alla nuova realtà politica e sociale romena sono state esitanti, situate generalmente sulla linea della ‘sinfonia’. La Chiesa, forte del sostegno generale, rivendicando il carattere ‘nazionale’ della propria realtà, ha optato immediatamente per una forma di stipendio per i sacerdoti con la loro assimilazione a livello di pubblici funzionari, assicurandosi l’inserimento dell’insegnamento religioso nelle scuole primarie e l’assistenza religiosa negli ospedali e nell’esercito (diritti riconosciuti nella Costituzione del 1991[4]). Veemente invece è stata la reazione della Chiesa Ortodossa alla rinascita della Chiesa Unita o greco-cattolica. Polemiche avvelenate, con accuse e rivendicazioni intransigenti da ambo le parti, si sono moltiplicate, lasciando ancora oggi irrisolto il contenzioso fra di loro: sembra che il passato domini ancora troppo gli animi[5]. Senza abbandonare i contatti ecumenici, la Chiesa Ortodossa denunzia l’offensiva dei cattolici e il proselitismo dei culti evangelici neoprotestanti. Registrando forti tensioni con la Chiesa Ortodossa Russa a proposito della giurisdizione sopra la Moldova, stringe rapporti più stretti con il patriarcato ecumenico: la visita di Bartolomeo I nell’agosto 1993 e nell’ottobre 1996, in occasione della celebrazione dei 110 anni dell’autocefalia e dei 70 anni del patriarcato romeno, sono presentate come un avvenimento di rafforzamento dell’unità panortodossa in rapporto alla promozione di una presenza ortodossa coerente nella nuova Europa unificata. Nella stessa prospettiva sono stati vissuti i lavori del IV congresso internazionale delle Facoltà di teologia Ortodossa (boicottato dalle scuole teologiche russe) tenuto a Bucarest nel 1996 sul tema ‘Missione della Chiesa oggi e domani’. Il momento più intenso, senza dubbio, anche per l’alta e convinta partecipazione popolare, è stato rappresentato dalla visita di Giovanni Paolo II su invito del patriarca Teoctist e del Santo Sinodo della Chiesa Ortodossa Romena: un evento ecumenico di risonanza mondiale.

Gli interventi pastorali della gerarchia hanno incominciato ad affrontare i problemi di morale sociale (la condanna dell’omosessualità, la promozione della solidarietà per i bambini di strada, la condanna di pornografia e aborti [si stima attorno al milione e mezzo all’anno], l’azione a favore dei poveri e della famiglia cristiana), sebbene le argomentazioni peschino sempre in quella specie di simbiosi naturale tra ‘romenismo’ e cristianesimo e basando l’autorevolezza del suo dire sui meriti storici e sul ruolo nazionale della Chiesa. Il discorso nazionale resta il tema prediletto dei documenti ufficiali della Chiesa e della stampa ecclesiastica in generale, anche sulla base dei censimenti che stimano la popolazione ortodossa attorno all’ 86,8% (1992), 86,7% (2002).

Reazioni teologiche.

La diversità delle reazioni teologiche di fronte a un periodo epocale di cambiamenti si può vedere in modo sintetico in una serie di 24 interviste realizzate tra il 1990-1994 e apparse sulla rivista ufficiale del Patriarcato romeno, Vestitorul Ortodoxiei, dal p. Constantin Coman della Facoltà di Teologia Ortodossa di Bucarest e raccolte in un volume dal titolo sintomatico: Ortodoxia sub presiunea istoriei [6]. Fin dalla prefazione, però, il tono autocritico viene rapidamente abbandonato in favore di una frettolosa condanna della modernità e della cultura occidentale. La ’pressione della storia’ è intesa di fatto come una pressione della modernità che cerca di assimilare la Chiesa Ortodossa. La maggioranza degli intervistati, greci e athoniti in particolare, sostiene che tra Ortodossia e Occidente la contraddizione teologica sarebbe assoluta. Un tono diverso si registra nei teologi formati in occidente (patriarca Partenio di Alessandria, metropolita Antony Bloom, vescovo Kallistos Ware) i quali sostengono che i teologi ortodossi dovrebbero, fondandosi sulla tradizione orientale, aprirsi in modo critico e creativo alla cultura occidentale. Per i teologi romeni, in particolare, p. Dumitru Stăniloae (1903–1993), senza dubbio il teologo ortodosso più noto e fecondo in Romania,  sostiene che sul piano spirituale gli ortodossi non hanno nulla da prendere dall’occidente, ma solo da dare. In un suo ultimo scritto Reflexii despre spiritualitatea poporului român[7], arriva perfino a proporre una visione tanto idealizzata del popolo romeno da difendere l’idea dell’ ”uomo comunitario” (differente dall’individualismo occidentale e dal collettivismo comunista) tipico del villaggio rurale romeno in una visione nostalgica del cristianesimo romeno popolare. Nella linea di un pietismo interiore, p. Vasile Mihoc (n. 1948, professore di Nuovo Testamento alla Facoltà di Teologia di Sibiu e guida teologica del movimento ortodosso ’Esercito del Signore’[8]) propone una riforma interiore dei credenti e un rinnovamento eucaristico dentro il contesto urbano.  Tra la gerarchia ortodossa romena, l’arcivescovo di Cluj, Bartolomeo Anania, fine letterato, autore di molti volumi di poesia, teatro e prosa, spinge per una rigenerazione morale della Chiesa ristabilendo il primato della verità sulla menzogna, dell’intelligenza sulla stupidità, della cultura sull’ignoranza, della dignità sulla corruzione, anche attraverso una riforma urgente dell’insegnamento teologico. Il metropolita Serafim di Germania apre a una ’Ortodossia missionaria’, con l’abbandono del trionfalismo e delle nostalgie bizantine per una intensificazione dello spirito critico nella Chiesa. E infine, il metropolita Daniel di Moldavia insiste sull’urgenza del recupero di una dimensione ’filantropica’ del servizio della Chiesa, con la riattivazione di una partecipazione responsabile del laicato.

Degni di nota i tentativi di due professori di teologia di reagire positivamente alle sfide del tempo presente. Il prof. Dumitru Popescu di Bucarest delinea una via possibile di dialogo tra teologia e cultura, tra ortodossia e mondo contemporaneo, tra chiesa e società[9], mentre il prof. Ion Bria, che ha sempre lavorato a Ginevra, cerca di ripensare la posizione dell’ortodossia romena nell’Europa attuale[10].

L’aspetto forse più deficitario, in generale, è una visione acritica e apologetica degli atteggiamenti della Chiesa sotto il comunismo (prevale, ad esempio, l’affermazione di una legittimità storica della soppressione della Chiesa greco-cattolica, di una giustificazione dell’ ”apostolato sociale”[11] come opzione pastorale attuale) e l’acritico riciclaggio della conclamata ’unicità’ della Ortodossia Romena. Al di là di ogni buona intenzione, manca ancora una riflessione di principio sulla natura della politica, della democrazia, della società civile, temi ancora non adeguatamente entrati nella riflessione della teologia romena, probabilmente per la fissazione del discorso teologico su questi temi nelle categorie nazionali e statali del secolo XIX.

Reazioni intellettuali

Il dibattito culturale in Romania dopo la rivoluzione del 1989 si polarizza nuovamente tra i fautori di una modernizzazione europea e del liberalismo e i partigiani del nazionalismo e del tradizionalismo ortodossista.

Nel secondo orientamento, si inscrive l’attività della fondazione e della casa editrice Anastasia, animata dal pittore e saggista Sorin Dumitrescu. Si ristampano i testi inediti dei classici della destra nazionalista tra le due guerre (Nae Ionescu, Petre Ţutea, M. Vulcănescu, N. Paulescu, V. Băncilă, S. Mehedinţi, E. Bernea ecc.) condividendone gli orientamenti intellettuali e politici. Nella stessa area, ma con un senso critico più vivace, si pongono le ’cronache ortodosse’ sulle pagine della rivista Cuvântul di Dan Ciachir (n. 1950)[12], un lucido ammiratore di Nae Ionescu[13].

All’opposto, ci sono intellettuali incondizionatamente prooccidentali che vedono in quel tipo di alleanza tra nazionalismo e ortodossismo[14] una forma di fondamentalismo incompatibile con la direzione occidentale della cultura romena[15]. Pensano che la Chiesa Ortodossa giochi un ruolo reazionario.

Al centro, si situa la posizione di intellettuali filoeuropei, ma consapevoli della ricchezza della tradizione spirituale ortodossa: Andrei Pleşu[16] (n. 1948), che ha cercato, sulle pagine della rivista Dilema[17], di rilanciare il dibattito a proposito dei rapporti tra Chiesa e intellettuali, senza però suscitare l’interesse della gerarchia.

Una riflessione larga sulla società e sul cristianesimo romeno condotta dal punto di vista dell’antropologia culturale e teologica è prodotta anche da un altro fine scrittore e saggista, collaboratore fin dal 1994 della rivista Dilema, Teodor Baconsky (n. 1963), ambasciatore di Romania in Vaticano negli anni 1996-2000.  Da una iniziale critica alla democrazia liberale per il suo relativismo e materialismo in nome di un ritorno alla tradizione, della riscoperta di una Chiesa nazionale forte e profetica, precisa ulteriormente il suo pensiero allargandone la prospettiva e gli orientamenti di fondo. Iscrive la sua analisi in un orizzonte europeo e ecumenico assunto in modo deliberato e programmatico, nello sforzo di una integrazione positiva dei valori del mondo moderno e delle virtù del cristianesimo occidentale. Parla di ’urbanitatea credinţei’ (galateo della fede), della dimensione etica e ecumenica della transizione della società romena, di un programma di riconciliazione tra politica, religione e società, di un avvicinamento tra le grandi confessioni cristiane. Le condizioni sono il superamento delle diffidenze reali e immaginarie tra capitalismo, democrazia e Ortodossia e, d’altra parte, la presa di distanza dalle mentalità regressive, nazionaliste e conservatrici. L’Ortodossia dovrà mostrare la sua vitalità non semplicemente attraverso una autoaffermazione identitaria, ma attraverso un impegno personale e comunitario concreto, con creatività, dentro un orizzonte di ‘cristianesimo europeo’, inevitabilmente ecumenico, per gli anni del nuovo millennio[18]. Esplora in particolare tre aspetti: il modo possibile di articolare la tradizione cristiana con l’era postmoderna, la relazione tra la comunità dei credenti e la società civile e il ruolo del dialogo ecumenico in un’Europa caratterizzata da accelerate trasformazioni istituzionali. In sostanza, nota come le Chiese in Romania non siano ancora riuscite a valorizzare tutto ciò che le unisce per assicurare uno spazio condiviso per il bene comune e non si sia ancora formata una vera forza culturale cristiana capace di offrire alla generazione cresciuta dopo la rivoluzione la necessaria ‘arte della speranza’, l’arte di un cristianesimo rinnovato in un tempo di crisi di identità. L’handicap principale in Romania è ravvisato nella comunità immatura e nell’assenza di un progetto di società che valorizzi le connessioni essenziali tra democrazia, libero mercato e apertura europea, con la comunità ecclesiale, la società civile e gli interessi europei della Romania. Crede indispensabile l’elaborazione di una dottrina sociale della Chiesa all’altezza dei tempi.

Un’altra figura di prestigio che coltiva l’interesse per la modernità e per la tradizione intellettuale cristiana è Horia-Roman Patapievici (n. 1957)[19]. Avversario irriducibile del collettivismo e del corporativismo autoritario (che lui bolla come ‘eden neolitico-ortodosso’) che si rivela nel nazionalismo retrogrado, fissato magicamente sul passato, difende la democrazia liberale e le conquiste della modernità. Identifica la catastrofe della Romania moderna, resa ancor più drammaticamente acuta sotto il comunismo, nel fallimento del passaggio dal villaggio allo stato (in romeno, ‘de la sat la stat’), dalla comunità rurale costituita dai contadini alla società civile urbana costituita dai cittadini liberi, responsabili, solidali. Accusa i rappresentanti istituzionali della Chiesa Ortodossa della mancata relazione con la modernità e la cultura. Costruisce però anche una critica serrata alla stessa modernità dalla prospettiva della domanda: cosa si perde quando si guadagna qualcosa? («ce se pierde atunci când ceva se câştigă?»)[20]. Se la modernità ha acquisito, come valori, la ragione, il capitalismo e lo stato liberale, ha però perduto l’Invisibile, la tradizione cristiana, alla fin fine il Signore Vivente e Invisibile che si fa visibile nell’esistenza del mondo, sua creazione, sebbene sembra recuperare unicamente la presenza pneumatica dell’Invisibile, senza la dimensione ecclesiale e sociale.

Di una generazione più giovane, ma vivace e attento, è  Cristian Bădiliţă (n. 1968), pubblicista e scrittore, filologo appassionato di teologia, autore di traduzioni di Origene, Porfirio e dei Detti dei Padri. Dirige, in collaborazione con il Centro di studi superiori New Europe College di Bucarest, il progetto della versione romena della  Septuaginta, di cui sono già apparsi tre volumi[21]

Fecondo risulta anche il pensiero di un filosofo e pensatore cristiano, Mihai Şora (n. 1916), nel suo tentativo di unificare la tensione mistica e politica dello spirito, concependo la politica come una tecnica di amministrazione dell’ ’avere’ in funzione del bisogno di un ’essere’, cercando di realizzare un equilibrio dinamico tra le due visioni del mondo, la tradizionale e la moderna, l’organicista e la meccanicista[22].

 

CRISI DELLA PROFEZIA

In un recente sondaggio il 60 per cento dei romeni intervistati hanno risposto che non hanno fiducia nei loro simili. Sembra che la mancanza di fiducia, tanto nei rapporti interpersonali che sociali, sia ancora oggi molto accentuata[23]. La tremenda campagna ideologica per la costruzione dell’ “uomo nuovo” per il progresso verso il comunismo, scatenata e perseguita ferocemente dai partiti comunisti nei paesi dell’est europeo, ha segnato e dominato il linguaggio e il pensiero della gente, influenzandone profondamente le mentalità, con l’aggravante, in Romania, per la politica demenziale di Ceausescu, di produrre una popolazione di fatto terrorizzata. A differenza dei paesi occidentali, l’antropologia prevalente nell’Europa orientale è inevitabilmente influenzata dalla durissima battaglia ideologica dei vari regimi contro l’idea che all’individuo sia da attribuire un valore supremo. In pratica si è prodotta l’atomizzazione, l’isolamento e la totale distruzione di ogni valore ed iniziativa individuale[24]. Per di più, tutte le società comuniste hanno sperimentato, a vari livelli, la distruzione della fiducia sociale e del tessuto sociale.

In Romania, Horia Patapievici[25] vede nella crisi di identità la conseguenza più nefasta dell’indottrinamento marxista. Dal punto di vista sociale e politico, esiste un nesso innegabile tra la mentalità forgiata negli anni del violento indottrinamento comunista e la difficoltà di promuovere e costruire una democrazia con i suoi principi dei diritti umani.

Con la ritrovata libertà civile e la liberazione dall’indottrinamento ateistico, si può parlare di una rinascita spirituale senza precedenti nella storia recente della Romania. La presenza in massa dei credenti alle celebrazioni liturgiche festive, i pellegrinaggi ai monasteri del paese, in particolare il pellegrinaggio a s. Parasceve, a Iaşi, con la partecipazione di oltre un milione di pellegrini, mostrano come la dimensione religiosa sia divenuto un fenomeno di massa in Romania oggi. La Chiesa Ortodossa Romena, nonostante le critiche ai vistosi compromessi del recente passato, gode della più alta fiducia a livello istituzionale tra i romeni e in tutti questi quindici anni ha sempre ottenuto il primo posto nei sondaggi di credibilità, distanziando di gran lunga tutte le altre istituzioni.         

Tuttavia, da parte di molti ambienti, anche credenti, non si lesinano critiche alla Chiesa Ortodossa Romena. Secondo la tradizione bizantina, tipica dell’organizzazione ecclesiale della Chiesa Ortodossa in Romania, tre sono i principi che regolano il rapporto tra chiesa e società, tra chiesa e Stato: il principio di sinfonia (l’imperium e il sacerdotium sono chiamati a muoversi secondo una certa armonia perché ambedue voluti da Dio), il principio di ‘nomocanonicità’ (che sancisce l’autonomia della chiesa entro uno spazio territoriale, rischiando di condizionarla alla realtà istituzionale locale), il principio di ‘economia’ che regola la relazione dinamica tra tradizione e rinnovamento (la chiesa si adatta alle nuove condizioni storico-politiche, senza perdere la sua tradizione). Se, come l’era comunista ha mostrato, il principio dell’economia si trasforma come in una scusa per sottomettersi all’autorità di uno Stato abusivo, le conseguenze risultano estremamente ambigue. Così, se da una parte, teologi come p. Dumitru Stăniloae si limitano a costatare come la chiesa, seppur a prezzo di gravi compromessi, sia sopravvissuta al comunismo e il popolo romeno abbia preservato, tramite la chiesa, la fondamentale continuità della sua spiritualità[26], dall’altra, altri, specialmente intellettuali laici ortodossi come Andrei Pleşu, Horia Roman-Patapievici o Teodor Baconsky, ritengono inaccettabile la linea del compromesso e invocano pentimento e rinnovamento (sull’esempio luminoso e autorevole del metropolita Nicolae del Banat)[27].

Dal punto di vista dell’osservatore occidentale, prevale una certa diffidenza nei confronti di una realtà ecclesiale ortodossa che, dopo la caduta dei regimi comunisti nei paesi dell’est e del sud-est europeo, ha riguadagnato la scena pubblica. Se l’ovest e il centro dell’Europa tendono ad una certa unificazione, le regioni dell’est e del sud-est sono caratterizzate da tensioni di divisioni. Per l’occidentale, la rinascita ortodossa o viene concepita in termini socio-politici (e il giudizio non può che essere negativo per il carattere conservatore e nazionalista attribuito alla Chiesa Ortodossa) o viene relegata in una dimensione esclusivamente religiosa e cultuale, fascinosa, ma senza capacità creativa[28].

In uno studio, del resto ben documentato, di Olivier Gillet, Religion et nationalisme. L’idéologie de l’Eglise Orthodoxe Roumaine sous le régime communiste, quando l’autore si chiede, a conclusione della sua indagine, “L’éthique orthodoxe, un frein au pluralisme démocratique?”, sembra rispondere affermativamente:

« …force est de constater que l’Eglise orthodoxe a tendance à véhiculer une idéologie qui ne peut que s’opposer à l’idée d’un véritable pluralisme, selon les critères occidentaux de la démocratie des droits de l’homme garantis dans une société laïque, des libertés individuelles, de la tolérance civile et des libertés confessionelles.

L’Eglise ne se définit que par rapport à l’Etat et ne peut pas admettre une contestation de l’Etat. Elle ne peut donc se constituer en force d’opposition ni en force sociale distincte de l’entité étatique. Les tentatives actuelles de restaurer l’Eglise orthodoxe comme Eglise d’Etat montrent bien l’impossibilité pour l’Eglise orthodoxe de se différencier et de s’écarter de la tradition. Elle est non seulement en symphonie avec l’Etat, mais aussi avec la nation. Contester l’Etat irait à contr-courant de l’Histoire et remettrait en question le principe de «séparation»entre les deux institutions. Comme l’Eglise est en «fusion» avec la nation, et que selon l’Etat, «l’Etat et la nation sont un », contester l’Etat revient à se contester soi-même.

L’idéologie selon laquelle on ne peut être roumain que si l’on est orthodoxe et orthodoxe que si l’on est roumain, implique une ségrégation basée sur l’appartenance ethnique et confessionnelle. La distinction entre la citoyenneté et la nationalité ne peut permettre une véritable démocratisation de l’Etat. L’Eglise orthodoxe définit une équation ecclésiologique, Etat-nation-confession et se distingue ainsi de toutes les autres Eglises chrétiennes. L’assimilation au niveau ecclésiologique du nationalisme fait de l’orthodoxie une confession originale au sein de la chrétienté. Le nationalisme orthodoxe implique une conception de l’Eglise et de l’Etat qui ne peut être envisagée sans la notion d’ethnicité. L’Eglise ne peut séparer la nationalité, c’est-à-dire l’appartenance à une nation ethnique, de l’appartenance à l’orthodoxie. Etre de nationalité roumaine implique une conception d’être orthodoxe. Tout citoyen qui se prétendrait de «nationalité» roumaine sans être orthodoxe s’exclut de la filiation historique faites entre les origines daces et romaines et la nation roumaine actuelle. Tout citoyen roumain qui serait d’une autre confession ne peut être un véritable roumain »[29].

Evidentemente, tale interpretazione non può essere condivisa perché trascura diversi elementi e contiene un giudizio di fondo negativo sulla tradizione ortodossa.  Personalità eminenti, clero e laici ortodossi, sviluppano atteggiamenti che non hanno nulla a che vedere con quella concezione teologico-ecclesiale sopra esposta, favorendo la riconciliazione nella società, la cooperazione e il confronto fraterno tra le chiese, la difesa dei diritti dei deboli, ecc. Inoltre, il massiccio ritorno alla religiosità ortodossa (la Romania è il paese europeo che, dopo la Polonia, registra il più alto tasso di partecipazione dei fedeli alla messa domenicale: oltre il 50% per la Polonia, il 44% per la Romania) costituisce un enorme capitale di energie che una valorizzazione rinnovata della tradizione può offrire alla costruzione del paese. In particolare, la tradizione ortodossa possiede una coscienza della dimensione relazionale dell’umanità in forma più acuta della tradizione occidentale, troppo centrata sull’individualismo[30].

Rimproveri alla Chiesa Ortodossa Romena.

Quello che generalmente viene rimproverato alla Chiesa Ortodossa Romena è la modalità di approccio, la lettura degli eventi e della società, che deriva da una particolare impostazione teologica appiattita sulla storia passata[31]. I termini della questione si possono ridurre a questi. Dopo l’orientalizzazione forzata imposta dall’impero ottomano, agli inizi del sec. XIX (in Transilvania il fenomeno era iniziato nel secolo precedente), la classe dirigente del paese, sia politica che ecclesiastica che culturale, si impegna in un movimento di europeizzazione, di emancipazione, di modernizzazione nazionale. Ecclesiastici illuminati e patrioti (Grigore Râmniceanu, Eufrosin Poteca, Gh. Lazăr etc.)[32] si fanno promotori di questo movimento, benché le gerarchie ecclesiastiche cerchino di moderare lo zelo. Se si eccettua lo shock della secolarizzazione delle proprietà monastiche in patria e all’estero (imposta in Transilvania dall’imperatore Giuseppe II, nei Principati dal generale Kiselev e Alessandro I. Cuza), la modernizzazione della Romania nel sec. XIX, opera di una élite liberale, non ha avuto tuttavia sulla Chiesa gli effetti traumatici che ha avuto, per esempio, in Russia nel sec. XVIII e in Grecia nel sec. XIX. Certamente, l’istituzione della Chiesa Ortodossa ha subito un controllo crescente da parte dello Stato, soffrendo intromissioni eccessive dell’amministrazione statale nelle facoltà teologiche e soprattutto nell’organizzazione dei monasteri, che ricevono un duro colpo. Con le leggi del 1862 e 1866, Al. I. Cuza ha completato la subordinazione amministrativa e materiale del clero ortodosso, il quale non riuscirà più a svincolarsi da questa tutela, con danno sia per la Chiesa sia per l’interesse nazionale[33]. Eppure, nonostante tutte queste misure, la Chiesa ha continuato a beneficiare del prestigio morale di una istituzione nazionale.

Lo shock della secolarizzazione ha generato una grave crisi di identità e un dibattito nazionale di ampie dimensioni[34] che ha raggiunto la sua intensità massima nel periodo tra le due guerre mondiali e la cui eco non si è spenta neppure oggi. Le due posizioni a confronto, soprattutto dopo la costituzione della Grande Romania nel 1918, sono rappresentate, da una parte, dagli intellettuali liberali, partigiani della modernizzazione, della democratizzazione, della preminenza dell’individuo, della industrializzazione e dell’urbanizzazione e, dall’altra, dai fautori della tradizione legata alla vita dei villaggi, della conservazione delle strutture agrarie e dei valori bizantino-ortodossi, della collettività contadina e dell’autoritarismo. Contadini e villaggio si sono trovati al centro dei programmi dei vari partiti, generalmente d’accordo per la costituzione in Romania di una democrazia e di una economia essenzialmente contadina. Appena l’ 80% della popolazione contadina ha ottenuto il diritto di voto, i fautori della modernizzazione si sono trovati in netta minoranza, costatando lo smacco del loro programma di trasformazione di una collettività di contadini in una società civile di cittadini, pur con il sostegno di uno Stato forte. L’esperimento realmente democratico degli anni 1918-1930 si esaurì rapidamente sotto l’influenza dell’ascesa al potere in Italia e Germania del corporativismo e del totalitarismo antidemocratico e antiliberale. In Romania si produce un’azione politica nefasta da parte degli intellettuali tradizionalisti e ortodossisti raggruppati, da una parte, attorno a Nichifor Crainic (1889-1961) e alla rivista Gândirea (1926-1944) e, dall’altra, attorno al quotidiano Cuvântul (1926-1933, 1938, 1940-1941), che radicalizzano la posizione dei giovani intellettuali sulla linea di una estrema destra nazionalista[35] e di una confusa tensione per una ‚mistica del popolo’. Ha luogo in quegli anni il tentativo, parzialmente riuscito, di cooptare teologi e ecclesiastici ortodossi per il sostegno a un programma di politicizzazione totalitaria delle strutture del ‚cristianesimo romeno’ con l’obiettivo di creare uno Stato etnocratico autoritario. Si incarica di portare avanti il progetto una formazione ultra-ortodossista messa in piedi da Corneliu Z. Codreanu denominata ‚Legione dell’arcangelo Michele’, diventata poi ‚Guardia di ferro’, che lottava per trasformare la Romania in uno Stato nazionale legionario. L’episodio legionario è stato preceduto dalla liquidazione nel 1938 da parte del re Carlo II del regime democratico sopprimendo i partiti politici e instaurando una dittatura monarchica. Con la benedizione del patriarca Miron Cristea, il re Carlo crea un partito unico, il Fronte della Rinascita Nazionale, nel quale, nei primi giorni della sua esistenza, si iscrivono con entusiasmo sei milioni di romeni.  A Carlo II seguirà una lunga serie di ‚conducătorii’ che orchestreranno un delirante culto della personalità: Horia Sima, Ion Antonescu e, dopo la guerra, i capi comunisti Gh. Gheorghiu Dej, Nicolae Ceausescu.

I teologi ortodossi laici di quel periodo si sono impegnati massicciamente e con loro una intera generazione nella via rischiosa di un pensiero etnocentrista e di un attivismo politico radicalizzato in senso autoritario e totalitario. Alla base della loro visione teoretica stava il dogma riduzionista della identità strutturale tra Ortodossia-Nazione-Stato. L’Ortodossismo nazionalista veniva presentato come una soluzione teologico-politica autoctona al dilemma sociale che opponeva l’individualismo capitalista liberale al collettivismo comunista, considerati entrambi sistemi materialisti atei simmetrici. Si accompagnava con una critica virulenta all’Occidente, al cattolicesimo, al protestantesimo, alla modernità, per i loro valori intellettuali e la cultura sociale e politica che comportavano: l’universalità, la ragione, l’individuo, venivano sistematicamente discreditati come fonti di ateismo.

Le reazioni critiche della Chiesa e dei teologi a questa ideologia nazional-ortodossista sono state minime, senza eco, limitandosi a bollare certi eccessi teoretici o manifestazioni antisemite e xenofobe. Il programma come tale non fu mai messo in discussione, anche perché, all’epoca, a dispetto di certe intemperanze, sembrava costituire l’unica risorsa spirituale per il mantenimento della coesione nazionale del paese, rimessa in questione in quegli anni ’30-’40 dal revisionismo ungherese e dall’espansionismo nazista o bolscevico. L’occupazione da parte dei sovietici nel 1944 non fa che spostare l’autoritarismo della dittatura militare al totalitarismo comunista, dal nazionalismo alla sovietizzazione brutale di modello stalinista, realizzata con la soppressione fisica della classe dirigente politica, intellettuale e ecclesiastica (singolare la soppressione della Chiesa greco-cattolica nel 1948, con i vescovi tutti imprigionati o uccisi, i fedeli costretti in maggioranza a passare alla chiesa ortodossa) e con la nazionalizzazione dell’economia e la collettivizzazione dell’agricoltura. Dopo il 1958, per sfuggire alle conseguenze della destalinizzazione iniziata da Crusciov, i comunisti romeni adottano la linea dell’autonomia nazionale (derussificazione). I primi anni, 1965-1974, del regime di Ceausescu hanno costituito un periodo di liberalizzazione interna con la liberazione di tutti i prigionieri politici, ma seguirà un periodo di neostalinismo aggressivo sotto la forma di ‘socialismo dinastico’, un periodo di tirannia politica e ideologica, di recessione economica, di urbanizzazione e industrializzazione forzata, destinata a cambiare letteralmente la faccia della Romania. Per la realizzazione dell’ uomo nuovo della società comunista perfettamente omogeneizzata, si impone un demenziale programma di ingegneria sociale con la sistemazione metodica della capitale e delle grandi città e con l’eliminazione di circa 8000 villaggi e il trasferimento di 5-8 milioni di persone nei nuovi anonimi blocchi proletari e raggruppando i 5-6000 villaggi rimasti in 550 centri agro-industriali. Il completamento del progetto avrebbe trasformato la Romania di Ceausescu in un enorme lager nazionale.

Tutto questo ha messo a dura prova la tradizionale simbiosi religioso-politica romena[36],  che aveva costituito per secoli la forma specifica della concezione e della pratica sociale della Chiesa nella Romania medievale e moderna, con prolungamenti fino all’epoca contemporanea (Stato e Chiesa al servizio della Nazione; oppure, nella formula dello storico N. Iorga: “la Chiesa per la Nazione, non la Nazione per la Chiesa”). L’obiettivo dichiarato del partito comunista romeno era il totale asservimento della Chiesa Ortodossa. Ha cercato di realizzarlo, da una parte, con l’epurazione della gerarchia e del clero, con la persecuzione e l’imprigionamento a ondate (l’ultima tra il 1958-1964) del clero dissidente e dell’intellettualità religiosa, con la repressione del monachesimo (il decreto antimonastico del 1959 impone la chiusura di circa 200 monasteri e l’espulsione di 4000 tra monaci e monache[37]) e, dall’altra, con l’umiliante indottrinamento ideologico marxista-leninista del clero e della gerarchia e la loro cooptazione nelle campagne contro la proprietà privata, la lotta per la pace (conferenze teologiche internazionali a Bucarest nel 1981, 1984, 1985, presiedute dal patriarca Iustin Moisescu [1977-1987]) e la politica di socializzazione del paese inserendo dal 1974 la Chiesa Ortodossa nel cosiddetto FDUS – Fronte della democrazia e dell’unità socialista, strettamente controllato dal Partito comunista romeno.

Nel confronto drammatico tra Partito e Chiesa, la Chiesa ha reagito in modo diseguale. L’assenza di una tradizione di riflessione critica e di un’esperienza di separazione tra Stato e chiesa ha impedito una resistenza intellettuale e morale ferma (come, ad esempio, quella praticata dalla Chiesa cattolica in Polonia). Se molti fedeli, laici e monaci o sacerdoti, hanno scelto la via del martirio, la gerarchia ha scelto la strada, difficile e umiliante, ma sul piano oggettivo delle strutture vincente, del compromesso personale per il mantenimento delle istituzioni ecclesiastiche (parrocchie, scuole teologiche, monasteri), nelle condizioni di un rifugio tra un isolazionismo liturgico tollerato come una sottocultura sociale non ufficiale, con la relativa repressione di ogni tentativo di pensiero sociale alternativo e l’accettazione del monopolio ideologico del PCR sopra l’intera società. I centri monastici si sono mantenuti, al prezzo della loro trasformazione in cooperative agricole di produzione o oasi turistiche per la nomenklatura. Del resto, una reazione simile ha contraddistinto anche gli intellettuali romeni, con una scarsa resistenza morale su un fondo di compromesso generalizzato, di collaborazionismo o di ripiegamento elitario-estetico[38].

Il prezzo pagato per il mantenimento di questo spazio ecclesiastico è stato davvero alto. Si potrebbe dire che è consistito nella rinuncia alla funzione profetica della Chiesa come istituzione e all’accettazione del ruolo umiliante di Chiesa ‘serva’ degli obiettivi ideologici del regime, sebbene la pratica religiosa dei credenti non ne sia rimasta inficiata.  Il ‘profetismo’ si è trasformato in una servile propaganda, una dottrina politica in linguaggio religioso. Il risultato è stato disastroso sia dal punto di vista morale che soprattutto dal punto di vista intellettuale e sociale. L’umiliazione dell’asservimento politico della gerarchia ha comportato, per di più, l’aggravante di una certa perversione intellettuale del pensiero teologico della Chiesa. Al di là della violenza alle coscienze, del calcolo politico o dell’opportunismo carrierista, il compromesso nella Chiesa Ortodossa Romena ha potuto ricevere una specie di infrastruttura teologica e una giustificazione ideologica unica nel suo genere. Si è arrivati alla teorizzazione di una convergenza ideologica tra spiritualità e dottrina sociale della Chiesa Ortodossa, da una parte, e la dottrina e la pratica sociale marxista, dall’altra, che va sotto il nome di ‘Apostolato sociale’[39] e di ‘Chiesa serva’[40]. Ambedue i costrutti teologici-ideologici sono stati considerati come normativi nella teologia e nella pratica pastorale della Chiesa Ortodossa nella nuova realtà socialista[41]. Anticipando di decenni, ma sotto il registro del conformismo, e non della rivoluzione, le teologie latino-americane della liberazione di ispirazione marxista, l’ Apostolato sociale e la Chiesa serva hanno voluto cristianizzare Marx e Lenin. Operazione, che si è voluto assomigliare a quella operata su Platone dalla patristica e su Aristotele dalla scolastica medievale, giungendo perfino a identificare l’uomo nuovo paolino con l’uomo nuovo comunista[42]. La mistura di cristianesimo popolare con il populismo ideologico marxista e la cattività del pensiero hanno portato all’interiorizzazione da parte di coloro che erano  oppressi e perseguitati del pensiero del persecutore comunista, alla prigionia intellettuale più disgregante che non l’umiliazione morale del compromesso e del collaborazionismo. La piattaforma comune che ha impedito il conflitto tra gerarchia e Stato comunista è data dal nazionalismo e dal carattere ‘popolare’ del cristianesimo, per cui la Chiesa risulta attiva nello Stato in nome dell’unità nazionale, in virtù del legame naturale tra gli interessi della Chiesa del popolo e dello Stato popolare. La sinfonia bizantina si trasforma in cosmocrazia, sotto il controllo e la dominazione totale dello Stato comunista sopra la Chiesa che accettava obtorto collo l’umiliante funzione di propagandare una ideologia oppressiva e disumanizzante.

La crisi del profetismo e la debolezza della resistenza morale – il caso, nel 1978, di p. Gheorghe Calciu[43], è rimasto isolato, un’eccezione che conferma la regola – si spiegherebbe sia per una deficienza di capitale morale o etnopsicologico che per le ambiguità e le carenze a livello del pensiero teologico e della filosofia morale. A ciò si aggiunga l’assenza di una società civile articolata nella moderna Romania, assenza determinata dalla soppressione della classe dirigente negli anni ’50 e dal processo di urbanizzazione forzata della popolazione (dei 6,3 milioni nel 1964 agli 11,1 milioni nel 1984) costretta a vivere in quartieri giganteschi assolutamente anonimi. Per la maggior parte della popolazione, prevale un tipo di attitudine mentale di tipo rurale, paternalistico, gregario, passivo, che rifiuta i rischi della libertà. E’ stata esposta all’aggressione ideologica pianificata di uno Stato onnivoro che non soltanto occupava l’intera scena pubblica, ma che è arrivato a confiscare perfino l’intimità tra gli individui. Così la gente, distrutte le comunità rurali, urbanizzata in modo forzato, è diventato un popolo terrorizzato, una somma di individui senza reale coesione.

Alla Chiesa, in sostanza, viene rimproverato di assecondare l’ambiguità di una concezione che prende la sua forma dogmatica nell’assioma ‘il popolo romeno è nato cristiano’, diventato un luogo comune della retorica ufficiale della Chiesa negli ultimi centocinquant’anni, a dispetto della enormità dogmatica (nessuno nasce naturalmente cristiano, ma rinasce in modo soprannaturale al battesimo per la fede e la grazia) e della precarietà storica di una simile tesi. Il linguaggio della Chiesa Ortodossa Romena tanto ufficiale che popolare risente di argomentazioni, spesso apertamente anacronistiche,  tese a ribadire enfaticamente la bi-millenaria connessione della fede ortodossa con l’identità romena, senza realmente accettare le nuove sfide. A questo sostrato fanno pensare gli interventi di politica culturale della Chiesa in merito al recente dibattito sulla convenienza della costruzione di una ‘Cattedrale della salvezza del popolo’ in Bucarest o a proposito della festa nazionale del nuovo santo Stefano il Grande.

IL MONACHESIMO E LA FORZA DELLA TRADIZIONE

Sono state le grandi guide spirituali, i grandi ‘stareţi’, conosciutissimi e veneratissimi in Romania, a giocare un ruolo essenziale nel custodire e mantenere viva e trasmissibile la tradizione spirituale dell’ortodossia in Romania. Senza di loro la Chiesa ortodossa avrebbe perso agli occhi della gente gran parte del suo credito. Una vita monastica discreta ma spiritualmente forte ha costituito per tutti, gente semplice e intellettuali, un vero sostegno morale e un porto di pace per l’anima, nonostante l’imperversare di una ideologia oppressiva e asfissiante.

Dopo la ritrovata libertà, su tutto il territorio della Romania si è messo in moto un potente movimento di ricostruzione e fondazione di nuove chiese e monasteri, con un forte aumento di vocazioni monastiche. Le statistiche parlano chiaro. All’inizio del 2004 funzionano 392 monasteri, 177 eremitaggi (schit) e 5 centri abitativi subordinati (metoc), con una popolazione monastica complessiva di 7631 unità, di cui 2748 monaci e 4883 monache. Nel 1956 la popolazione monastica era stimata attorno alle 7000 unità, nel 1975 a circa 2200 e nel 1995 a 5500.

Ecco il grafico della evoluzione del numero di insediamenti monastici:

Diversi uomini spirituali, che avevano riparato e lavorato all’estero, tornano in patria dopo il 1989. Alcuni tornano per incontri e conferenze ma non si fermano (come, ad esempio, il p. Petronie Tănase, del monastero romeno athonita del  Prodromou), altri invece si fermano. Tra questi vanno menzionati il p. Andrei Scrima (1925-2000)[44] e il p. Rafail Noica (n. 1943), figlio del filosofo Constantin Noica[45] e monaco al Monastero s. Giovanni Battista, nell’Essex (Inghilterra) fondato dallo starec Sofronio, discepolo dello starec Silvano del Monte Athos. Ritornato in Romania per conferenze, vi è poi rimasto, con sede nel romitorio Lăzeşti (Jud. Alba), circondato da discepoli e da tanti giovani assetati di vita spirituale. Sta preparando la traduzione  dei testi del p. Sofronio e ha già pubblicato volumi di interviste e conferenze. Molto attivo è il p. Teofil Părăian[46], del monastero di Sîmbata de Sus (jud. Braşov), in Transilvania, cieco dalla nascita, profondo teologo e autore di numerosi libri di formazione spirituale, animatore di conferenze nei vari centri universitari e in molte città della Romania, suscitando vocazioni sacerdotali e monastiche. Attraverso i libri recentemente pubblicati viene recuperata la memoria e l’eredità spirituale di grandi uomini spirituali, molto ricercati durante gli anni tremendi del comunismo, quali  p. Arsenie Boca, alla cui attività era dovuto il fatto, unico nel mondo moderno, che i contadini della parte centrale della Romania leggessero la Filocalia e che aveva sostenuto p. Stăniloae nella sua traduzione in romeno della stessa Filocalia. Un altro personaggio di rilievo oggi in Romania è lo ieromonaco Savatie Baştovoi, originario di Bessarabia, figlio di un poeta postmoderno e propagandista ateo, che sa dialogare con i giovani in un linguaggio a loro familiare.

Di fronte a questo movimento di rinascita, occorre notare che oramai le grandi figure che hanno costituito la spina dorsale della tradizione sono morte o stanno scomparendo e manca la generazione di mezzo per sostituirle. Nella storia romena le figure carismatiche non comportavano solo il rinnovamento della vita spirituale delle comunità monastiche di appartenenza, ma anche un irradiamento assai più vasto. Era stato così per Basilio di Poiana Mărului[47], lo è stato su scala più vasta per Paisij Veličkovskij[48] come riportano i documenti dell’epoca: “Questo monastero è stato concesso alla vostra comunità non soltanto per la vostra fondazione, ma anche perché diventi il modello per gli altri monasteri, secondo il vostro ordinamento di vita”[49]. Lo è stato anche per le figure contemporanee del monachesimo romeno, in particolare per p. Cleopa di Sihăstria, al cui esempio, al cui insegnamento, dentro la cui potenza spirituale, tutta l’ortodossia romena, fedeli e monaci, attingevano forza e consolazione, dentro la vitalità di una tradizione che ancora si sentiva viva. Il gruppo che attorno a lui si era formato negli anni cinquanta fu disperso, ma a loro volta i discepoli, dopo la prigionia, furono i testimoni credibili di una vita spirituale che rinsaldava la gente e animava la loro chiesa, ormai impedita e, per certi versi, irretita nelle spire del regime (si possono ricordare il p. Petronie Tănase del monastero Prodromou all’Athos, il p. Iachint Unciuleac di Putna, Arsenie Papacioc del monastero s. Maria Techirghiol sul mar Nero e tanti altri, senza parlare delle grandi figure femminili, più in ombra ma non meno presenti).  La sua ‘potenza’ spirituale era ammirata, goduta; costituiva come una coltre di protezione che si estende ancora oggi. La domanda però, a tratti angosciante, condivisa tra monaci romeni, era: “sarebbero state in grado le nuove generazioni di trovare la stessa potenza o almeno la stessa vivacità spirituale? Non rischiava il monachesimo di ripararsi dietro il fascino di un uomo che incarnava la stessa tradizione, senza però potersi appropriare realmente della sua forza spirituale?”. E’ appunto il rischio che si nasconde con l’affannarsi alla ricostruzione ma spesso senza il necessario rinnovamento spirituale, come invece sarebbe auspicabile.

Quello che una ventina di anni fa notava la stareţa Eufrasia Poiana del monastero di Dealu, vicino a Tîrgoviste, l’antica capitale della Ungro-Valacchia, parlando delle giovani vocazioni, vale ancora di più oggi e, in molti casi, vale drammaticamente. Si parlava dell’obbedienza monastica e diceva: “Sanno ancora cosa sia il mistero dell’obbedienza le giovani d’oggi?”. E riflettendo su alcune situazioni nella vita dei monasteri dove si entrava forse più per sfuggire le prove della vita e ci si spostava da un posto ad un altro se non si incontrava il favore del superiore, aggiungeva: “Ma se non si è disposti ad entrare nel mistero dell’obbedienza, è possibile ritrovare il vigore spirituale? E se mancano uomini e donne che di questo mistero abbiano fatto il loro scopo di vita, come insegnarlo ancora?”. E’ la perenne sfida del monachesimo, se vuole restare fedele alla sua natura. La soluzione non è sicuramente quella di ridefinirsi  in termini di ‘servizio’ sociale o culturale o perfino religioso[50], ma di risottolineare la carica escatologica e misterica dell’esperienza monastica nella chiesa e nella società[51].

È abitudine diffusa far risalire i frutti del rinnovamento esicasta nella chiesa ortodossa dei tempi moderni a quel movimento fiorito in seno alla chiesa greca, in particolare all’Athos, nel secolo XVIII, denominato movimento dei ‘kollibades’, di cui Macario di Corinto e Nicodemo Agiorita, gli editori della Filocalia greca e di numerose altre opere patristiche, liturgiche, innografiche, ascetiche, canoniche, costituiscono gli esponenti di maggior spicco[52]. Eppure le vie per le quali il rinnovamento esicasta ha contagiato i paesi ortodossi ed ha lambito, nel secolo scorso, anche il mondo cattolico, sono riconducibili ad un altro contesto, quello di Paisij Veličkovskij e dei suoi discepoli russi, ma con la mediazione dell’ambiente e della tradizione romena, fino ad oggi quasi completamente in ombra. Se prendiamo come simbolo di quel rinnovamento la Filocalia, non ci si può riferire ad essa come ad un libro sul quale istruirsi ed imparare a pregare. Prima che essere un libro, la Filocalia è stata l’esperienza quotidiana di una comunità di fratelli, con tutta l’efficacia che una realtà vivente comporta. In tal senso la Filocalia, per Paisij e per i suoi discepoli, non rappresenta soltanto il ‘deposito’ della sapienza di una tradizione, ma il riverbero di un’esperienza sotto gli occhi di tutti, almeno per due generazioni. E’ questa ‘vitalità spirituale’, che raccorda la pratica monastica e la vita fraterna sulla centralità della rivelazione cristiana, che consiste in quel ‘fra grazia di Sé a noi in Cristo’ (Ef 4,32) da parte di Dio, ad aver prodotto tanti frutti. Tutto l’insegnamento era basato sulle Scritture e sui Padri, letti con amorevole sollecitudine e acribia, ma solo allo scopo di imparare a stare sottomessi l’uno all’altro e crescere nell’intelligenza spirituale del mistero di Dio. E se la pratica della preghiera di Gesù veniva privilegiata, lo era perché quella pratica si raccordava direttamente alla radicalità del mistero della rivelazione cristiana, portava cioè a sperimentare il far grazia di Sé da parte di Dio, in Cristo, al cuore peccatore, sottomesso a tutti. Ma qui risalta proprio quella caratteristica tipica della tradizione romena e dell’esperienza romena della tradizione comune: l’uomo spirituale riuscito diventa ‘blînd’, si riveste di ‘blîndeţe’, dove tutti vanno a cercare quella ‘dulceaţa dumnezeiasca’, radice di ogni bontà e fonte di speranza per il faticoso vivere quotidiano. E’ questo il tessuto connettivo spirituale che lega monachesimo e fedeli, così tipico della Romania e che può giocare un ruolo di fermento ancora oggi in seno alla chiesa e alle comunità.

Quando viene però a mancare la consistenza teologico-spirituale, il radicamento nella tradizione, oppure si indulge ad una visione ‘ideologica’ o ‘nazionalistica’ di quella stessa tradizione, quel tipo di tessuto connettivo tende ad assumere un valore di autodifesa, di chiusura difensiva, perché impoverito ormai della sua fecondità[53].  

Istituzioni e attività della Chiesa ortodossa romena[54].

La Chiesa Ortodossa Romena,ă str dtura dellsiastica della e al Bisericii Ortodoxe Române, pp. e ani de patriarhat, Bucarest 2005, ed.  autocefala dal 1885, è organizzata come Patriarcato dal 1925 e comprende 27 eparchie, di cui 10 come arcivescovadi e 17 come vescovadi, suddivise in 5 metropolie: Muntenia e Dobrogea (Bucarest, Constanţa, Târgovişte, Curtea de Argeş, Buzău, Galaţi, Slobozia, Alexandria, Giurgiu, Tulcea), Moldavia e Bucovina (Iaşi, Suceava, Roman, Huşi), Transilvania (Sibiu, Cluj-Napoca, Alba Iulia, Baia Mare, Oradea, Miercurea Ciuc), Oltenia (Craiova, Râmnicul Vâlcea, Drobeta-Turnu Severin, Slatina), Banat (Timişoara, Arad, Caransebeş).         Al di fuori dei confini della Romania, funzionano: la Metropolia autonoma di Bessarabia (Chişinău), il Vescovado di Ungheria (Gyula), il Vescovado di Vârşeţ, ex-Iugoslavia, la Metropolia per l’Europa centrale e del nord (Nürnberg, Germania), la Metropolia per l’Europa occidentale e meridionale (Parigi), l’Arcivescovado di America e Canada (prima a Detroit, dal 2003 a Chicago, USA).

Dipendono invece direttamente dal Patriarcato le comunità ortodosse romene in Australia, Nuova Zelanda, Bulgaria, Israele, Turchia, Africa del sud.

L’organizzazione della Chiesa Ortodossa Romena comprende organi centrali deliberativi (Santo Sinodo e Assemblea nazionale ecclesiastica) e organi centrali esecutivi (Consiglio nazionale ecclesiastico e Amministrazione patriarcale). Il Santo Sinodo è costituito dal Patriarca, dai metropoliti, dagli arcivescovi e vescovi, dai vescovi-vicari e dagli arcipreti-vicari in carica. Si riunisce una volta all’anno in via ordinaria, mentre i problemi più urgenti sono affidati a un Sinodo permanente, costituito dal Patriarca e dai metropoliti in carica. Il Segretario del Santo Sinodo, scelto tra i vescovi-vicari del patriarcato, è anche segretario del Sinodo permanente. Per tutti i problemi amministrativi e economici e per tutto ciò che esula dalle competenze del Santo Sinodo, l’organismo rappresentativo centrale della Chiesa Ortodossa Romena è l’ Assemblea nazionale ecclesiastica, formata dai membri del Santo Sinodo e da tre rappresentanti di ogni eparchia (un prete e due laici), nominati per quattro anni dalle rispettive Assemblee eparchiali. Il supremo organo amministrativo è il Consiglio nazionale ecclesiastico, formato da tre preti e sei laici, scelti dalla Assemblea nazionale ecclesiastica con l’incarico quadriennale e dai consiglieri amministrativi patriarcali come membri permanenti. Il Patriarca è il presidente di tutti questi organismi.

Dal punto di vista locale, la Chiesa Ortodossa Romena è organizzata in: parrocchie, protopopiati (arcipreture), monasteri, eparchie (arcivescovadi e vescovadi), metropolie.          

Sul territorio romeno, alla fine dell’anno 2003, funzionavano 10.987 parrocchie e 2.059 chiese succursali, servite da 12.314 preti e diaconi in attività e da 4788 cantori. La parrocchia è retta da una Assemblea parrocchiale e da un Consiglio parrocchiale (con 7, 9 o 12 delegati a seconda del numero dei parrocchiani, scelti per un periodo di 4 anni). I ‘protopopiati’, in numero di 158, sono una unità amministrativa che comprende un certo numero di parrocchie della stessa eparchia e fa da collegamento tra la parrocchia e l’eparchia. Dei 574 insediamenti monastici, sono 392 i monasteri tra maschili e femminili, 177 eremitaggi, 5 possedimenti (metoc), con un numero di 1748 monaci e 4883 monache. Dalle 13 eparchie del 1990 si è arrivati alle 27 di oggi, con due vescovadi ancora vacanti, quello di Giurgiu e Tulcea. Ogni eparchia è governata da una Assemblea eparchiale costituita da 30 rappresentanti, di cui 1/3 di clero e 2/3 di laici, scelti per un periodo di quattro anni e da un Consiglio eparchiale costituito da tre membri del clero e da sei laici, sempre per un periodo di quattro anni. Le metropolie sono unità amministrative ecclesiastiche che comprendono un certo numero di eparchie e sono rette da un Sinodo metropolitano, costituito dal metropolita e dai vescovi della regione.

Nel Patriarcato di Romania sono aperte al culto e funzionanti 14.177 luoghi di culto, di cui:  63 cattedrali, 10.641 chiese parrocchiali, 1.873 chiese filiali, 406 chiese di monasteri, 209 chiese di cimiteri.

La maggior parte del clero diocesano è sposato. Con la legge n. 142 del 27 luglio 1999, in 11 articoli, lo Stato stabilisce le norme relative al sostentamento del clero, provvedendo con un fondo prelevato dal budget statale, per ogni culto riconosciuto. Le persone beneficiarie, assimilate all’inquadramento in una funzione di servizio pubblico, ricevono una indennità mensile, stabilita sulla base di un coefficiente di moltiplicazione e di un valore di riferimento prestabilito, sullo stanziamento previsto per il Segretariato di Stato per il culto. Vale anche per il clero romeno con servizio nei paesi esteri. Nonostante il sussidio finanziario statale, per molti sacerdoti, soprattutto per quelli con famiglia e figli, che vivono in ambiente contadino, dove l’aiuto dei parrocchiani è ridotto, la condizione economica non è proprio agevole. Diversa invece la posizione dei preti celibatari, soprattutto in Transilvania che, influenzati dalla tradizione cattolica, scelgono di dedicarsi esclusivamente al ministero.

GRAFICO DELL’EVOLUZIONE DELLA COSTRUZIONE DI NUOVI LUOGHI DI CULTO

Per quanto riguarda la costruzione e il restauro delle chiese, al 31 dicembre 2003 la situazione è la seguente: sono stati iniziati i lavori per 150 chiese nuove (48 in centri urbani, 102 nei paesi); si è continuato a lavorare per le 1.031 chiese nuove iniziate negli anni precedenti (411 nei centri urbani, 620 nei paesi); sono state terminate 191 chiese nuove (56 nei centri urbani, 135 nei paesi); sono state consacrate e quindi aperte al culto 146 chiese nuove (34 nei centri urbani, 112 nei paesi); sono proseguiti i lavori di restauro e consolidamento per 445 chiese, sono state affrescate 499 chiese e restaurate le pitture per altre 319 chiese.

Quanto all’attività missionaria e sociale-filantropica, la chiesa assicura l’assistenza religiosa con 217 sacerdoti negli ospedali, con 105 nell’esercito e nelle struture militari, con 40 nei penitenziari, con 76 negli istituti di assistenza sociale. La Chiesa dispone di 39 istituti di assistenza sociale per bambini, 12 per anziani, 40 mense sociali, 19 centri medici e farmacie sociali, 2 centri diagnostici e di trattamento medico, 6 centri di assistenza per le famiglie in difficoltà.

A livello del Patriarcato sono organizzati 185 musei e 169 centri di conservazione per gli oggetti artistici del patrimonio ecclesiastico.

ISTITUTI SUPERIORI DI TEOLOGIA.

Le facoltà di teologia funzionano all’interno delle università statali, ma sono subordinate anche alle autorità ecclesiastiche della regione in cui si trovano. Lo Stato paga gli insegnanti e lo standard di insegnamento segue le regole dell’insegnamento pubblico. Ciascun professore però deve avere anche il riconoscimento del vescovo da cui dipende la facoltà. 

In accordo con lo Stato romeno, l’insegnamento teologico universitario è stato reintegrato nell’insegnamento universitario statale e l’insegnamento impartito nei seminari è stato integrato nell’insegnamento liceale statale. I diplomi ottenuti negli istituti di insegnamento teologico sono equiparati a quelli statali di grado corrispondente. I diplomati nei seminari teologici liceali con diploma di baccalaureato possono presentarsi al concorso di ammissione a qualunque facoltà di profilo umanista, mentre i licenziati in teologia possono occupare, al pari degli altri licenziati nelle università statali, gli stessi posti nell’insegnamento o nell’amministrazione pubblica.

  1. Insegnamento teologico ortodosso preuniversitario.

Esistono tre tipi di scuole: scuole di canto ecclesiastico, seminari teologici e scuole postliceali teologico-sanitarie.

  1. a) Scuole di canto ecclesiastico: sono in numero di 18, hanno durata triennale. Nell’anno scolastico 2002-2003: iscritti 814 allievi, diplomati 157. Ci sono circa 5000 posti vacanti di cantori nelle chiese. In vari centri si sono costituiti dei gruppi che cantano l’antica musica psaltica o l’antica musica ecclesiastica, sia dando concerti che arricchendo le celebrazioni liturgiche. Vanno ricordati: il gruppo psaltico della chiesa di Stavropoleos, a Bucarest, diretto dall’arcidiacono Gabriel Oprea, che per primo ha riscoperto e promosso la musica ecclesiastica; i quadri didattici nella sezione di musica bizantina all’Università di Musica a Bucarest, fondato dieci anni or sono.
  2. b) Seminari teologici: sono scuole di tipo liceale e comportano due specializzazioni, pastorale (per la preparazione dei candidati al sacerdozio) e patrimonio culturale (per specializzazione in pittura e restauro). Sono una trentina, cinque funzionano per il personale monastico a Prislop, Agapia, Căldăruşani, Cernica, Pasărea.  Durata: 5 anni. Anno scolare 2002-2003: 7016 allievi, con 890 diplomati.
  3. c) Scuole post-liceali teologico-sanitarie: preparano personale medico con profilo teologico. Sono 5. Nell’anno scolare 2002-2003: 325 allievi, con 52 diplomati.
  1. Insegnamento teologico ortodosso superiore

Funzionano 11 facoltà di teologia e 4 sezioni incluse nel quadro di altre facoltà, con 10 specializzazioni: pastorale, lettere, lingue classiche, assistenza sociale, pittura ecclesiastica, patrimonio culturale, storia, linguaggio mimico-gestuale, musica, comunicazioni sociali. Nell’anno universitario 2002-2003 erano iscritti per i corsi di licenza 10178 studenti, di cui 6655 uomini e 3523 donne. Si sono diplomati 2424 studenti e nell’anno scolastico 2003-2004 sono stati ammessi 2494 allievi. Il corpo insegnante è di 461 unità, di cui 84 professori, 70 conferenzieri, 166 lettori, 141 tra assistenti e altro personale.

  1. Insegnamento teologico ortodosso postuniversitario.
  2. a) Studi approfonditi (master) sono organizzati in 11 facoltà di teologia, con quattro specializzazioni: biblica, sistematica, storica e pratica. Nell’anno 2002-2003 erano iscritti 556 studenti, con un numero di 230 diplomati. Per l’anno 2003-2004 sono stati ammessi 445 studenti.
  3. b) Il dottorato si organizza in quattro centri universitari: Bucarest, Sibiu, Cluj e Oradea. In quelle facoltà sono iscritti 395 dottorandi. Nel 2003 hanno ottenuto il titolo di dottore in teologia 46 studenti.

I borsisti romeni che attualmente studiano all’estero sono 145, la maggioranza in Grecia e gli altri in Germania, Francia, Svizzera, Italia, USA, Inghilterra. Ci sono però anche romeni residenti all’estero che vengono a studiare in Romania. Nell’anno 2002-2003 erano 380, di cui 153 nelle scuole preuniversitarie, 174 nelle facoltà, 15 iscritti a master e 38 al dottorato.

Quanto all’insegnamento della religione nelle scuole, ci sono 10.514 insegnanti con vari diplomi, di cui 4876 sono preti.

ATTIVITA’ EDITORIALI.

In Romania, si pubblicano una settantina di riviste e periodici nei vari centri eparchiali, parrocchiali o monastici e funzionano una ventina di case editrici eparchiali.

Nel panorama editoriale religioso romeno, la casa editrice più significativa è costituita   certamente dalle edizioni Deisis di Sibiu. Un esempio unico nel suo genere, non solo in Romania ma in tutto il mondo ortodosso, caratterizzato da un programma di recupero della teologia patristica in chiave moderna[55]. Le altre case fanno tentativi amatoriali di recupero di una letteratura pietista sia russa (Edizioni Sophia) che neogreca (Editura Bizantina) oppure hanno in cantiere la pubblicazione di opere significative ma senza un vero e proprio programma editoriale attento (ed. Anastasia). Le grandi case editrici  come Humanitas di Bucarest o Polirom di Iaşi inseriscono sì nei loro programi testi teologici ma non di primo livello e senza un programma definito. Funziona ancora la vecchia casa editrice dell’Istituto biblico e di missione ortodossa, la casa editrice ufficiale del Patriarcato romeno. Del resto, quasi tutte le sedi vescovili hanno una piccola casa editrice oppure diffondono una loro propria rivista, ma nessuna assurge ad importanza nazionale. Evidentemente, su internet si possono trovare notizie utili sulle varie case editrici e sulle varie riviste pubblicate.

Vale la pena invece di presentare il programma delle edizioni Deisis[56] per il rilievo che ha assunto e per la serietà dell’impegno profuso, sotto la guida infaticabile e lucida del suo direttore, il diacono Ioan Ică Jr. A differenza degli altri editori, che indulgono al dilettantismo o a una produzione di tipo pietista o agiografica  a buon mercato, la casa editrice Deisis si è attestata su un programma di pubblicazioni della letteratura teologica di qualità e di origine patristica. Motore propulsore della sua attività sta l’opzione per la spiritualità patristica, con le collezioni Mistica e Filocalica, che accolgono i testi fondamentali dei Padri d’Oriente ancora inediti in romeno, tra i quali gli autori che nella Filocalia greca sono presenti soltanto in antologia (per esempio, tre volumi delle opere di Simeone Nuovo Teologo, l’opera di Teolepto di Filadelfia, gli scritti di Isacco Siro, Marco Asceta e Gregorio Palamas). Nella serie dei volumi sono comprese anche le opere di p. Tomas Spidlik sulla spiritualità orientale, le monografie di Irénée Hausherr e i testi di Evagrio Pontico curati da p. Gabriel Bunge. Siccome la presentazione della letteratura patristica a lettori moderni pone problemi di critica e di interpretazione corretta dei testi, l’editrice ha voluto creare una collezione di Introduzioni, con la presentazione, ad opera dei migliori specialisti a livello mondiale, dei vari autori. I lettori romeni possono così introdursi a Dionigi Areopagita (A. Louth), Efrem Siro (S. Brock), Evagrio (G. Bunge), Cassiano (C. Stewart), Gregorio di Nazianzo (J. Bernardi), Isacco Siro (S. Chialà), Giovanni Damasceno (A. Louth), Giovanni Crisostomo (J.N.D. Kelly), Nicodemo Aghiorita (E. Citterio) e altri ancora. Con la collezione Dogmatica invece vengono presentate le opere più significative della produzione teologica ortodossa ormai diventati dei classici, come Iustin Popovici, Vladimir Lossky, Panayotis Nellas, Vladimir Soloviov, Alexander Golitzin, Andrew Louth. L’ancoraggio liturgico della teologia ortodossa viene perseguito con la collezione Liturgica, dove compaiono le interpretazioni mistagogiche dei testi liturgici. Nella collezione Philosophia christiana viene perseguito l’ideale di rivisitare in chiave moderna il modello di umanità dei santi. Inoltre, sfruttando la riflessione moderna sulla natura della rivelazione cristiana, è stata predisposta una collana di fenomenologia in cui vengono tradotti i testi più significativi della filosofia religiosa contemporanea, soprattutto francese: Michel Henry e J.-L. Marion insieme, per quanto riguarda la storia della chiesa, a Ghislain Lafont.

Non ultimo merito delle edizioni Deisis, la promozione dei termini di un dibattito sulla pratica sociale della Chiesa, che preluderà a un’intera collezione con testi di stringente attualità.

Sono previste anche opere di sintesi di natura storico-dogmatica, come il Sinodikon della Ortodossia con la pubblicazione di tutte le definizioni dogmatiche dei concili ecumenici e della Grande Chiesa di Costantinopoli.

Recentemente, ha messo in cantiere il recupero dei più significativi pensatori e teologi romeni, spesso in ombra rispetto alle grandi sintesi che si sono imposte. Ad esempio, già è apparsa l’edizione di tutta la pubblicistica religiosa di Nae Ionescu.

La visione di fondo che alimenta l’attività di Deisis è quella di respingere lo spirito anacronistico che fossilizza il cristianesimo e di incarnare una Ortodossia lucida, profetica, intelligente dei segni dei tempi, promuovendo da una posizione rigorosamente cristiana il dialogo con i valori dell’uomo.

Si tratta di una piccola casa editrice, autonoma, senza fondi particolari. Nata nel 1993, con l’aiuto del monastero s. Giovanni Battista di Alba Iulia e del suo stareţ Ioan Cojan, la casa editrice Deisis sta portando avanti quella che si può legittimamente definire una instauratio theologica magna della Ortodossia romena come speranza per il terzo millennio.

MEDIA

Le trasmissioni di una radio cristiana ortodossa in Romania incominciano con l’istallazione a Iaşi di Radio Trinitas, parte integrante dell’Istituto culturale-missionario (Radio-Edizioni-Tipografia) della metropolia di Moldova e Bucovina che ne assicura in larga misura la copertura finanziaria. Per suddivisione canonica, la Metropolia di Moldova e Bucovina segue immediatamente quella della Muntenia e Dobrogea con sede a Bucarest. Ma dal punto di vista del numero dei centri ecclesiali (parrocchie, monasteri, scuole teologiche, istituti culturali e attività caritative) la Metropolia di Moldova e B. occupa il primo posto nel Patriarcato di Romania. Come Metropolia è riconosciuta dal 1401 dal Patriarcato ecumenico di Costantinopoli. È una delle metropolie ortodosse più dinamiche del mondo ortodosso. Iaşi, sede della metropolia, è oggi uno dei centri di pellegrinaggio più frequentati dell’ortodossia. La festa di s. Parascheva (14 ottobre) accoglie milioni di pellegrini. Per l’anno 2000 la città è stata inclusa in un progetto di pellegrinaggio internazionale insieme ad altri quattro centri europei: Salonicco (Grecia), Trondheim (Norvegia), Edimburgo (Gran Bretagna), Praga (Cehia).

La Radio della metropolia ha incominciato a trasmettere la sera del venerdì santo del 17 aprile 1998. Radio Trinitas trasmette 24 ore su 24. Da Iaşi ha esteso le sue emissioni a livello regionale e ora copre la metà del territorio di Romania, in attesa di attivare la copertura per tutta la Romania. Dal 2001 fa parte del C.E.R.C. (Conferenza europea delle Radio cristiane). Trasmette quotidianamente la S. Messa e la celebrazione dei Vespri dalla Cattedrale metropolitana di Iaşi, va in onda con trasmissioni religiose, culturali, scientifiche, musicali, sociali e notiziari, promuovendo il dialogo e la cooperazione sul piano nazionale ed ecumenico per la difesa della dignità delle persone. Per la sua attività e competenza ha ricevuto il premio della migliore radio locale in Romania per l’anno 2003 dal Consiglio nazionale delle espressioni audiovisive.

Nel suo Statuto si precisa, all’art. 5 che il contenuto delle emissioni è cristiano in generale e ortodosso in particolare; all’art. 6 che lo spirito delle trasmissioni è di tipo ecumenico; all’art. 7 che l’orientamento seguito mira al dialogo ed alla cooperazione in vista di un rinnovamento della vita cristiana della società romena e per un’apertura agli alti valori spirituali dell’Europa e del mondo intero; all’art. 8 che gli obiettivi sono i seguenti: promozione della vita cristiana ortodossa, dell’educazione morale, della cultura romena, dell’attività caritativa della chiesa, della salvaguardia dell’ambiente.

A partire dal 31 dicembre 2002, le emissioni possono essere ascoltate via internet (le connessioni giornaliere raggiungono cifra 20.000, di cui il 60% in Romania e il 40% all’estero) e dal giugno 2004 radio Trinitas può essere ascoltata in Europa anche via satellite.

Ormai esiste una stretta collaborazione tra radio locali, in particolare con le tre radio di Transilvania: Radio Reintregirea, Radio Renaşterea, Radio Ortodoxia, in attesa di poter costruire una rete radiofonica a livello nazionale.

Indirizzi utili:

Mănăstirea Golia, str. Cuza-Vodă 51, 700038, Iaşi. Tel.: Tipografie / Editură: 0232-218324, 216693, Fax: 0232-216694; Radio: 0232-219875, 218800

editura@Trinitas.ro, tipografia@Trinitas.ro, radio@Trinitas.ro;

www.Trinitas.ro (webmaster@Trinitas.ro)

Dopo l’istallazione di Radio Trinitas, è stata la volta di Radio Renaşterea a Cluj-Napoca, nel maggio 1999. Quindi di Radio Reintregirea, ad Alba Iulia, nel dicembre 2001 e di Radio Ortodoxia a Braşov nel 2003. Si stanno attivando altre radio locali, ad esempio, a Craiova e Constanţa. Radio Renaşterea, in Cluj-Napoca, che trasmette 24 ore su 24, può essere ascoltata via internet all’indirizzo www.radiorenasterea.ro, dove si può visionare la griglia dei programmi.        

I responsabili di queste radio locali si ritrovano ogni anno per uno scambio di esperienze e per affrontare problemi comuni, quali griglia dei programmi, aggiornamenti tecnici, formazione del personale, finanziamenti, ecc.

In Romania non esiste una televisione appartenente alla Chiesa.   

 

CANONIZZAZIONI

Uno dei primi atti sinodali significativi per la Chiesa nella riacquistata libertà di espressione dopo il 1989 è stata la proclamazione di nuovi santi. Prendendo lo spunto dalla festa di tutti i santi, che nel calendario ortodosso romeno si celebra la prima domenica dopo Pentecoste, la Chiesa Ortodossa Romena, volendo sottolineare il fatto che lo Spirito Santo ha operato sempre le sue meraviglie lungo i secoli nella terra e nel popolo romeno, ha stabilito, in data 20 giugno 1992, che la seconda domenica dopo la Pentecoste sia dedicata alla memoria di tutti i santi romeni nel loro insieme.

Già nel 1950 la Chiesa aveva canonizzato, con espressione di culto locale, determinati santi, il cui culto viene ora esteso a tutta la Chiesa ortodossa romena, come, per esempio, per s. Callinic di Cernica. Il 21 giugno del 1992, nella chiesa di s. Spiridon-Nou, a Bucarest, il Santo Sinodo proclama la nuova lista di santi additati al culto per l’intera Chiesa. Tra i nomi più noti, ricordiamo: Paisie Veličkovskij, di Neamţ (festa 15 novembre); Daniil Sihastru, guida spirituale del voievod Stefano il Grande (festa 18 dicembre); Ioan di Neamţ-Hozevitul, vissuto come eremita in una grotta nella valle del Giordano e deceduto nel 1960, all’età di 47 anni, le cui spoglie giacciono nel monastero di s. Gheorghe Hozevitul, in Palestina (festa 5 agosto);  Teodora di Sihla, eremita sui monti di Neamţ tra il XVII-XVIII secolo, sepolta alla Lavra di Kiev (festa 7 agosto); il martire Antim Ivireanul, metropolita dei Paesi Romeni nei primi decenni del sec. XVIII, letterato (festa 27 settembre); Stefano il Grande, voievod dal 1457 al 1504, difensore della fede e della Moldavia, sepolto al monastero di Putna (festa 2 luglio); martiri Brâncoveni: Constantin Voda Brâncoveanu, con i quattro figli e il suo consigliere Ianache, il cui regno va dal 1688 al 1714, fondatore del monastero di Hurez e Sâmbata, creatore della Accademia di s. Sava, a Bucarest, uno dei centri culturali più importanti di tutto il sud-est europeo, patrocinatore di pubblicazioni nelle stamperie di Snagov e Bucarest, martirizzato con i figli a Costantinopoli per ordine del sultano turco Ahmed III (festa 16 agosto)[57].

Nel 2002 la Chiesa Ortodossa Romena ha canonizzato inoltre tre santi della Transilvania (Ioan di Gales, sec. XVIII; Moise Macinic di Sibiel, sec. XVIII; Iosif Confessore, vescovo di Maramureş, sec. XVII) per la lotta condotta contro il proselitismo e Vasile di Poiana Mărului, sec. XVIII, guida di s. Paisij Veličkovskij.

Si prepara una nuova canonizzazione per Gheorghe di Cernica (sec. XVIII-XIX), Neagoe Basarab (sec. XVI), monaca Teofania, madre di Mihai Viteazul (sec. XVI), con l’avvertenza di dichiarare che tali nuove ipotesi di canonizzazioni non hanno alcuna valenza politica.

La dimensione ecumenica e le attese nei confronti della Chiesa

In una conferenza all’università di Monaco di Baviera, tenuta il 9 maggio 2003, il patriarca di Romania Teoctist delineava l’impegno della Chiesa Ortodossa Romena nel movimento ecumenico su tre piani: sul piano nazionale, su quello europeo e su quello mondiale[58]. Riassumendo la sua esposizione, si può dire che a livello nazionale le esigenze ecumeniche si concretizzano, da una parte, nello sviluppo delle relazioni tra Chiese e comunità religiose e, dall’altra, nell’assunzione di un comune atteggiamento delle Chiese davanti alle sfide sociali e politiche dell’odierna società romena. Le due direzioni sono complementari e interdipendenti. A livello europeo, l’impegno della Chiesa Ortodossa Romena si concentra nella cooperazione con la Conferenza delle Chiese in Europa (KEK) e nel dialogo teologico e la cooperazione con Chiese e istituzioni dei diversi paesi. A livello mondiale, continua la cooperazione con il Consiglio Ecumenico delle Chiese e il programma di relazioni bilaterali, soprattutto con la Chiesa Cattolica.

Il patriarca, dopo quello che chiama l’ecumenismo ‘sub cruce’ del periodo comunista, auspica la ripresa su basi rinnovate degli incontri ecumenici. Dopo il 1990, un nuovo impulso è venuto dalla creazione della Associazione Ecumenica delle Chiese di Romania  (AIDRom – Ajutor Interbisericesc Departamentul România) di cui fanno parte la Chiesa Ortodossa Romena, la Chiesa Evangelica, la Chiesa Luterana, la Chiesa Riformata e la Chiesa Apostolica Armena. L’auspicio è che questa Associazione si trasformi in una organizzazione più vasta, fino a formare una specie di Consiglio delle Chiese capace di offrire una piattaforma comune di collaborazione tra le varie Chiese. Nel 1992 viene creata la Società Biblica Interconfessionale Romena (SBIR), di cui fanno parte la Chiesa Apostolica Armena, la Chiesa Riformata, la Chiesa Evangelica, il Vicariato serbo ortodosso, il Vicariato ucraino ortodosso, la Comunità pentecostale, la Comunità avventista, la Comunità battista di lingua romena e ungherese, la Chiesa unitariana. Un passo costruttivo è stata la pubblicazione di una edizione completa romena-ungherese della Bibbia destinata alle famiglie miste. Il patriarca, citando anche il lavoro della Commissione Romena di Storia ecclesiastica comparata, avviata nel 1980, tra le varie confessioni cristiane, auspica  che si possa arrivare con iniziative adeguate a preparare il terreno favorevole per la elaborazione di una trattazione comune della storia delle Chiese in Romania.

Sebbene la missione della Chiesa sia fondamentalmente quella di testimoniare agli uomini l’amore di Dio, di avvicinare gli uomini a Dio e far sì che si avvicino gli uni agli altri e per quanto i rapporti tra la Chiesa Ortodossa Romena e le altre Chiese possano dirsi buone in generale, non è il caso della relazione con la Chiesa Unita o Greco-cattolica, in riferimento alla quale il patriarca esprime l’esigenza che da ambo le parti ci si debba richiamare a maggior amore e comprensione, stabilendo un clima di fiducia e di cooperazione reciproca.

Oltre naturalmente alla visita di Giovanni Paolo II in Romania che ha suscitato un vero fervore popolare e al contraccambio del patriarca Teoctist in Vaticano nell’ottobre 2002, due altri avvenimenti ecumenici sono di particolare importanza: il raduno dei rappresentanti di tutte le religioni a Bucarest nel 1998, organizzato dalla Comunità s. Egidio, che ha trasformato Bucarest in quei giorni in capitale religiosa del mondo e l’incontro a Snagov, nel 2000, di tutti i rappresentanti dei culti presenti in Romania, dove è stata espressa l’adesione all’integrazione della Romania nelle strutture europee e euro-atlantiche, con la convinzione di partecipare al rinnovamento spirituale e morale-sociale del paese dal momento che “i culti religiosi in Romania sono la componente maggiore dell’odierna società romena e portano un contributo importante alla vita spirituale e sociale della Romania, sensibili come sono tanto davanti alle difficoltà che ai progressi di questa”. Del resto, va sottolineato come per la realizzazione dell’unità europea “sia necessario accordare l’importanza adeguata alla dimensione spirituale, culturale e sociale dell’unità europea… Mantenendo la sua propria identità spirituale, modellata nel corso della storia, insieme agli altri paesi europei, il contributo della Romania accrescerà il valore del tesoro spirituale e culturale europeo”.

Fin qui i passaggi delineati dal patriarca. Nel paese, però, il banco di prova di un rinnovato atteggiamento ecumenico è visto piuttosto nello sforzo della Chiesa di operare per una riconciliazione sociale e per una purificazione della memoria[59]. Una riflessione sul significato teologico della riconciliazione sociale si impone sia dal punto di vista della fede cristiana che dal punto di vista della natura dei problemi della società romena, soprattutto dopo la cattività comunista. Spesso i riferimenti a un idealizzato passato o l’incapacità di liberarsi da polarizzazioni nazionali e nazionaliste impediscono una visione di responsabilità profetica nella Chiesa. Il problema evidentemente riguarda tutta la società romena. Si pensi, ad esempio, ai testi di storia che circolano nelle scuole primarie e secondarie. In un simposio internazionale tenuto a Iaşi nel 1996 sui testi scolastici di storia, lo storico Lucian Boia[60] metteva in guardia sul fatto che i testi in uso riflettono la visione romantica tipica del XIX secolo. Ogni tentativo di ricerca di una ‘verità’ storica meno enfatica sembra suonare come un attentato alla storia nazionale[61].

Del resto, non mancano esempi capaci di infondere speranza. Ad esempio, a Cluj si sta attuando un progetto singolare. Due importanti artisti, uno rumeno ortodosso, Silviu Oravitzan e uno cattolico, p. Marko Rupnik, del Centro Aletti di Roma, sono stati invitati dal vescovo Bartolomeu Anania a decorare una nuova chiesa ortodossa costruita in mezzo alla città. Silviu Oravitzan ha già dipinto l’iconostasi e p. Marko predisporrà i mosaici sul resto delle pareti. In una città dove si sono registrate molte tensioni tra ortodossi e greco-cattolici, il progetto assume una valenza davvero profetica.

Un nodo teologico risulta essenziale per un ruolo rinnovato della Chiesa Ortodossa nella società romena. Il comunismo non è stato sconfitto dal capitalismo né dalla chiesa; più semplicemente, è collassato per la sua impotenza economica. Per la Chiesa Ortodossa, per tutte le Chiese, il punto di avvio per una interpretazione teologica dei tempi come per un dialogo interconfessionale non può che essere il pentimento e il perdono, dati, accolti e condivisi. Per l’esercizio di una responsabilità per il futuro, si impone una coscienza rinnovata nelle sue basi teologiche della questione della nazione e del nazionalismo.

A livello istituzionale nella Chiesa Ortodossa Romena si registra ancora pesantemente una determinata inerzia che rende i cambiamenti spesso formali, senza profondità. Le voci profetiche sono ancora rare e spesso non ascoltate. Esiste ancora una certa distanza tra la gerarchia e il clero in generale e il popolo dei credenti. Nelle attività delle istituzioni ecclesiastiche non è raro scontrarsi con una mancanza di trasparenza. E sono ancora troppo pochi gli uomini ecclesiastici che possono rispondere con competenza, nello spirito della Tradizione e secondo le esigenze evangeliche, alle provocazioni della modernità. Persiste una specie di divorzio tra Chiesa e intellettuali senza poter ancora rispondere positivamente alle provocazioni vicendevoli. I rapporti di molti fedeli ortodossi con la chiesa sono convenzionali e superficiali, benché frequentino in massa le celebrazioni liturgiche, soprattutto nelle grandi occasioni. Diventa sempre più urgente rispondere in modi rinnovati e con forza evangelica alla distruzione morale degli anni del comunismo. Per dirla con le parole di Teodor Baconsky, tra le urgenze che la Chiesa Ortodossa Romena dovrà affrontare, sono da annoverare: “l’adozione di un nuovo statuto della Chiesa, la proclamazione di una dottrina sociale della Chiesa, la riforma strutturale dell’insegnamento teologico, il rafforzamento di una disciplina del clero, la codificazione di certi principi di azione a livello panortodosso, ecumenico e interreligioso, la formulazione di una strategia di immagine, di relazioni pubbliche e la modernizzazione informatica della Chiesa, un catechismo multi-mediale e un dialogo con le élites intellettuali” [62].

Potremmo riassumere l’attesa dei credenti romeni nei confronti della Chiesa Ortodossa, assolutamente maggioritaria nel paese, in una parola sola: un discernimento degli spiriti, una capacità profetico-spirituale. Ora le speranze si appuntano sulla generazione di uomini spirituali che si stanno formando accanto alla vecchia generazione che sta ormai scomparendo, sullo stuolo di giovani che si sta interessando alla teologia, sugli uomini di cultura che prendono a cuore i problemi dello spirito e della società, su prelati e uomini di chiesa che  stanno al passo con i tempi e promuovono la riconciliazione sociale[63], come segno dell’amore di Dio che unisce e guarisce, in una rinnovata coscienza del tesoro di una Tradizione che può diventare fermento di umanità e strumento di intelligenza.

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APPENDICE

POPOLAZIONE. Al 18 marzo 2002 la popolazione romena era costituita da 21.680.974  abitanti, con una densità di 90,9 ab/km2 , con concentrazione urbana del 52,7% . Quanto all’evoluzione della popolazione, nel periodo 1977-1992 la popolazione è cresciuta di circa 1 milione, mentre nel periodo 1992-2002 si registra una diminuzione di circa 1 milione di persone, arrivando, nel 2002, ad avere la stessa popolazione del 1977. Nell’ultimo decennio si assiste ad una accentuata denatalità e ad una forte emigrazione con una diminuzione annuale del ritmo di -0,5%.

POPOLAZIONE CENSIMENTO 1992*

total populatie 22.810.035 100%
    din care:
– ortodocsi 19.802.398 86,8%
– romano-catolici 1.161.942 5,0%
– greco-catolici 223.327 1,0%
– reformati 802.454 3,5%
– evanghelici de confesiune augustana 39.119 0,2%
– evanghelici sinodo-presbiterieni 21.221 0,1%
– unitarieni 76.708 0,3%
– crestini de rit vechi 28.141 0,1%
– baptisti 109.462 0,5%
– adventisti 77.546 0,3%
– penticostali 220.824 1,0%
– crestini dupa evanghelie 49.963 0,2%
– mozaici 9.670 ***
– musulmani 55.928 0,2%
– alte religii 56.011 0,2%
    din care:
    – ortodocsi de stil vechi 32.228 0,1%
    – armeni 2.023 ***
– atei 10.331 ***
– fara religie 24.314 0,1%
– religie nedeclarata 8.139 ***

* Annuario statistico di Romania, 1993, p. 106-107

 

POPOLAZIONE CENSIMENTO 2002**

ROMANIA IN PROCENTE
TOTAL POPULATIE STABILA 21.698.181 100
ORTODOXA 18.806.428 86,7
ROMANO-CATOLICA 1.028.401 4,7
GRECO-CATOLICA 195.481 0,9
REFORMATA 698.550 3,2
EVANGHELICA DE CONFESIUNE AUGUSTANA 11.203 0,1
EVANGHELICA LUTHERANA SINODOPRESBITERIANA 26.194 0,1
UNITARIANA 66.846 0,3
ARMEANA 775 *
CRESTINA DE RIT VECHI 39.485 0,2
BAPTISTA 129.937 0,6
PENTICOSTALA 330.486 1,5
ADVENTISTA DE ZIUA A SAPTEA 97.041 0,4
CRESTINA DUPA EVANGHELIE 46.029 0,2
EVANGHELICA 18.758 0,1
MUSULMANA 67.566 0,3
MOZAICA 6.179 *
ALTA RELIGIE 87.225 0,4
FARA RELIGIE 13.834 0,1
ATEI 9.271 *
RELIGIE NEDECLARATA 18.492 0,1

* – sub 0,1%

** I dati non sono accettati da tutti, ma non esistono altre stime ufficiali.

 

CARTA DI RIPARTIZIONE DELLA POPOLAZIONE ORTODOSSA PER PROVINCE (%) SECONDO I CENSIMENTI DEL 1992 E DEL 2002[64]

APPENDICE  RIQUADRI FUORI TESTO

 

[RIQUADRO. INTRODUZIONE: SINTESI STORICA]

Nel contesto allargato di una storia europea, quale ruolo è riservato alla Romania? L’interesse per questa nazione, la sua storia, le sue tradizioni, va oggi crescendo, come testimonia la recente mostra nei Musei Vaticani dedicata a “Stefano il Grande – Ponte tra Oriente e Occidente” (1 ottobre – 31 ottobre 2004), in concomitanza con le iniziative intraprese a livello europeo per la celebrazione della figura del principe romeno Stefano il Grande, recentemente canonizzato dalla Chiesa ortodossa romena. Salito al trono della Moldavia nel 1457, vi regnò fino al 1504. L’aver fermato l’avanzata ottomana gli valse il titolo di confessore della fede e lo consacrò strenuo difensore della Cristianità, come testimoniato anche in una lettera del Papa Sisto IV (1471-1484) che lo definisce “vero atleta della fede cristiana” [65].

Tra i primi atti di Giovanni Paolo II si pone la lettera apostolica Egregiae virtutis (31 dicembre 1980) con  la quale egli volle collocare a fianco di s. Benedetto[66], quali patroni d’Europa, i santi fratelli Cirillo e Metodio, e non tanto perché apostoli delle genti slave, ma in quanto missionari greci che, provenendo dal mondo constantinopolitano, ne hanno portato la tradizione religiosa e culturale nel cuore dell’Europa, aprendo una nuova splendida pagina nella storia di quest’ultima. Se la recezione da Vjačeslav Ivanov dell’idea di Chiesa quale corpo a due polmoni, quello orientale e quello occidentale, si presenta come il definitivo abbandono di qualsivoglia esemplarità latina o paradigmaticità romana, l’enciclica Slavorum Apostoli (2 giugno 1985)[67] costituisce la proclamazione, dinanzi all’intera comunione cattolica, del profondo significato ecclesiale insito nell’incontro tra le due tradizioni, greca e latina, realizzatosi con i fratelli tessalonicesi nell’area centro orientale europea. Rivolgendosi il 2 gennaio 1986 ai presidenti delle Conferenze episcopali europee papa Wojtyła si sarebbe spinto ad affermare che «le due tradizioni sono, da sole, in qualche modo imperfette; è incontrandosi che possono reciprocamente completarsi ed offrire una interpretazione meno inadeguata del ‘mistero nascosto da secoli e da generazioni ma ora manifestato ai santi’ (Col 1,26)».

In tale contesto allargato di storia europea, la Romania gioca un ruolo sui generis. Lo spazio romeno è stato concretamente segnato da dinamiche storiche che gli hanno conferito una configurazione del tutto specifica. Realtà che altrove in Europa si concepiscono come poli di una tensione dialettica, qui hanno elaborato lungo la storia forme di sintesi, talvolta estremamente vitali e creative, come ben mostra l’opera svolta nell’ambito della Chiesa unita dall’intellettualità della Scuola di Blaj, i cui contributi elaborati nell’età dei Lumi in contatto con i centri culturali della Mitteleuropa asburgica poterono essere sentiti come patrimonio comune dall’intera nazione anche nel contesto dei voivodati ortodossi oltre i Carpazi. Considerato nella prospettiva della storia religiosa, quello che era spazio di frontiera tra ‘sistemi’ (osservato dai centri di irradiazione della Cristianità latina e del Commonwealth bizantino non può essere ritenuto che una lontana propaggine e l’estrema periferia dei rispettivi ‘sistemi’) non soltanto diviene specchio fedele dell’Europa nella sua articolata globalità, ma sembra in qualche modo prefigurare il cammino che l’Europa stessa, dopo il crollo del comunismo nel 1989, ha intrapreso verso forme sempre più ampie di integrazione[68].

Nel complesso delle diversità che caratterizzano la storia politico-culturale della Romania, associata com’è, verso sud, al mondo balcanico dominato dall’influenza religiosa e artistica di Bisanzio e più tardi dell’impero ottomano e, verso nord, espo­sta al mondo germanico e ungherese, 1’elemento che fornisce il principio di unità è dovuto proprio alla latinità impressa dalla conquista di Traiano nel 106 d.C. e mai venuta meno. Aggregata al potente impero bulgaro dello zar Simeone (893-927) l’antica Dacia entra nell’orbita culturale di Bisanzio. La chiesa romena adotta la liturgia nella lingua slava che gli inventori dell’alfabeto slavo, Cirillo e Metodio, avevano inutilmente creato per la Moravia, ma che i loro discepoli Cle­mente di Ochrida e Naum avevano introdotto in Bulgaria. La lingua romena si arricchisce di un nutrito vocabolario slavo, ma conserva inalterata la sua struttura latina. L’originaria ‘romanità’, che la lingua avrebbe fedelmente perpetuato attraverso i secoli, era stata di fatto ricondotta dall’espansione bulgara nel grande alveo della tradizione ecclesiastica bizantino-slava, della quale questi ‘Romani’ d’area danubiano-carpatica divennero a tal punto compartecipi da risultarne indelebilmente segnati nella loro identità, tanto religiosa quanto culturale. Se nel Cinquecento i resoconti dei viaggiatori occidentali potevano rimarcare la salda consapevolezza presente tra i Romeni “d’essere discesi da colonia romana”, tale ascendenza era peraltro affermata da questo popolo all’interno di una identità storica che era venuta sviluppandosi su altri fondamenti. Verso il XIII secolo il riflusso delle orde tatare dalle pianure danubiane favorisce il ritorno della popolazione romena dalla Transilvania verso sud, verso il Danubio e il mar Nero. Sotto 1’autorità di voievodi[69], poi entrati nella leggenda, sorgono i principati di Valacchia, con Radu Negru e Basarab, e di Molda­via, con Dragoş e Bogdan. Sul finire del secolo XIV si rendono indipendenti dal dominio ungherese, ma appena un secolo dopo devono fare i conti con 1’invasione ottomana. A differenza però delle altre regioni balcaniche, i principati romeni, pur pagando un tributo in denaro, conservano un’effettiva autonomia inter­na e la possibilità di crescere ne1 loro sviluppo culturale e religioso. Anzi, da questo punto di vista, i secoli di vassallag­gio all’impero turco, specialmente i secoli XVI e XVII, registrano un momento di vero splendore. Le corti principesche di Sucea­va e poi di Iaşi, capitale della Moldavia e di Curtea de Argeş, Tîrgovişte e poi di Bucarest, capitale della Valacchia, conduco­no vita brillante e lussuosa, vengono fondati in gran numero chie­se e monasteri, si producono capolavori artistici nel campo dell’architettura, della pittura e della miniatura[70]. Se la liturgia resta sempre slava, a partire dal secolo XVI si cominciano a tradurre i testi sacri dallo slavonico in romeno. L’impresa di Mihai Vi­teazul (1593-1601) nel 1600 di riunire in un unico stato i principati di Valac­chia, Transilvania e Moldavia[71], benché di breve durata, rinforza la coscienza nazionale. Con il secolo XVII assistiamo al trionfo definitivo della lingua del popolo nella chiesa e nelle creazioni letterarie, soppiantando lo slavonico, anche se la scrittura della lingua romena conserverà i caratteri cirillici fino al 1860, quan­do verranno sostituiti con quelli latini.

Nubi minacciose accompagnano lo spuntare del secolo XVIII. Il tentativo dei principi Constantin Brâncoveanu (1688-1714), in Valacchia, e Dimitrie Cantemir (1693, 1710-1711), in Moldavia, per scuotersi di dosso il giogo della Sublime Porta, sfocia nell’occupazione turca dei principati, nel loro più stretto inserimento nel sistema ottomano, e nell’installazione di ‘go­spodari’ nominati dal sultano tra gli esponenti delle grandi famiglie greche del quartiere del Fa­nar di Costantinopoli, da cui 1’espressione “regime fanariota” per designare questo periodo. Molto diversa, ma non meno complessa, si presenta la situazione della Transilvania. Dal 1438 si era venuto affermando in essa il regime costituzionale delle Tre ‘Nazioni’, che riconosceva pienezza di diritti politici unicamente alla nobiltà ungherese (nella quale erano inglobati anche i nobili romeni: si pensi al re d’Ungheria Mattia Corvino), alla comunità dei Sassoni e al popolo nobiliare dei Székelyek. Dopo la disfatta di Móhacs nel 1526 ad opera dei Turchi, il regno d’Ungheria si frantumò e la Transilvania, che ne era parte, divenne (unitamente ai territori occidentali delle Partes Regni Hungariae) un principato vassallo della Porta. Con la diffusione della Riforma la comunità dei Sassoni aderì al luteranesimo, la nobiltà ungherese – eccettuate alcune rare famiglie, rimaste cattoliche – costituì una propria Chiesa calvinista, a fianco della quale si instaurò anche una comunità antitrinitaria con proprio vescovo-sovrintendente; quest’ultima corrente radicale della Riforma penetrò anche tra i Székelyek, nel cui ambito peraltro consistente si conservò la presenza cattolica, con propri preti ed un convento francescano. Le restanti istituzioni cattoliche del principato (sedi episcopali, monasteri, conventi, collegiate) furono soppresse e i loro beni dispersi. La Chiesa ortodossa dei Romeni continuò a sussistere ma, priva di tutela giuridico-istituzionale, fu sottoposta già negli anni ’60 del Cinquecento e di nuovo lungo il secolo XVII a forti pressioni da parte del potere principesco, che riuscì in particolare a imporre l’uso del catechismo orientato in senso protestante, a introdurre l’uso del volgare quale lingua di culto e a sottoporre il metropolita all’autorità del vescovo-sovrintendente calvinista. Tale situazione cessò con l’ingresso del principato nel sistema imperiale asburgico, ratificata dalla Dieta nel 1688. Da allora la pressione confessionale calvinista cessò d’avere il supporto del potere politico e il cattolicesimo ritrovò legittimazione a fianco delle tre confessioni protestanti. Con la nomina dei metropoliti ortodossi Teofil Seremi (1692-1697) e Atanasie Anghel (1698-1713) prevalse l’orientamento a garantire l’identità ecclesiastica dei Romeni tramite l’unione della loro Chiesa orientale con la Chiesa di Roma, collegando a tale atto anche l’attribuzione al clero unito dello statuto istituzionale riconosciuto al clero cattolico.  L’opposizione delle Tre ‘Nazioni’ vanificò in gran parte quest’ultimo aspetto, pur approvato dall’imperatore. Ciononostante la Chiesa Unita o greco-cattolica di Transilvania, con le sue scuole fondate alla metà del Settecento nella sede episcopale di Blaj (la ‘Piccola Roma’), avrebbe giocato un ruolo decisivo nella formazione dell’identità culturale e della coscienza nazionale dei Romeni di Transilvania (e non solo). Impossibilitata dagli ordinamenti istituzionali del principato a intervenire sullo statuto politico della nazione romena, l’autorità imperiale riuscì ad assicurarne la piena autonomia ecclesiastica, istituendo nel 1850 la metropolia greco-cattolica di Blaj (ratificata canonicamente nel 1853), seguita nel 1864 dalla metropolia ortodossa con sede a Sibiu.

Nei due principati danubiani di Moldavia e Valacchia il risveglio di una coscienza nazionale, sotto la spinta delle idee libertarie dell’Europa dei Lumi, lievitò progressivamente assieme ai tentativi di liberazione dei po­poli balcanici dal dominio ottomano. Unificati i due principati nel 1859 nella persona del principe Ion Cuza, dal 1862 si avviò la loro fusione in unico principato di Romania; il parlamento di quest’ultimo nel 1877 – nel contesto della guerra russo-turca – dichiarò l’indipendenza dalla Porta, indipendenza internazionalmente riconosciuta nel 1878. Seguì nel 1881 la proclamazione del Regno. Alla fusione politica dei due principati si affiancò l’unione delle due metropolie in un unico organismo ecclesiastico, retto dal metropolita–primate di Bucarest, autocefalo dal 1885. Nel 1918 si costituì la “grande Ro­mania”, con l’aggregazione della Transilvania, della Bessarabia e della Bucovina al ‘Vecchio Regno’. In particolare l’unione della Transilvania fu qui proclamata in un’assemblea il 1° Dicembre per bocca del vescovo greco-cattolico Iuliu Hossu. La successiva costituzione del 1923 riconobbe, a fianco della preminente Chiesa ortodossa, la Chiesa greco-cattolica quale Chiesa nazionale minoritaria. Nel 1925 la cattedra primaziale ortodossa di Bucarest veniva elevata al rango di Patriarcato. Dopo cessioni territoriali nei con­fronti delle potenze confinanti, la Romania uscì sconfitta dalla seconda guerra mondiale e fu integrata nel sistema egemonico moscovita, con l’imposizione di istituzioni politiche, sociali ed economiche prese a prestito dall’Unione Sovietica. La cattività comunista, specie con la deriva del cosiddetto ‘socialismo dinastico’ di un despota quale Nicola Ceausescu, a partire dal 1975, ha lasciato ferite profonde nel paese, le cui conseguenze si fanno sentire anche dopo la rivoluzione del 1989.

 [RIQUADRO SUL ROVETO ARDENTE]

Il nome di p. Scrima è legato alle vicende del ‘Roveto Ardente’, un fenomeno assolutamente singolare della Romania all’alba dell’avvento del comunismo. A Bucarest, dopo anni di incontri e conferenze tra un gruppo di intellettuali, laici ed ecclesiastici, interessati ed entusiasmati dalla riscoperta della tradizione ortodossa ed in particolare della tradizione esicasta, nei primi anni ’40 si costituisce una Associazione originale, Il Roveto Ardente (Rugul Aprins)[72], per iniziativa di Sandu Tudor (Alexandru Teodorescu), poeta e saggista, segnato da un viaggio all’Athos nel 1929, monaco poi nel 1944 al monastero Antim con il nome di Agaton, arrestato e condannato ai lavori forzati nel lager sul Canale Danubio-Mar Nero nel 1948-49, monaco del grande abito con il nome di Daniil nel 1952 a Sihăstria e poi a Rărău, nel nord della Moldavia, quindi imprigionato come del resto tutti gli altri nel 1958 e morto nella terribile prigione di Aiud verso il 1961.  Gli incontri avvengono tra il monastero Antim e quello di Cernica, nei dintorni di Bucarest. L’elenco dei partecipanti è assai significativo per l’ambiente romeno di quell’ epoca. Accanto a letterati come Sandu Tudor, al poeta Vasile Voiculescu, al prosatore Ion Marin Sadoveanu, al filosofo Mircea Vulcănescu, al critico letterario Tudor Vianu, al bizantinista Alexandru Elian, al musicista Paul Constantinescu che ha musicato la formula della preghiera di Gesù, si trovavano molti scienziati, matematici e fisici importanti come Alexandru Mironescu, Dan Barbilian (anche importante poeta con lo pseudonimo Ion Barbu), Octav Onicescu, Mihai Neculce, medici come I. Plăcinţeanu, Valentin Poenaru, il filosofo logico Anton Dumitriu, l’architetto Constantin Joja, i generali Gheorghe Stratilescu, Gheorghe Iorgulescu, Constantin Manolache. Numerosi anche gli studenti di allora: André Scrima, Roman Braga[73], Felix Dubneac, Nicolae Bordaşiu, Nicolae Nicolau, ecc. Tra i monaci che frequentano il gruppo, il più importante è p. Sofian Boghiu che secondo p. Scrima è stato il confessore di Antim, ma vi era anche p. Petroniu Tănase, il futuro igumeno del monastero Prodromu del Monte Athos e p. Arsenie Papacioc, oggi uno degli ultimi grandi padri spirituali del paese. Senza farvi parte hanno frequentato il gruppo anche lo scrittore Valeriu Anania, oggi vescovo Bartolomeo di Cluj, e specialmente il teologo p. Dumitru Stăniloae. La sua edizione della Filocalia[74] apparsa in quel tempo (i primi 4 volumi sono stati pubblicati a Sibiu tra il  1946 ed il 1948) è stata accolta con grande entusiasmo, come un evento provvidenziale, dai membri del gruppo, sebbene questi avevano già avuto tra le mani le antiche traduzioni romene dei testi filocalici che si trovavano nelle biblioteche dei monasteri e soprattutto all’Accademia romena. Di grande importanza per gli intellettuali di Bucarest è risultato il trasferimento di p. Dumitru Stǎniloae da Sibiu a Bucarest dove presenta un corso di mistica ortodossa all’Università, (pubblicato poi nel terzo volume della Teologia Morale Ortodossa nel 1981). Sebbene p. Stăniloae non appartenesse al movimento del “Roveto Ardente” e lo frequentasse raramente, il gruppo ha approfittato pienamente della sua produzione editoriale. I partecipanti si riunivano all’inizio ogni domenica, dopo la liturgia, poi più tardi, la sera, dopo il vespro, per ascoltare delle conferenze e discutere sui temi di spiritualità, tutti connessi col grande tema della divinizzazione dell’uomo tramite la preghiera ininterrotta del Nome di Gesù.  La conferenza che ha dato avvio alle riunioni del gruppo è stata presentata da Sandu Tudor stesso e aveva come titolo “Il viaggio verso il luogo del cuore”.

L’avvenimento, percepito come una rivelazione, in quegli anni, è la comparsa di p. Ioan Kulygin[75], rifugiato da Valaam, monaco di Optina Pustyn, vero centro spirituale per la Russia del sec. XIX, erede e animatore del movimento a cui Paisij Veličkovskij aveva dato l’avvio proprio in Romania nel sec. XVIII. Dopo la chiusura del monastero e varie peripezie, era entrato al servizio del metropolita di Rostov che con l’esercito romeno si stava ritirando davanti all’avanzata dell’armata rossa. Trova rifugio a Cernica nel 1943 fino al gennaio del 1947 quando di nuovo sarà consegnato ai sovietici e di lui si perdono le tracce. Nella sua valigia porta numerosi testi della tradizione russa, che presto verranno tradotti in romeno da p. Gheorghe Roşca, rifugiato di Bessarabia che conosceva perfettamente il russo e diffusi in un samizdat ante litteram. Ricordo in particolare la famosa antologia Che cos’è la preghiera di Gesù secondo la tradizione della chiesa ortodossa, edita a Serdobol nel 1938 a cura del monastero di Valaam. Con la venuta di questo ‘starec’, tutto il gruppo ha avvertito di potersi ricollegare ad una tradizione vivente, ad una vera ‘paternità spirituale’. Quando, con il 1948, il regime comunista scioglieva ogni associazione che non dipendesse direttamente da esso, anche Il Roveto Ardente fu sciolto e le riunioni si tennero con un numero più stretto di persone, ad Antim o in case private fino ad arrivare al 1958, l’anno del processo e delle condanne al carcere duro per quasi tutti i componenti del gruppo. Il dramma del Roveto ardente diventava il dramma dell’intero paese: volendo stroncare ogni forma di opposizione al comunismo, si voleva ‘sradicare’ ogni tentativo di opposizione spirituale sia laica che ecclesiale. Ma la linfa che aveva nutrito ed entusiasmato quel gruppo continuerà a scorrere sotterranea e ad alimentare figure come quelle di p. Paisie Olaru (1897-1990) e p. Cleopa Ilie (1912-1998) di Sihăstria, recentemente scomparsi, veri testimoni della tradizione esicasta romena.

 

[RIQUADRO SULLA TRADIZIONE ESICASTA]

Difficile descrivere in poche righe l’importanza per la Romania della tradizione esicasta, che forma come l’ossatura della sua spiritualità. Davanti alla storia dell’evoluzione del cristianesimo nelle regioni romene, si ha 1’impressione che, se 1’elemento portante di quel­la evoluzione, come del resto in genere nell’oriente cristiano, è dato dal monachesimo, non si tratta però di un monachesimo come parte a sé stante, separato dal resto del mondo e della chiesa. Si tratta di un monachesimo come fermento, in vera osmosi con un popolo e capace di ispirare tutta una cultura. Di questo mo­nachesimo, poi, il carattere più specifico che emerge è la sua ispi­razione esicasta. La fortuna che conobbe in Romania il termine esicasta, in romeno sihastru, è unica in tutta 1’ortodossia. Ne fanno testimonianza le innumerevoli denominazioni di montagne, col­line, fiumi e località con termini di origine monastica, che ri­cordano per lo più il nome di tale o tal altro monaco esicasta vissuto in quei paraggi.

Nel­l’ambito della spiritualità cristiana con la parola esicasmo ci si riferisce oggi ad almeno due fenomeni distinti. Il primo concer­ne quel particolare orientamento spirituale che coincide con le origini stesse del monachesimo orientale e che può essere defi­nito come un orientamento essenzialmente contemplativo che pone la perfezione dell’uomo nell’unione con Dio tramite la pre­ghiera continua. Definisce cioè lo stile di vita dei padri del deserto egiziano e trova la sua espressione teorica in diversi “filoni” della spiritualità antica, specie nella scuola sinaitica (Giovanni Climaco, Esichio di Batos, Filoteo Sinaita). Il secondo riguarda quel particolare metodo di preghiera, basato sull’invocazione incessante del nome di Ge­sù, la cui forma venne codificata negli ambienti monastici del Monte Athos nei secoli XIII e XIV. In tale contesto il termine esicasmo si estende fino a comprendere sia il movimento di rin­novamento spirituale in seno al quale quel metodo di preghiera si sviluppò e si precisò grazie soprattutto alla figura di Gregorio il Sinaita, sia la sintesi filosofico-teologica elaborata da Grego­rio Palamas per difendere e sostenere quanti si servivano pro­prio di quel metodo. Tutti e due i fenomeni legati al termine esicasmo hanno avuto grande influenza sulla spiritualità della chiesa romena. Essi però sono stati assunti e fusi in modo vivo e originale, tanto che si parla a buon diritto della “tradizione esicasta romena” come di un fenomeno tipico, sviluppatosi fin dalle origini stesse del cristianesimo nelle terre romene e perdu­rante fino ai nostri giorni[76].

Il sorgere e lo svilupparsi di un numero così impressionante di esicasteri, fenomeno pressoché unico nel mondo cristiano, tro­va anzitutto la sua giustificazione in una particolare sensibilità dell’animo romeno, che sente profondamente connaturale 1’ideale di hesychía ricercata in seno alla natura. Ciò ha permesso al popolo romeno di vivere nei Carpazi, vera colonna vertebrale della loro stessa esistenza lun­go i secoli, “come in una grandiosa cattedrale, come in un mera­viglioso ‘esicastero’ naturale”. Ed è per questo che ai piedi del­le montagne, da Tismana fino al nord della Moldavia, sorge il maggior numero dei monasteri.

L’esicasmo romeno è caratterizzato soprattutto da un certo atteggiamento dell’anima. Un aneddoto risulta particolarmente espressivo. E’ riportato dal fratello di p. Galaction, il famoso stareţ di Sihăstria, p. Cleopa, recentemente scomparso: “Un giorno padre Galaction pose questa domanda a un eremi­ta che aveva incontrato per caso nella foresta: “Ditemi, pa­dre: quando verrà la fine del mondo?” E quel sant’uomo, so­spirando, rispose: “Lo vuoi sapere, padre Galaction? Quan­do non ci sarà più sentiero tra 1’uomo e il suo vicino!” [77]. Quando gli uomi­ni pretenderanno di vivere dietro steccati egoistici, chiuderan­no i cuori 1’uno nei confronti dell’altro, si scorderanno l’amore, il servizio reciproco, in una parola la “comunione”, la vita si svuo­terà di senso, il mondo sarà giunto alla sua fine. La mirabile espressione dell’anonimo sihastru interpreta a fondo il tratto forse più saliente di un modo di intendere la vita, 1’im­pegno religioso, la cultura, che da sempre ha caratterizzato la spiritualità del popolo romeno lungo la sua storia. Un rapporto molto stretto e naturale lega fra loro monaci e fedeli, tutti respirano lo stesso clima spirituale. La Moldavia, dove si conserva ancora intatta la struttura tradizionale del villaggio di cui il monastero rappresenta come l’appendice naturale e nello stesso tempo il centro vitale unificante, tale simbiosi ha sempre prodotto notevoli frutti culturali e spirituali. Ancora oggi questo fatto costituisce una delle caratteristiche più vistose ed originali della società romena, distinguendosi da questo punto di vista anche dagli altri paesi ortodossi.

È possibile ravvisare la fonte di queste due caratteristiche che si richiamano a vicenda, una di tipo più interiore (la vita come comunione), l’altra di tipo più socio-religioso (la stretta osmosi tra fedeli e monachesimo), in ciò che il famoso Libro di insegnamento del principe romeno Neagoe Basarab per suo figlio Teodosio, ha chiamato ‘dulceaţa lui Dumnezeu’: «rădăcina bunătăţilor iasti dulceaţa lui Dumnezeu»[78] . Il passo completo suona: “Chi si farà compagno delle virtù divine, questi avrà vita ed esistenza imperitura, poiché la radice della bontà è la dolce intimità con Dio”. ‘Dulceaţa dumnezeiasca’ comporta una dimensione, un timbro, che tocca la natura stessa delle terre romene, la spiritualità , la stessa celebrazione liturgica ed il canto, gli uomini. Denota una visione, rivela un’esperienza interiore specifica, quella che è maturata nel clima della tradizione esicasta che ha permeato profondamente lo spazio spirituale dell’oriente, in particolare romeno. Un uomo spirituale riuscito, si potrebbe dire, nella tradizione romena diventa ‘blînd’ (mite, mansueto, dolce), si riveste di ‘blîndeţe’, culmine dell’ascesi e segno di un cuore puro e pieno di amore. Questo tratto è sopravvissuto a tutte le ferite della storia, forse proprio in ragione di una risposta, a livello spirituale, a tali ferite, ieri come oggi.

[RIQUADRO DELLE FIGURE DI P. PAISIE E DI P. CLEOPA CON FOTO]

  1. Paisie Olaru (1897-1990). Un uomo dolcissimo, un vero ‘duhovnic’ nel senso più tradizionale e tecnico del termine: un padre spirituale e un padre confessore per vocazione. Dal 1922 si era rifugiato solitario a Cozancea, nel distretto di Botoşani, accogliendo man mano tanti figli spirituali, tra i quali anche quello che diventerà il suo figlio spirituale più illustre, il p. Ilie Cleopa. Credo sia l’esempio più unico che raro della vocazione a ‘confessore’ che la Chiesa sarà costretta a riconoscere ordinandolo sacerdote nel 1947 per evitare che i fedeli, usciti dalla sua stanza ormai consolati e benedetti, pensino che non hanno più bisogno di ricevere il sacramento del perdono. E subito dopo viene chiamato a Slatina come duhovnic della comunità che, insieme a p. Cleopa, là si era trasferita da Sihăstria su ingiunzione del patriarca Iustinian che voleva salvaguardare e rinnovare il monachesimo. Quando p. Cleopa torna a Sihăstria, anche p. Paisie lo segue e lì vi resta fino alla fine della vita, con la parentesi tra il 1973 e il 1985 nel romitorio di Sihla, a pochi chilometri da Sihăstria. Era normale trovarlo di giorno e di notte nella sua cella rivestito con la stola sacerdotale, senza tonaca per essere più libero nei movimenti a causa di una infermità agli occhi, in attesa dei penitenti. Non era raro, andando a visitarlo, assistere a scene come questa: una fila di persone, provenienti da tutta la Romania, che aspettavano di entrare da lui per la confessione. La porta si chiudeva solo per non ascoltare la confessione dei peccati altrui, ma appena cominciava a parlare il padre, quando ancora il penitente era dentro, la porta veniva aperta e tutti ascoltavano quello che diceva. I peccati propri non interessavano a nessuno, ma le parole del padre, più se ne sentiva e più se ne voleva ricevere. Dopo la caduta di Ceausescu e le dimissioni del patriarca Teoctist, poi respinte dal Santo Sinodo, la chiesa romena aveva pensato a p. Cleopa come all’uomo capace, essendo al di sopra di ogni compromesso e di provatissima esperienza spirituale, di guidare la chiesa ferita e smarrita. Quando la delegazione patriarcale arriva a Sihăstria, p. Cleopa interroga il suo padre spirituale, p. Paisie, il quale, nella sua saggezza, gli dice semplicemente: “Qui sei padre Cleopa, laggiù  Ilie Cleopa”.

 

  1. Cleopa Ilie (1912-1998), il figlio spirituale più illustre di p. Paisij, era davvero conosciuto in tutta la Romania, al quale venivano in numero foltissimo monaci e fedeli, intellettuali e dignitari ecclesiastici. In lui si incrociano i destini di molti, in lui la chiesa ed i fedeli vedevano la riserva di energie per affrontare le tribolazioni e la sfida dei tempi. Appena adolescente, insieme ai suoi due fratelli maggiori, porta al pascolo le pecore nei dintorni della skite di Cozancea, dove si era ritirato in solitudine p. Paisie, di cui diventa discepolo. Nel 1929 chiede di entrare a Sihăstria, allora retto dall’igumeno Ioanichie Moroi, un uomo severo, di stampo athonita, che aveva saputo ridare vigore spirituale al monastero. Dal 1930 al 1942, per obbedienza, è incaricato dell’ovile del monastero. Fa il pastore. Mentre porta al pascolo le pecore, divora i libri che riesce a procurarsi al monastero di Neamţ ed essendo dotato di memoria prodigiosa memorizza ogni cosa. Non sapeva allora che questo incarico, oltre che favorirlo nel cammino spirituale per l’obbedienza compiuta nella pace e per la preghiera e le letture nei lunghi tempi passati in solitudine con le sue pecore, gli avrebbe anche salvato la vita in seguito. Girovagando continuamente sui monti, ne conosceva tutti i sentieri e quando, ricercato dalla polizia, sarà avvertito di fuggire, non c’era per lui rifugio più segreto dei suoi monti. Nel 1945 viene ordinato sacerdote e nominato egumeno di Sihăstria, morendo il p. Ioanichie Moroi. Nel 1948 ha i primi guai con il regime e si ritira per sei mesi nella foresta. Poi, per intervento del patriarca Iustinian, che lo vuole a Slatina per rinnovare la vita monastica, vi si trasferisce con una trentina di monaci di Sihăstria. Subito dopo lo si vorrebbe a Neamţ, il più grande monastero della Romania, ma resiste e viene lasciato a Slatina, che diventa, nei pochi anni di vita prima di venire chiuso e dispersa la comunità, un vero centro spirituale, una ‘accademia spirituale’, sotto la cui influenza rifioriscono anche altri monasteri: Putna, Moldoviţa, Rîşca, ed evidentemente Sihăstria e Sihla. Quando, verso il 1954, insieme a p. Arsenie Papacioc e Sandu Tudor, viene a Bucarest, chiamato sempre dal patriarca Iustinian, dopo un paio d’anni di isolamento sui monti Stânişoara perché ricercato dalla Securitate, si ricrea un clima di emozioni spirituali davanti alle parole e alla testimonianza di uno stareţ romeno che parla della tradizione esicasta e della preghiera del cuore in modo del tutto naturale. Ritorna a Sihăstria, ma di lì a pochi anni si scatena la tempesta. Tra il 1958 e il 1964 tutti questi uomini e molti altri sono incarcerati, ad eccezione di p. Cleopa che, per la terza volta e questa volta per cinque anni consecutivi, si rifugia nella più totale solitudine nelle foreste attorno a Neamţ. Di quegli anni il famoso stareţ dirà: sono i miei anni di università, l’università della preghiera[79]. Nel 1964 verrà concessa l’amnistia, ma oramai nessuno ha più l’ardire di riprendere i contatti e poi si preparano nuove prove e afflizioni che a partire dal 1972 il regime, più subdolamente ma più pervasivamente, scatena contro la chiesa romena. Ma la linfa che aveva nutrito ed entusiasmato quel gruppo continua a scorrere sotterranea. Con lui Sihăstria diventa il centro spirituale della Romania e là vi muore all’età di 86 anni.

[RIQUADRO PER D. STANILOAE][80]

A pescare profondo nell’ottica della tradizione esicasta, a riformulare in senso attuale la visione che da questa grande tradizione promana, ci ha provato p. Dumitru Stăniloae (1903-1993), sicuramente il più grande teologo romeno del sec. XX e certamente fra i maggiori dell’Ortodossia in generale. La sua creazione teologica si può definire, come ben ha messo in evidenza Maciej Bielawski, autore di una ricerca dottorale su di lui, una visione filocalica sul mondo[81]. Accanto a p. Florovsky (1893-1979) e a p. Justin Popovič (1894-1979), rispettivamente russo e serbo, ma indipendentemente da questi, p. Stăniloae cercò di costruire una ‘sintesi neopatristica’, creando un approccio esistenziale alla genuina tradizione dei Padri della Chiesa. Tutta la sua vita la dedicò a tale scopo. Importanti, nel suo lavoro, non sono le singole idee o trattazioni, bensì una visione d’insieme, una tensione di fondo positiva nel vedere Dio legato al mondo creato da Lui piuttosto che il mondo che ha perduto Dio. La teologia è appunto la fatica di vedere l’Invisibile e di guardare al mondo e all’uomo attraverso i Suoi occhi. Non semplicemente ‘legge’ la tradizione, ma la legge in modo originale, profondo, interrogante. La visione del mondo e della vita è strettamente legata alla purificazione spirituale e all’ascesi dell’uomo ed è la visione di Dio che cambia l’intelligenza umana del mondo. Nelle sue virtù e nei suoi difetti p. Stăniloae resta legato al contesto del villaggio rurale romeno tradizionale dove era nato, vivendo in modo particolare la fusione tra Ortodossia e cultura rurale romena che riunisce una concezione poetica, una percezione del cosmo e valori morali definiti. Ha tradotto e commentato numerosi Padri della Chiesa (Massimo Confessore, Atanasio e Cirillo di Alessandria, Gregorio di Nissa, Dionigi Areopagita, nonché i testi patristici raccolti nella voluminosa edizione della sua Filocalia in 12 tomi). Una svista delle autorità statali per la censura ha permesso la pubblicazione delle sue lezioni sull’ascetica e mistica cristiana del 1947 come terzo tomo dell’opera ‘Teologia Morale Ortodossa’, avvenuta nel 1981. Teologia e vita in lui si fondevano, il suo pensare era un orientare il vivere e citare i Padri per lui era un riflettere dentro la vita. I temi della sua riflessione teologica che fanno da perno sono ‘persona’ e ‘comunione’, punti nevralgici del vivere ecclesiale e sociale e della comprensione dell’uomo, sebbene lui li coniugasse in un personalismo comunitario di tipo ‘nazionalistico’, come se appartenesse alla vocazione romena ortodossa una misura, un’armonia che farebbe difetto ai greci come agli slavi, all’est come all’ovest, posizione evidentemente assai debole. Debolezza, questa, che si registra spesso nella Romania di oggi sia in campo religioso (vedi il confronto e la convivenza fra le diverse confessioni cristiane) che culturale (vedi il dibattito sulla modernità ed il rapporto con l’occidente) e che ci si augura venga superata con la fierezza di chi sa di poter contare su una tradizione ricca e preziosa e con l’umiltà di chi lotta con l’altro, come Giacobbe lottò con l’angelo, per poter chiedere una benedizione.

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[1] Ieromonaco Iustin Marchiş (n. 1951), monaco a Cozia, sacerdote nel 1977, stareţ al monastero di Cheia (jud. Prahova) negli anni 1988-1991, dal 1991 parroco alla Chiesa Stavropoleos in Bucarest dove rinnova la vita liturgica e comunitaria, promuovendo il restauro di quel celebre complesso; professore associato alla facoltà di architettura di Bucarest, Dipartimento di studi superiori per il master in antropologia dello spazio sacro; autore di monografie e articoli sulla chiesa e la società contemporanea (Parohia Stavropoleos, Str. Postei nr. 6, OP 1, 3 Bucureşti, 030085 – stavropoleos@starnets.ro, www.stavropoleos.ro).

[2] Rielaborazione del saggio di IOAN I. ICĂ jr., Dilema socială a Bisericii Ortodoxe Române: radiografia unei probleme, in IOAN I. ICĂ jr.-Germano MARANI, Gândirea socială a Bisericii. Fundamente, documente, analize, perspective, Sibiu 2002, Deisis, p. 527-564. Il volume è una miniera di informazioni. L’autore del saggio, Ioan Ică Jr. (n. 1960), diacono ortodosso, è professore di teologia alla Facoltà teologica ortodossa di Cluj e Sibiu, Direttore della casa editrice Deisis (str. Emile Zola 3, 550227 Sibiu, tel./fax: 069‑238073, e‑mail: deisis@rdslink.ro ), dal 1997 rappresentante della Chiesa Ortodossa Romena nella Commissione internazionale per il dialogo teologico tra le Chiese Ortodosse e la Chiesa cattolica, dal 1995 membro dell’Associazione internazionale per gli studi patristici, autore di numerose pubblicazioni.

[3] Cf. Vladimir Tismăneanu (professore di politologia all’Università del Maryland), Reinventing Politics: Eastern Europe from Stalin to Havel, New York, 1993, 1995 (trad. rom. Ed. Polirom, Iaşi, 1997). Si veda anche il nr. 4/1995 della rivista Polis consacrata interamente all’interpretazione del significato delle rivoluzioni dell’est Europa.

[4] Per l’analisi delle gravi confusioni (stato, patria, nazione; assenza di una chiara separazione tra statale-pubblico-privato) e dell’inconsistenza di una visione teoretica a proposito dell’individuo e della comunità in questo documento fondamentale, vedere Cristian Preda, “Ce este România? Filozofia politică a Constituţiei de la 1991”, Polis nr. 2/1996, p. 25–47 (e ancora, alle pagg. 140-161, il saggio di A. Crăiuţu, “Ucenicia dificilă a libertăţii: note asupra consolidării democraţiei în România”), ora nel volume Modernitatea politică şi românismul, Bucarest 1998, Ed. Nemira, p. 176–200.

[5] Anche da parte della Chiesa unita, almeno secondo l’analisi di DANIEL BARBU, cattolico, passato dall’appartenenza alla Chiesa unita di rito bizantino alla Chiesa cattolica di rito latino:  “Chiesa unita di Romania: quando il passato rifiuta il pre­sente”, La Nuova Europa nr. 5/1996, p. 25–39. Per una panoramica delle attuali correnti all’interno della ricerca teologica nella Chiesa unita, invece, si veda REMUS CÂMPEANU, Biserica româna unita între istorie şi istoriografie, Presa Universitară Clujeana, Cluj-Napoca 2003, in particolare il cap. 5: “Renaşterea. Tradiţionalism, tendinţe revanşarde şi noi direcţii”. Assai interessanti, anche per il contesto accademico in cui sono state promosse, le relazioni del simposio internazionale, tenuto a Cluj nell’anno 2000 e organizzato dalla Facoltà di Teologia Greco-cattolica e dalla Facoltà di Storia e filosofia dell’Università Babeş-Bolyai, per la celebrazione dei trecento anni dell’unione della Chiesa romena di Transilvania con la Chiesa di Roma, pubblicate nel volume: 300 de ani de la Unirea Bisericii Române din Transilvania cu Biserica Romei. Utile la consultazione del sito della Chiesa unita di Romania: www.bru.ro.

[6] Ortodoxia sub presiunea istoriei, Editura Bizantină, Bucarest 1995.

[7] Reflexii despre spiritualitatea poporului român, Ed. Scrisul Românesc, Craiova 1992.

[8] Il gruppo ‘Oastea Domnului’, Esercito del Signore, movimento di ispirazione pietista fondato in Transilvania nel periodo interbellico, sciolto dal regime comunista e reintegrato nella vita ecclesiale dopo il 1989, continua ad attrarre tanti fedeli dei villaggi e delle città, per amore della preghiera e dei canti liturgici.

[9] Teologie şi cultură, Ed. IBMBOR, Bucarest 1993; Ortodoxie şi contemporaneitate, Bucarest 1996; Hristos, Biserică, societate, Bucarest 1998. Cfr. anche, a cura di D. Popescu, Ştiinţă şi teologie. Preliminarii pentru un dialog, Ed. XXI: Eonul dogmatic, Bucarest 2001, con interventi di D. Costache, A. Lemeni, G. Stan, R. Ionescu.

[10] Ortodoxia în Europa. Locul spiritualităţii române, Ed. Trinitas, Iaşi 1995. L’autore insiste sul fatto che la Chiesa Ortodossa deve abbandonare il suo trionfalismo e la storica sua passività, ma mantiene un atteggiamento difensivo rispetto alla questione dei rapporti della Chiesa con il regime comunista e alla questione del pluralismo religioso.

[11] Vedi infra, n. 38 e 39.

[12] Si vedano i volumi Cronica ortodoxă, vol. I–III, Ed. Timpul, Iaşi 1994, 1997, 1999; ed. definitiva in un singolo volume: Dan Ciachir, Cronica ortodoxă, Ed. Timpul, Iaşi 2001.

[13] Si veda, a cura di  Ioan Ică jr., un’interessantissima antologia di testi di Nae Ionescu (1890-1940) dal titolo Predania şi un Îndreptar ortodox cu, de şi despre Nae Ionescu teolog, Sibiu 2001, Deisis, con la presentazione del testamento teologico di questo singolare filosofo ortodosso.

[14] L’ortodossismo differisce dalla Ortodossia in quanto religione e dalla Chiesa Ortodossa Romena in quanto istituzione religiosa, comportando un significato culturale teologico-politico fortemente tradizionalista e ideologico. In italiano il termine denota sia una rigida ortodossia nell’ambito religioso che una ortodossia pedantesca e rigida nell’ambito filosofico, politico, artistico, ecc.

[15] Si veda Ioan Petru Culianu, “Ku‑Klux‑Klan ortodox”, revista Meridian nr. 1, mai–iunie 1991, p. 64, ristampato in Păcatul împotriva spiritului (Opere complete, X), Ed. Nemira, Bucarest 2000, p. 224–230; Adrian Marino, Pentru Europa. Integrarea României: aspecte ideologice şi culturale (volume di saggi e interviste), Ed. Polirom, Iaşi 1995.

[16] Andrei Pleşu, ex ministro della cultura e ministro degli esteri e autore di un volume famoso sugli angeli, best-seller per il 2003, è il fondatore del Centro di studi superiori New Europe College (str. Plantelor, 21,  023971 BUCAREST), luogo privilegiato di studi interdisciplinari con conferenze e seminari ai quali sono invitate le personalità più competenti nei vari campi. In particolare, svolge una funzione rilevante nel costruire luoghi di dibattiti e di incontri e approfondimenti delle questioni teologiche e spirituali connesse con la cultura e la società romene.

[17] Le riviste culturali di grande impatto sull’opinione pubblica, dove vengono dibattuti i problemi che riguardano anche la Chiesa, sono i settimanali Observatorul cultural, Dilema, 22 (Revista Grupului pentru Dialog Social). Recentemente ha iniziato le pubblicazioni anche un’altra rivista, Idei  în dialog (direttore: H.-R. Patapievici), con l’intento di costituire un punto di equilibrio tra le opposte posizioni in tema di vita ecclesiale e spiritualità romena.

[18] I passaggi del pensiero di Teodor Baconsky si possono individuare nei tre volumi via via pubblicati: Lupta cu îngerul. 45 de ipostaze ale faptului religios, Ed. Anastasia, Bucarest 1996; Ispita binelui. Eseuri despre urbanitatea credinţei, Ed. Anastasia, Bucarest 1999; Puterea schismei. Un portret al creştinismului european, Ed. Anastasia, Bucarest 2001.

[19] Si vedano i suoi saggi: Cerul văzut prin lentilă, Ed. Nemira, Bucarest 1994 (19962, 19983) e Politice, Ed. Humanitas, Bucarest 1996 (19972, ed. accresciuta). Interessante la sua concisa analisi in Dilema 331 e 332 del 1999 a proposito del  rapporto Chiesa e modernità: Biserica Ortodoxă Română şi modernitatea, parte I: Problema de principiu a subordonării Bisericilor ortodoxe faţă de stat;  Problema de fond: incapacitatea de a găsi un sens religios modernităţii; parte II: Viitorul: dincolo de secularizarea internă.

[20] Assai interessante il suo saggio: Omul recent. O critică a modernităţii din perspectiva întrebării „ce se pierde atunci când ceva se câştigă?”, Ed. Humanitas, Bucarest 2001.

[21] In Ziua, 15 aprile 2005, Cristian Bădiliţă risponde alla domanda di fornire un elenco di almeno dieci autori di vera importanza per la cultura romena odierna e fornisce, tra altri, i nomi di: Al. Paleologu, Virgil Nemoianu, Andrei Pleşu, Gabriel Liiceanu, Horia Patapievici, Ioan Ică jr., Neagu Djuvara, Andrei Pippidi, Matei Calinescu, Nicolae Balota, Vladimir Tismăneanu, Teodor Baconsky, Sorin Antohi, Sorin Dumitrescu e Dan Ciachir.

[22] Di lui si vedano: Du dialogue intérieur. Fragment d’une anthropologie métaphysique, Gallimard, Paris 1947 (trad. Romena a cura di M. e S. Antohi: Despre dialogul interior. Fragment dintr‑o antropologie metafizică, con un „Cuvânt după o jumătate de secol” dell’autore e una postfazione di V. Nemoianu, Ed. Humanitas, Bucarest 1995); Sarea pământului. Cantată pe două voci despre rostul poetic, Ed. Cartea Românească, Bucarest 1978; A fi, a face, a avea, Ed. Cartea Românească, Bucarest 1985; Eu & tu & el & ea… sau dialogul generalizat, Ed. Cartea Românească, Bucarest 1990; Firul ierbii, Ed. Scrisul Românesc, Craiova 1998; Mai avem un viitor? România la început de mileniul. Mihai Şora în dialog cu Sorin Antohi, Ed. Polirom, Iaşi 2001. Sul suo pensiero si veda il volume a cura di S. Antohi e A. Crăiuţu, Dialog şi libertate. Eseuri în onoarea lui Mihai Şora, Ed. Nemira, Bucarest 1997.

Altri autori si distinguono per le loro interessanti analisi e prospettive. Ad es., il filosofo della cultura e il critico letterario Virgil Nemoianu, professore di letteratura comparata all’Università cattolica di Washington (n. 1940). Di lui si veda: A Theory of Secondary, The John Hopkins University Press, 1989 (trad. rom. di L.S. Câmpeanu, V. Nemoianu, O teorie a secundarului. Literatură, progres şi reacţiune, Ed. Univers, Bucarest 1997). Per l’applicazione di questa ‘teoria’ di analisi sul caso Romania, si veda il volume collettivo: I. Chimet (ed.), Momentul adevărului, Ed. Dacia, 1996, alle pag. 134-142: “Diagnostic românesc: trecut, prezent, viitor”.

Sul terreno più propriamente politico, si veda DANIEL BARBU, Republica absentă. Politică şi societate în România postcomunistă, Ed. Nemira, Bucarest 1999; Bizanţ contra Bizanţ. Explorări în cultura politică românească, Ed. Nemira, Bucarest 2001; Byzance, Rome et les Roumaines. Essais sur la production politique de la foi au Moyen Âge, Ed. Babel, Bucarest 1998 ; O arheologie constituţională românească, Ed. Universităţii, Bucarest 2000 ; suo il pregevole saggio ”Etica ortodoxă şi «spiritul românesc»” nel volume collettivo: Firea românilor, Ed. Nemira, Bucarest 2000, p. 39–130.

[23] Sondaj de opinie, Bucarest 2002, The Gallup Organization, Open Society Romania, citato in SILVIU E. ROGOBETE, «Morality and Tradition in Postcommunist Orthodox Lands: on the Universality of Human Rights, with Special Reference to Romania», Religion State & Society, 32 (2004), n. 3, p.275-297. Si veda anche l’analisi di V. BOARI, «The advisability of applying the liberal solution in the East», East Political Science Review (rivista in formato elettronico del Centro accademico per la ricerca sociale, Cluj, Università di Babes-Bolyai, 2, http://www.polito.ubbcluj.ro/EAST/issue2_contents.html.

[24] Cfr. L. BOIA, Mitologia ştiinţifică a comunismului, Bucarest 1999, ed. Humanitas.

[25] Cfr. H. R. PATAPIEVICI, Politice, Bucarest 1994, ed. Humanitas.

[26] Di lui si veda l’articolo «Témoignages: la persécution de l’Eglise orthodoxe sous le régime communiste», Nouvelles de l’Eglise Orthodoxe Roumaine, XX, 1, p. 8-11.

[27] A. PLEŞU, Biserica şi intelectualii: chipuri şi masti ale tranziţiei, Bucarest 1996, ed. Humanitas. Per la figura e gli interventi del metropolita Nicolae Corneanu, cfr. REGNO 8/1999, p. 217-223; C. ALZATI, Lo spazio romeno tra frontiera e integrazione in età medievale e moderna (Piccola biblioteca Gisem, 16), Pisa 2001, Edizioni ETS, p. 199-210. Luminose e chiare le parole pronunciate dal metropolita Nicolae del Banat nella cattedrale unita di Lugoj il 5 maggio 1996, anche se pronunciate a titolo personale e non a nome di tutta la Chiesa Ortodossa, ricordando la messa al bando della Chiesa greco-cattolica nel 1948 e l’urgenza di porre fine finalmente all’ingiustizia e alle controverità che perpetuano divisioni e odi: “ Permettetemi di dire ad alta voce ciò che tutti sappiamo: noi ortodossi e greco-cattolici ci detestiamo. Siamo fratelli, apparteniamo al medesimo popolo e alla medesima fede cristiana; sono ben poche le cose che ci distinguono; e tuttavia noi ci detestiamo gli uni gli altri. Pochi giorni fa, solo pochi giorni fa, in una località della Transilvania, a Teiuş, i fedeli greco-cattolici hanno chiesto la loro chiesa. Essi l’hanno fondata, ancora vivono coloro che l’hanno costruita, ed hanno chiesto che fosse loro restituita. E noi, gli ortodossi, non l’abbiamo loro restituita, col pretesto che lo Stato ha deciso, con tutta l’autorità di cui dispone, che le chiese siano assegnate in base alla maggioranza dei fedeli. Ma come potrà la Chiesa greco-cattolica raggiungere la maggioranza dei fedeli, dopo che per quarantatrè anni è stata fuori legge? E tuttavia lo Stato ha stabilito quello che ha stabilito, ossia la legge e il principio che i fedeli debbano essere contati. E se gli ortodossi sono più numerosi non hanno alcun motivo di rendere la chiesa ai loro fratelli greco-cattolici, anche se sono costoro che l’hanno costruita, anche se coloro che l’hanno costruita sono ancora viventi. Il criterio sopra enunciato è stat applicato in modo analogo in numerosi ambiti: le abitazioni, le proprietà, le terre e per molti altri aspetti. Non è possibile costruire una società sull’ingiustizia. E dal momento che ho parlato anche di verità, sono le controverità e la menzogna a renderci nemici. E come non ricordare ciò che avviene praticamente quasi ogni giorno, determinando tensioni e conflitti tra le differenti etnie e nazionalità. In molte parti della Transilvania, talvolta anche in questa città, un greco-cattolico viene considerato cattolico, e cattolico è assimilato a ungherese. E allora si dice: «Noi non possiamo andare d’accordo con gli Ungheresi». So bene come ancor oggi si continui a insistere su questo punto! Ma siamo tutti uomini, siamo tutti cristiani! E allora per quale motivo non potremmo andare d’accordo?…”, Ibidem, p.207-208.

[28] Caratteristico il titolo di una serie di articoli e reportages apparsi sul settimanale parigino Le Point, nr. 1269, 11 janvier 1997: “Orthodoxes: le grand reveil”, dove, per la Romania, si parla di ‘imperialismo religioso’.

[29] OLIVIER GILLET, Religion et nationalisme. L’idéologie de l’Eglise Orthodoxe Roumaine sous le régime communiste, Editions de l’Université de Bruxelles, Bruxelles 1997 (Spiritualités et pensées libres). Per una valutazione della situazione romena sotto il regime comunista, cfr. TREVOR BEESON, Discretion and valour. Religious conditions in Russia and eastern Europe, revised edition, Fortress Press, Philadelphia 1982, pp. 350-379.

[30] A tal proposito sono interessanti le argomentazioni di SILVIU E. ROGOBETE, «Morality and tradition in postcommunist orthodox lands: on the universality of human rights, with special reference to Romania», Religion, State & Society, vol. 32 (2004), n. 3, p. 275-297.

[31] Per una visione d’insieme dal punto di vista storico-teologico, cfr. l’articolo già citato di IOAN I. ICĂ jr., Dilema socială a Bisericii Ortodoxe Române: radiografia unei probleme, in IOAN I. ICĂ jr.-GERMANO MARANI, Gândirea socială a Bisericii. Fundamente, documente, analize, perspective, Sibiu 2002, Deisis, p. 527-564.

[32] Cf. Alexandru Duţu, Coordonate ale culturii româneşti în secolul XVIII, EPL, Bucarest 1968, p. 117–212, pubblicate dal prof. Al. Zub (Iaşi) e i volumi: Cultură şi Societate, Ed. Ştiinţifică, Bucarest 1991 e Temps et changement dans le espace roumain, Iaşi 1991. Per una visione in generale sull’epoca resta buona la sintesi del prof. Keith Hitchins (University of Illinois), The Romanians: 1774–1866, Oxford University Press, 1996; The Romanian National Movement in Transsylvania, 1780–1849, Harvard UP, 1969; Orthodoxy and Nationality: Andreiu Şaguna and the Romanians of Transsylvania, 1846–1873, Harvard UP, 1977 (trad. rom. A. Jivi: Ortodoxie şi naţionalitate. A. Şaguna şi românii din Transilvania, Bucarest 1995); The Idea of Nation. The Romanians of Transsylvania, 1691–1849, Ed. Ştiinţifică, Bucarest 1985.

[33] Vlad Georgescu, Istoria românilor de la origini până în zilele noastre (1984 prima ed.), ed. IV, Ed. Humanitas, Bucarest 1995, p. 198. Scritto in Occidente, il lavoro costituisce fino a oggi la sintesi più limpida e obiettiva della storia politica, sociale, culturale dei romeni.

[34] Keith Hitchins, Romania 1866–1947, Oxford 1994 (trad. romena, Ed. Humanitas, Bucarest 1996, cap. VII, p. 315–358). Un’ampia antologia con i principali testi sul ‘grande dibattito’ è stata pubblicata presso le ed. Dacia, Cluj‑Napoca, Iordan Chimet: Dreptul la memorie, 1992–1993, 4 volumi, con un epilogo che riguarda la rivoluzione del dicembre 1989 nel volume collettivo: Momentul adevărului, 1996.

[35] Si veda l’antologia realizzata dall’Istituto di Teoria Sociale dell’Accademia di Romania: Ideea care ucide. Dimensiunile ideologiei legionare, Ed. Noua Alternativă, Bucarest 1994. Come pure, di Zigu Ornea, Tradiţionalism şi modernitate în deceniul al treilea, Bucarest 1980 e soprattutto: Anii 30. Extrema dreaptă românească, Ed. Fundaţiei Culturale Române, Bucarest 1995. Tuttavia, l’eccessiva polemica contro Nae Ionescu e i suoi discepoli (Constantin Noica, Mircea Eliade, Emil Cioran) andrebbe riconsiderata.

[36] Alexander F.C. Webster [protestante americano convertito all’Ortodossia, professore di teologia e sacerdote nel quadro dell’archidiocesi ortodossa romena in USA] The Price of Prophecy. Orthodox Churches on Peace, Freedom and Security, Washington, Ethics and Public Policy Center, 1993, 19952. Cap. III: „The Romanian Religion‑Political Symbiosis”, p. 89–136.

[37] Sulle persecuzioni religiose in Romania, cfr. il lavoro di sintesi di S. Grossu, Le calvaire de Roumanie chrétienne, Paris, 1987 (trad. rom. Iaşi 1992). Sullo scioglimento e la persecuzione della Chiesa unita o greco-cattolica, cfr. A. Raţiu, Persecuţia Bisericii române unite (Roma 1974), ed. II, Oradea 1994.

[38] Un estetismo di tipo neoplatonico e l’assenza di una filosofia politica di tipo aristotelico sono una costante specifica della filosofia romena. Per una sintetica caratterizzazione di quest’ultima, si veda Virgil Nemoianu, „Neoplatonism şi cultură română”, Revista de istorie şi teorie literară 43 (1995), nr. 3–4, p. 261–271.

[39] Apostolat social è il titolo generico di tutti gli interventi pastorali del patriarca Iustinian Marina (1948–1977) pubblicati in 12 volumi tra gli anni 1948–1975. Una analisi dettagliata e completa, tenendo conto del contesto dell’epoca, con luci e ombre, manca ancora. Si possono consultare, fra gli studi esistenti, le riflessioni condotte negli anni 1975-78 dal prof. Ernst Christian Sutner, raccolte nel volume Beiträge zur Kirchengeschichte der Rumänen, Vienna 1978, p. 11–206, come anche “Der «soziale Apostolat» der rumä­nischen Orthodoxie im ersten Jahrzehnt nach dem 2. Weltkrieg”, in R. Schulte (Hg.), Leitourgia — Koi­nonia — Diakonia (Festschrift für Kardinal König), Vienna, 1980, p. 461–496. Le conclusioni dell’analisi di una tesi del 1995 all’Università libera di Bruxelles di Olivier Gillet, Religion et nationalisme. L’idéologie de l’Église Orthodoxe Roumaine sous le régime communiste, 1997 (trad. rom. M. Petrişor: O. Gillet, Religie şi naţionalism. Ideologia Bisericii Ortodoxe Române sub regimul comunist, Ed. Campania, Bucarest 2001) sono un po’ viziate da una certa posizione antiortodossa.

[40] Biserica slujitoare în Sfânta Scriptură, Sfânta Tradiţie şi în teologia contemporană è il titolo di una tesi di dottorato dell’allora vescovo vicario patriarcale Antonie Plămădeală, preparata in una prima versione a Oxford tra il 1968-70 e pubblicata poi in versione romena più estesa nella rivista Studii teologice 24 (1972), nr. 5–8 e in estratto di  344 p. (un’edizione abbreviata appare a Sibiu nel 1986).

[41] Cf. Le théologie orthodoxe roumaine des origines a nos jours, Bucarest 1974, p. 9, 11, 359–374, 285.

[42] Il famoso pseudo-sillogismo: ‘il cristiano è l’uomo nuovo’, ‘l’uomo nuovo è l’uomo sovietico’, quindi ‘il cristiano è l’uomo sovietico’, conoscerà una diffusione internazionale ad opera di Czeslaw Milosz come esempio di ‘pensiero prigioniero’. Cfr. C. Milosz, Gîndirea captivă, Ed. Humanitas, Bucarest 1999. Sfruttato dai dissidenti romeni L. Petrescu e Liviu Cangeopol, Ce‑ar mai fi de spus? Convorbiri libere într‑o ţară ocupată, Ed. Minerva, Bucarest 1990, p. 83.

[43] cfr. Gheorghe Calciu, Şapte cuvinte către tineri, a cura di R. Codrescu, Ed. Anastasia, Bucarest 1996.

[44] Nato nel 1925 in Transilvania, di grande precocità intellettuale si scrive a 15 anni all’università in filosofia, poi matematica e fisica, partecipa al gruppo del ‘Roveto Ardente’, studia teologia, monaco a Slatina nel 1956, bibliotecario del patriarcato al monastero Antim a Bucarest, conoscitore dell’esicasmo e della tradizione contemplativa occidentale, studioso a Benares della tradizione indù, nel 1959 è ordinato sacerdote e diventa padre spirituale del monastero S. Giorgio a Deir-el-Harf e professore all’Università del S. Spirito a Kaslik, in Libano, rappresentante del patriarca Atenagora al Concilio Vaticano II, si sposta tra Roma, Parigi, il Libano e gli Stati Uniti intessendo relazioni con tanti uomini di cultura nel mondo, dopo il 1989 rientra in Romania e sostiene il New Europe College di Bucarest, fondato nel 1994 da Andrei Pleşu, un vero centro di dibattito e di formazione per giovani studiosi di cultura e spiritualità romene. In quella sede è stato raccolto l’archivio del p. Scrima, con l’intenzione di pubblicare via via i suoi scritti. Già apparsi: Despre isihasm, a cura di Anca Manolescu, Bucarest 2003, Humanitas; Comentariu la Evanghelia după Ioan. Capitolele 18-21, Bucarest 2003, Humanitas. Muore a Bucarest nel 2000 e viene sepolto al monastero di Cernica. Completamente dedicati a lui i due numeri della famosa rivista della diaspora ortodossa a Parigi, “Contacts”, juillet-septembre 2003, n. 203 e juillet-septembre 2004, n. 207. Suo è il pregevole articolo sulla tradizione spirituale romena : UN MOINE DE L’EGLISE ORTHODOXE ROUMAINE, «L’avénement philocalique dans l’Orthodoxie roumaine», Istina 5 (1958), pp. 295-328, 443-474.

[45] In italiano, CONSTANTIN NOICA,.Sei malattie dello spirito contemporaneo, Bologna 1993, Mulino (intersezioni, 111).

[46] Si veda IOANICHIE BALAN, Volti e parole dei padri del deserto romeno, Introduzione, traduzione e note a cura dei Fratelli Contemplativi di Gesù, Bose 1991, Qiqajon (Spiritualità orientale), p. 109-149, 189-200

[47] Si veda DARIO RACCANELLO, La preghiera di Gesù negli scritti di Basilio di Poiana Mărului, Alessandria 1986 (tr. romena: Rugăciunea lui Iisus în scrierile stareţului Vasile de la Poiana Mărului, Deisis, Sibiu 1996).

[48] Si veda E. CITTERIO, La scuola filocalica di Paisij Veličkovskij e la Filocalia di Nicodemo Aghiorita. Un confronto,  in T. SPIDLIK, K. WARE, E. LANNE, M. VAN PARYS e AA.VV.,“Amore del bello. Studi sulla Filocalia”, Atti del Simposio internazionale sulla Filocalia, Pontificio Collegio Greco, Roma, novembre 1989, Bose 1991, Qiqajon, pp. 179-207; N. KAUCHTSCHISCHWILI, A.-AI. N. TACHIAOS, V. PELIN e AA.VV., Paisij, lo starec, a cura di A. Mainardi, Bose 1997, Qiqajon; PAISIJ VELIČKOVSKIJ, Autobiografia di uno starec. Introduzione, traduzione e note a cura della comunità dei Fratelli Contemplativi di Gesù, ed. Scritti monastici, Abbazia di Praglia 1988, p. 60 (ora ristampato presso le ed. Qiqajon, Bose 1998).

[49] Cfr. la lettera del principe Costantino Moruzi con la quale ordinava a Paisij di trasferirsi a Neamţ, come riportato nella biografia di GRIGORIE DASCĂLUL, Povestire din parte a vieţii prea cuviosului părintelui nostru Paisie [1817], in D. ZAMFIRESCU, Paisianismul. Un moment românesc în istoria spiritualităţii europene, Bucarest 1996, p.128.

[50] Troppo ‘ideologicamente’ il metrop. Antonie PLĂMĂDEALĂ, Tradiţie şi libertate în spiritualitatea ortodoxă, Sibiu 1983, configura il ruolo del monachesimo nel contesto del sistema di pensiero del regime. Al p. Ioanichie Bălan va riconosciuto il merito dell’impresa, nata dall’esigenza, di fronte alla capacità distruttiva del regime, di documentare il più possibile la fecondità spirituale della tradizione romena, di visitare e interrogare tutti gli asceti e i monaci che avevano respirato la forza e lo splendore di quella tradizione, raccogliendo le loro testimonianze in una serie di volumi che costituiscono, pur senza una adeguata documentazione storica e tenendo conto della censura comunista, una buona sintesi della tradizione monastica romena: Pateric românesc, Bucarest 1980, Galaţi 1990; Convorbiri duhovniceşti, Roman, vol. I, 1984, 1993  (Tr. italiana: Volti e parole dei padri del deserto romeno. Introduzione, traduzione e note a cura della Comunità dei Fratelli Contemplativi di Gesù, Qiqajon, Comunità di Bose 1991), vol. II, 1988, 1990. 

Una visione della situazione dopo la caduta del regime si può vedere nella rivista Deisis. Revistă de spiritualitate şi cultură ortodoxă , n. 3-4, 1996, a cura della metropolia ortodossa romena per la Germania e l’Europa centrale: Monahismul în Ortodoxie. In particolare, alle pp. 24-26, l’intervento del metropolita Serafim Joantă, Nevoia de înnoire a monahismului.

[51] Una voce singolare nel panorama monastico romeno è quella di NICOLAE STEINHARDT ( Nicolae Delarohia) (1912-1989), ebreo convertito e battezzato nelle carceri comuniste, monaco dal 1980 a Rohia, nel Maramureş, senza cessare dalla sua attività di saggista e cronista letterario, musicale e artistico, di cui è stato pubblicato in italiano il  Diario della felicità, EDB, Bologna 1996. Interessanti, per lo spirito libero e profondo con cui le pronuncia, le sue omelie: Dăruind vei dobîndi. Cuvinte de credinţă, Baia Mare 1992.

[52] Per tutti questi aspetti si veda E. CITTERIO, Nicodemo Agiorita, in La théologie bizantine et sa tradition, II, sous la direction de C. G. Conticello & V. Conticello, Brepols, Turnhout 2002 (Corpus christianorum), p. 905-997.

[53] Pur nella stima per lo spirito con cui sono state formulate, sono deboli le posizioni espresse da p. Stăniloae nel suo Reflexii despre spiritualitatea poporului român, Scrisul Românesc, Craiova 1992. Non si tratta di riservare al popolo romeno l’esclusiva di una misura, di un’armonia spirituale che farebbe difetto ai greci come agli slavi, all’est come all’ovest. Nel mondo spirituale niente è esclusivo di nessuno perché tutto è grazia comune; particolare è solo il timbro dell’esperienza di uno rispetto a un altro, di un popolo rispetto ad un altro, di una tradizione rispetto ad un’altra, in simbiosi reciproca perché il mistero è il medesimo per tutti.

[54] I dati sono desunti dal sito ufficiale del Patriarcato Romeno (www.patriarhia.ro) e dal volume fresco di stampa  Biserica în misiune. Patriarhia română la ceas aniversar: 120 de ani de autocefalie, 80 de ani de patriarhat, Bucarest 2005, ed. Institutului biblic şi de misiune al Bisericii Ortodoxe Române, pp. 455-480, 552-568, 723-763. I nominativi della gerarchia ecclesiastica ortodossa si possono reperire con i dati del curriculum personale in Orthodoxia 2005, a cura del Ostkirchliches Institut di Regensburg.

[55] Vale la pena di ricordare, in ambito russo, la proposta, formulata nel convegno sulla teologia ortodossa e l’occidente nel XX secolo, tenutosi a Seriate (BG) nei giorni 30-31 ottobre 2004, , di predisporre una collana „Teologia cristiana del XX secolo”, con la collaborazione tra la Commissione teologica Sinodale, La Fondazione Russia Cristiana e la Biblioteca dello Spirito di Mosca, per una serie di libri che offra il meglio della teologia cristiana ortodossa-cattolica-protestante. Cfr. La nuova europa , 2005/1, p.176-179.

[56] Cfr. Renaşterea (Cluj) nr.2 ( 156) , 2003

[57] Si veda DANIEL, Metropolita di Moldavia e Bucovina: Sfînţi daco-români şi români, Iaşi 1994.

[58] “Exigenţele ecumenismului actual din punctul de vedere al Bisericii Ortodoxe Române”, testo apparso nel sito  http://www.crestinism-ortodox.ro/html/11/11a_exigentele_ecumenismului_actual.html

[59] Cfr. CRISTIAN G. ROMOCEA, «Reconciliation in the ethnic conflict in Transylvania: theological, political and social aspects», in Religion, State & Society, 32 (2004), n.2, p. 159-176. Vedi anche PÉTER LAKATOS, «Denominational and cultural models and a possible ecumenical strategy from a romanian context. Part II: The christian churches and social responsibility. Part III: An ecumenical strategy», in Occasional Papers on Religion in Eastern Europe, 18 (1998), 6, p. 1-23.

[60] Significativa la sua opera: Istorie şi mit în conştiinţa românească, Bucarest 2002, 3° ed., ed. Humanitas.

[61] Ne dà conferma STELIU LAMBRU, nel contributo per la ‘Conferenza su Cittadinanza, Diritti delle minoranze e Etnie in Europa’, Vlotho, Germania, 2-6 dicembre 1999: National survival and teaching history. Reflections on Romanian public debate on historical textbooks ed anche MARIUS TURDA, Scales of Perception: Conflicting Discourses within Romania. Face to Face: Romania and Europe, altro contributo alla medesima conferenza. I testi si possono leggere nel sito: http://www.gesw.de/ethnicity/lambru.html e http://www.gesw.de/ethnicity/turda.html

[62] Si veda l’intervento di T. Baconsky in Dilema nr. 7/200.

[63] Interessante il volume del metropolita del Banat, NICOLAE CORNEANU: În pas cu vremea, Timişoara 2002, Ed. Mitropoliei Banatului.

[64] Recensământul Populaţiei şi al Locuinţelor, Istituto nazionale di statistica,  Bucarest 2003, vol. I, pp.766-795.

[65] La mostra documentava il contesto storico con uno dei volumi della pregevole Historiae Polonicae, cronaca del polacco Jan Dlugosz, dove sono riportate le vicende storiche della Moldavia con le gesta del Principe Stefano il Grande e con il prezioso Registro Vaticano 578, conservato nell’Archivio Segreto Vaticano, contenente la corrispondenza intercorsa fra Papa Sisto IV (1471-1484) e il Principe Stefano il Grande, che attesta le ottime relazioni tra la Santa Sede ed il Principato della Moldavia.

[66] Con la lettera apostolica, in forma di breve, Pacis nuntius (24 ottobre 1964), Paolo VI aveva designato san Benedetto, padre del monachesimo occidentale e latino, patrono per l’Europa. Per la lettera Egregiae virtutis, cfr. ENCHIRIDION VATICANUM, 7, 958-968.

[67] ENCHIRIDION VATICANUM 9, 1554-1614.

[68] Si veda CESARE ALZATI, Lo spazio romeno tra frontiera e integrazione in età medievale e moderna (Piccola biblioteca Gisem, 16), Pisa 2001, Edizioni ETS, come pure L’unità multiforme. Oriente e Occidente nella riflessione di Giovanni Paolo II, a cura di C. Alzati e P. Locati (Ricerche Europa, 7), Milano  1991, La Casa di Matriona.

[69] Voievod era l’appellativo riservato ai principi della Valacchia e della Mol­davia come titolo onorifico. Significa in generale “capo”, “comandante (dell’esercito)”, similmente al termine slavo da cui proviene voivoda, con il quale si designava altresì il governatore di una provincia.

[70] Si veda A. VASILIU, L’architettura dipinta. Gli affreschi moldavi nel XV e XVI secolo, Milano 1998, Jaca book (Corpus bizantino)

[71] A riguardo delle relazioni politiche tra le tre province romene si veda ŞTEFAN ANDREESCU,  Restitutio Daciae. Relaţiile politice dintre Ţara Românească, Moldova şi Transilvania în răstimpul 1601-1659, Bucarest 1989, Albatros.

[72] Si veda ANDRÉ SCRIMA, Timpul rugului aprins. Maestrul spiritual în tradiţia răsăriteană. Prefaţă de Andrei Pleşu. Volumul îngrijit de Anca Manolescu, Humanitas, Bucarest 1996 [versione italiana a cura di Adalberto Mainardi: A. Scrima, Il Padre spirituale, Qiqajon, Bose 1999]. Una buona documentazione si trova in MIHAI RĂDULESCU, Rugul aprins. Duhovnicii ortodoxiei, sub lespezi, în gherlele comuniste, Bucarest 1993. Una testimonianza di un altro partecipante è quella di ROMAN BRrtecipante è quella di ROMAN BLAGA (ora egumeno in un monastero ortodosso in Michigan, USA), Rugul Aprins, «Lumină lină», nr. 2 (mai 1991), pp. 117-128, ripreso nel volume Pe drumul credinţei, Mănăstirea Adormirea Maicii Domnului, HDM Press, 1995, pp. 171-183.  Si veda ancora Antonie Plămădeală, Rugul Aprins — moment de spiritualitate românească, «Sæculum. Revistă de sinteză culturală» (Sibiu 1995), serie nouă, Anul I (III), nr. 3–4 (12); Ieroschimonahul Daniil Sandu Tudor, Taina Rugului Aprins. Scrieri şi documente inedite, Anastasia, Bucarest 1999. In particolare, si veda IOAN I. ICĂ Jr., Il Roveto ardente. Una fioritura dell’ideale esicasta all’alba del comunismo in Romania, in Il monachesimo tra eredità e aperture. Atti del simposio “Testi e temi nella tradizione del monachesimo cristiano” per il 50° anniversario dell’Istituto Monastico di sant’Anselmo,  Roma 28 maggio – 1 giugno 2002, a cura di . BIELAWSKI e D. HOMBERGEN, Roma 2004, ed. Studia Anselmiana, pp. 471-488.

[73] Roman Braga, “Ogni monaco ha un suo segreto con Dio”, Lipa Edizioni, Roma 1999.

[74] Recentemente è stata pubblicata una traduzione più antica di quella di p. Stăniloae: Filocalia. Versiunea în limba română a antologiei în limba greacă, publicata la Veneţia, în 1782, de Sfântul Nicodim Aghioritul & Sfântul Macarie mitropolitul Corintului la care s-au adăugat şi alte texte. Ediţie îngrijită, note, notă asupra ediţiei şi postfaţă de Doina Uricariu. Studiu introductiv de academician Virgil Cândea, 2 voll., Bucarest 2001, ed. Universalia. Chiamata ‘Filocalia de la Prodromul’ per l’iniziativa dei monaci romeni del monastero athonita di raccogliere le antiche versioni romene dei testi filocalici. Il lavoro di trascrizione dei testi, dattilografato e riunito in un unico tomo voluminoso di oltre 1600 pagine, fu concluso nel 1922. L’edizione attuale, in due volumi, ripresenta quel tomo. I testi coprono tutta la Filocalia greca del 1782 con l’aggiunta di alcuni testi: Vita di s. Nifon di Costantinopoli (estratti), Dimitri di Rostov (estratti dal titolo: Dottrina spirituale dell’uomo interiore), Basilio di Poiana Mărului (Introduzione a Filoteo Sinaita, Introduzione a Gregorio Sinaita), Paisij Veličkovskij (Sulla preghiera di Gesù), Giovanni Crisostomo (brani dalle lettere ai monaci), Nil Sorskij (la sua opera e l’introduzione ai suoi scritti di Basilio di Poiana Mărului), Giovanni di Kronštad (alcuni pensieri ).

[75] Cuviosul Ioan cel Străin (din arhiva Rugului Aprins), ediţie alcătuită de prof. Gheorghe Vasilescu, cu o postfaţă  de arhim. Sofian Boghiu, ed. Anastasia, Bucarest 1999 (Comorile pustiei 28).

[76] II monaco romeno, padre Ioanichie Bălan, cercando di radunare e sistemare tutta una serie di dati riguar­danti la tradizione esicasta della sua patria, ha raccolto il frutto del suo pluriennale lavoro nel volume: Vetre de sihastrie româneasca, Bucarest 1982, che si potrebbe rendere con Centri di insediamento di vita esicasta romena. La parola sihastrie, dal ter­mine greco hesychastérion, indica il luogo dove vivono gli esica­sti, in romeno sihastri. Interessanti anche E. MONTANARI, La fatica del cuore.Saggio sull’ascesi esicasta, Milano 2003, Jaca book (di fronte e attraverso, 645); I. IOANSCU, L’esperienza della preghiera di Gesù nella spiritualità romena, Città del Vaticano 2002, Libreria Editrice Vaticana.

[77] Vedi I. BĂLAN, Pateric românesc, Institutul biblic, Bucarest 1980, p. 621.

[78] In romeno vedi Învăţăturile lui Neagoe Basarab către fiul său Theodosie. Texte ales şi stabilit de Florica Moisil şi Dan Zamfirescu, traducerea originalului slavon G. Mihăilă, repere istorico-literare alcătuite în redacţie de Andrei Rusu, Minerva, Bucarest 1984, p. 125. In italiano vedi Come vivere e praticare l’esichia. Libro di insegnamento del principe romeno Neagoe Basarab per suo figlio Teodosio. Traduzione, studio introduttivo e note a cura di Adriana Mitescu, Bulzoni, Roma 1993 (biblioteca di cultura, 480), p. 69. Il passo è tratto dal cap. V, Discorso sul timore e l’amore di Dio, conservato solo nella stesura romena.

[79] A questi anni risale la composizione, edita molto più tardi, di quella che è forse l’opera più ‘esicasta’ di p. Cleopa: Urcuş spre înviere (Predici pentru monahi, Predici filocalice), Editura Mitropoliei Moldovei şi Bucovinei, Iaşi 1992, 1998. Si veda anche I. BĂLAN, Viaţa şi nevoinţele arhimandritului Cleopa Ilie, Iaşi 1999 (in italiano: Il mio padre spirituale. Vita e insegnamenti di Cleopa di Sihăstria. Introduzione di T. Spidlik, Roma 2002, Lipa).

[80] In italiano: DUMITRU STĂNILOAE, Dio è amore: indagine storico-teologica nella prospettiva ortodossa, Roma 1986, Città nuova; Il genio dell’ortodossia, Milano 1986, Jaca book; La preghiera di Gesù e lo Spirito Santo: meditazioni teologiche, Roma 1988, Città nuova; STĂNILOAE -ZIZIOULAS-MADRE EUFRASIA , Punti di vista ortodossi su la Chiesa, lo Spirito Santo, la preghiera, la vita monastica, San Lorenzo 1987 (Sussidi biblici).

[81] MACIEJ BIELAWSKI, Părintele Dumitru Stăniloae, o viziune filocalică despre lume, Deisis, Sibiu 1998. Ricchissimo di informazioni e contenente la bibliografia completa del grande teologo: Persoană şi comuniune. Prinos de cinstire Părintelui Profesor Academician Dumitru Stăniloae la împlinirea vârstei de 90 de ani, a cura di Ioan I. Ică jr., Sibiu 1993.