Università di Urbino, 20 aprile 2002. Conferenza di p. Elia Citterio. Pubblicato in “Parola e tempo”. Percorsi di vita ecclesiale tra memoria e profezia, n. 1/2002, Rimini, ed. Il Ponte, pp. 253-262.
Premetto che per Chiese d’Oriente intendo essenzialmente le Chiese di tradizione bizantina, e in particolare quella greca, russa e romena, sebbene il discorso si estenda anche alla tradizione ortodossa nel suo insieme.
Parto dalla constatazione che la spiritualità delle Chiese d’Oriente, almeno negli ultimi tre secoli, in quello che ha prodotto di più caratteristico e vivace, si ricollega in qualche modo alla Filocalia. Domandiamoci allora subito cosa sia e cosa rappresenti la Filocalia[1].
Letteralmente ‘amore del bello’, il termine esprime la tensione amorosa per Dio e per tutto ciò che conduce all’unione con Lui, fonte di ogni bellezza. In senso più generale designa una antologia di testi, come la Filocalia composta da Basilio Magno e Gregorio di Nazianzo con passi di Origene[2]. La silloge più famosa resta quella edita a Venezia nel 1782 da Macario di Corinto (1731-1805) con la collaborazione di Nicodemo Aghiorita (1749-1809) dal titolo: “Filocalia dei Padri neptici composta a partire dagli scritti dei padri santi e teofori nella quale, attraverso la sapienza di una vita fatta di ascesi e di contemplazione, l’intelletto è purificato, illuminato e portato alla perfezione” [Φιλοκαλία τῶν ἱερῶν νηπτικῶν συνερανισθεῖσα παρὰ τῶν ἁγίων καὶ θεοφόρων πατέρων ἡμῶν ἐν ἧ διὰ τῆς κατὰ τὴν πρᾶξιν καὶ θεωρίαν ἠθικῆς φιλοσοφίας ὁ νοῦς καθαίρεται, φωτίζεται καὶ τελειοῦται]. Riunisce estratti e opere di 36 autori, disposti per lo più in ordine cronologico, tra il IV e il XV secolo, sul tema della preghiera del cuore e della battaglia spirituale, nel solco della tradizione esicasta in cui si riconosce in blocco l’esperienza mistica delle chiese d’oriente. La pubblicazione rientrava nel più vasto programma di rinnovamento intellettuale e spirituale della nazione greca del movimento dei ‘kollyvades’, con il ritorno alla teologia e alla spiritualità dei Padri, nel contesto della rinnovata pratica liturgica della comunione frequente. In effetti con la Filocalia, sempre a Venezia, nel 1783 sono pubblicati l’ Evergetinos, silloge degli insegnamenti dei Padri sulla vita spirituale e l’opuscolo Sulla comunione frequente (Περὶ τῆς συνεχοῦς μεταλήψεως). La vasta risonanza della Filocalia nel mondo ortodosso é dovuta però alla versione slavonica di Paisij Veličkovskij e della sua scuola di Neamţ, dove ben prima del 1782 ferveva il lavoro di traduzione in romeno e slavonico dei testi filocalici. Il suo Dobrotoljubie, conosciuto in occidente tramite i famosi “Racconti di un pellegrino russo” è alla base della rinascita spirituale russa del sec. XIX, specie con gli starci di Optina Pustyn’, gli ispiratori dei filosofi slavofili e di scrittori come Dostoevskij. Il rinnovamento filocalico odierno è maturato prima che altrove in Romania, dove il p. Stăniloae intraprende un’edizione notevolmente ampliata della Filocalia[3] come iniziazione a quella ‘scienza dello spirito’ capace di accompagnare l’uomo nel suo cammino di perfezione in Cristo.
La Filocalia tuttavia, prima che essere un libro, costituisce una tradizione. Si tratta fondamentalmente dell’antica abitudine monastica di basare sui Padri, ritenuti i veri maestri della via dello spirito, la conduzione della propria battaglia interiore, assemblando a proprio ammaestramento testi ascetici e mistici attorno a temi particolari. Il tema specifico della silloge filocalica è la preghiera del cuore e l’unione della mente con Dio, tema ripreso da un filone patristico ben definito. Il filone si sviluppa a partire dai Padri dei deserti d’Egitto e di Palestina, continua nei cosiddetti Padri Sinaiti, vissuti o ricollegantisi idealmente alla spiritualità fiorita sul Sinai, per arrivare infine alla tipica tradizione del Monte Athos con il movimento esicasta dei secoli XIII e XIV. Un termine qualifica in tutta la sua estensione questa tradizione, il termine esicasmo. E una pratica di preghiera la caratterizza, la preghiera di Gesù[4]. L’esicasmo può essere definito come un sistema spirituale di orientamento essenzialmente contemplativo che pone la perfezione dell’uomo nell’unione con Dio raggiunta attraverso la preghiera incessante. Prevede la scelta di un modo di vita appropriato (solitudine, ritiro, quiete = hesychia esteriore) e soprattutto la ricerca di una disposizione abituale dell’anima (= hesychia interiore). Questa si ottiene con la fuga da ogni genere di preoccupazioni dispersive, con l’eliminazione di ogni centro di interesse che non sia Dio; con la sobrietà (la ‘nepsis’), vale a dire esercitando una costante vigilanza sul cuore perché non vi entrino pensieri cattivi, imparando a combatterli e a respingerli fin dal loro primo apparire; con la memoria continua di Dio nel senso che la vigilanza sul cuore non può che risolversi nello stare coscientemente alla presenza di Dio, memoria ottenuta con la preghiera incessante, in specie con la preghiera del cuore, che più tardi verrà chiamata ‘preghiera di Gesù’, assumendo una forma e una struttura specifica.
Contesto storico.
Ma in quale contesto, almeno nei tempi moderni, torna in auge la Filocalia, come libro e come tradizione? Notavamo sopra che la Filocalia greca è la prima ad essere pubblicata. Tuttavia, la riscoperta del mondo della Filocalia va attribuita a quel Paisij Veličkovskij (1722-1794) che la traduce poi in slavonico.
La figura di Paisij Veličkovskij è stata riportata all’attenzione della coscienza ecclesiale in questi ultimi anni con la sua canonizzazione da parte della Chiesa Ortodossa russa e romena, rispettivamente nel 1988 e nel 1992. L’opera di questo grande monaco e starec, che guidava una comunità di circa un migliaio di fratelli, ha costituito senza dubbio un avvenimento di prima grandezza nella storia moderna della Chiesa Ortodossa. Qual è l’importanza di questa figura, celebrata ma ancora poco conosciuta tanto tra i cristiani d’oriente che tra quelli d’occidente?
Sarà utile anzitutto tracciare alcune coordinate storico-biografiche. Siamo nel 1700, l’epoca dell’illuminismo e della rivoluzione francese nell’Europa occidentale, il secolo delle riforme di Pietro il Grande in Russia, con i Balcani sotto il giogo dei Turchi, nel continuo scontro tra le potenze che si contendono la supremazia nell’Europa orientale: l’impero ottomano, l’Austria e la Russia. Nella prima metà del sec. XVIII, nelle regioni della Podolia e della Volinia, prende avvio il movimento chassidico. Non va dimenticato che nella sua Autobiografia Paisij rivela che suo nonno materno era ebreo[5].
Paisij nasce a Poltava, in Ucraina, la Podolia del tempo, nel 1722, in una famiglia di ecclesiastici ortodossi. Frequenta per quattro anni l’Accademia ecclesiastica di Kiev, ma gli studi, troppo letterari e occidentalizzanti, non lo appassionano più di tanto, sebbene più tardi rimpiangerà di non averli approfonditi[6]. Il suo segreto desiderio è quello di farsi monaco. Per evitare di essere ripescato dalla madre, assolutamente contraria, decide di riparare all’estero, nei territori romeni, alla ricerca di una guida spirituale sotto la cui obbedienza realizzare il suo sogno di vita monastica. Su quella stessa strada era già stato preceduto una generazione prima da tanti suoi compatrioti. In effetti, sul finire del sec. XVII si moltiplicano in Russia le misure restrittive nei confronti del monachesimo, nella linea di una politica di controllo dei beni ecclesiastici. La proibizione di fondare nuovi piccoli insediamenti monastici nel 1682, le misure antiecclesiastiche di Pietro il Grande e dei regnanti successivi nonché una politica uniate perseguita dai polacchi in Ucraina favorirono un flusso di emigrazione monastica russo-ucraina verso i territori romeni, dove i principi si distinguevano nello zelo per il sostegno alla chiesa e al monachesimo, non solo romeno, ma anche athonita e dei Luoghi Santi di Palestina.
Paisij arriva nei Principati romeni nel 1743. Ha modo di essere iniziato all’esperienza della vita esicasta allora rifiorente, merito soprattutto di quel Basilio di Poiana Mărului[7], anch’egli emigrato dall’Ucraina, che allora guidava una dozzina di comunità e che più tardi Paisij chiamerà ‘il suo starec’, essendo lui a consacrarlo monaco nel 1750 sull’Athos e ad istruirlo sul combattimento interiore. All’Athos, dove si sposta nel 1746, risiede per diciassette anni. Attorno a lui si forma una piccola comunità di dodici fratelli, i primi otto romeni, ai quali si aggiungono quattro slavi[8], che vedono in lui il maestro e il padre che li istruisce nella via spirituale sulla base delle Scritture e degli scritti dei Padri che con immensi sforzi e grande zelo andava raccogliendo dalle biblioteche dei monasteri athoniti. Ma l’Athos, sotto la giurisdizione amministrativa delle autorità ottomane, attraversava un periodo di decadenza e non garantiva un futuro alla giovane comunità paisiana. Decide così di ritornare nei principati romeni con i suoi ormai 64 monaci e si installa nel 1763 a Dragomirna in Moldavia, con il placet del metropolita Gabriele di Iaşi e del voievod Gregorio Calimachi. In seguito alla conclusione della guerra russo-turca (1768-1774), per la cessione all’Austria di una parte della Moldavia del nord, Dragomirna si trovò nel territorio dei cattolici Asburgo e Paisij, temendo vessazioni da parte del governo giuseppinista austriaco, si sposta nel 1775 coi suoi 350 monaci a Secu. L’urgenza di costruire nuove cellette per i sempre più numerosi fratelli che bussavano alla sua porta spinge Paisij a chiedere sovvenzioni al principe Costantino Moruzi il quale, su suggerimento del metropolita Gabriele, gli ingiunge di trasferirsi a Neamţ, il più grande monastero del paese. E’ l’ultima tappa della vita del grande starec, quella che lascerà i segni più duraturi e di maggior risonanza. Neamţ in quegli anni era diventato il centro del monachesimo ortodosso, scuola della cultura spirituale per tutto l’oriente ortodosso[9]. Paisij muore nel 1794, all’età di 71 anni, amato dalla sua comunità plurinazionale di Secu e Neamţ, composta ormai da un migliaio di fratelli fra romeni, ucraini, russi, serbi, greci e bulgari.
L’ideale di vita monastica, aperta a monaci di ogni nazionalità, era fondato su quattro pilastri: vita cenobitica, studio delle Scritture e dei Padri, pratica della preghiera di Gesù e confessione dei pensieri al proprio padre spirituale (‘starčestvo’). E’ interessante notare come la riscoperta della Scrittura e dei Padri andasse di pari passo con la ripresa della preghiera di Gesù. Averle poste a fondamento della vita cenobitica è l’essenza del grande rinnovamento portato da Paisij. L’ordinamento della vita comunitaria, come si desume dalla sua Regola, si basa sull’obbedienza e su di una stretta povertà; il superiore deve condurre i fratelli a partire dalle Scritture e dai Padri; la pratica di preghiera preferita è la preghiera di Gesù; il superiore deve essere eletto tra i membri della comunità e deve conoscere il greco, lo slavo e il romeno. Ma al di là degli ordinamenti è un certo clima particolare a caratterizzare la vita della comunità paisiana, centrata sul mistero dell’obbedienza: il clima che deriva da un’obbedienza praticata in umiltà e mansuetudine, come sottomissione ai fratelli (Paisij insiste molto di più sull’obbedienza vicendevole che sull’obbedienza al superiore[10]) e da quel ‘lavorio del cuore’ unito alla preghiera incessante che dà un respiro esicasta alla vita del cenobio. Con Paisij – e questa è una vera rivoluzione! – la ‘vita comune’, scuola impareggiabile della vera obbedienza, dalla quale fiorisce l’umiltà, giunge ad essere il vero luogo della pratica esicasta, senza cui si finirebbe per fraintenderla[11]. Ora, la vera forza di Paisij sta nel mettere in mano ai suoi discepoli la chiave per comprendere dall’interno ciò che li esorta a praticare. In questo contesto riceve tutto il suo significato la lettura assidua ed amorosa delle Scritture e dei Padri insieme alle pratiche della confessione quotidiana dei pensieri e la preghiera di Gesù. Lo scrutare, giorno e notte, le Scritture e gli scritti patristici, è la risposta di Paisij alla mancanza di guide sperimentate. Risposta così seria e impegnativa che lo studio dei testi patristici, unito allo sforzo di tradurli in slavo ecclesiastico e in romeno, è diventato poco a poco l’attività principale del nostro starec, il fondamento, il punto di forza della sua opera. Quello che però resta come grandioso nella coscienza dei suoi discepoli non sarà il risultato di questo immenso lavoro di correzione e traduzione dei testi patristici, bensì lo scopo e la vitalità spirituale con cui era vissuto tale compito. E’ risaputa la grande importanza e la diffusione che ha goduto nel mondo slavo il Dobrotoljubie, la versione slavonica della Filocalia edita a Mosca nel 1793, undici anni dopo l’edizione greca di Venezia. Nessuna delle cinque biografie conosciute di Paisij, composte dai suoi discepoli circa una ventina d’anni dopo la sua morte, ne fa menzione. Eppure tutti unanimemente sottolineano la straordinaria fecondità del lavoro di correzione e traduzione dei testi patristici ad opera del nostro starec, lavoro che costituisce il contesto più diretto di quel rinnovamento monastico che ha così colpito i contemporanei[12].
Spiritualità filocalica.
Passiamo ora a considerare più da vicino il contenuto della Filocalia. Ci limitiamo a considerare due punti. Primo, la Filocalia propugna un ritorno all’uomo interiore, in un contesto ascetico ed ecclesiale che ne garantisce il pieno e sano sviluppo. Ritornare all’uomo interiore non significa però semplicemente ritornare in se stessi, ma precisamente ritornare al luogo della presenza di Cristo in noi. E’ il mistero dell’esistenza cristiana che soltanto nella fede possiamo percepire. L’ascesi, lo sforzo di purificare il corpo e lo spirito perché non venga offuscata la luce dello Spirito Santo infusaci nel battesimo, la quale ci guida alla pratica dei comandamenti del vangelo, è tutta tesa ad affinare e sensibilizzare la coscienza di questa presenza di Cristo in noi, in tutta la consistenza della sua realtà divino-umana e trinitaria, esaltata dal sacramento dell’Eucarestia. In effetti, la liturgia eucaristica e la liturgia interiore, espressa dall’offerta di noi stessi al Cristo nell’osservanza dei suoi comandamenti, si richiamano a vicenda fondendosi. Quello che la comunione eucaristica realizza sul piano del mistero, l’ascesi e la preghiera del cuore lo manifesta a livello della nostra percezione spirituale, nell’incessante cammino verso la piena e manifesta comunione con Lui, in attesa della nostra risurrezione finale.
Secondo, lo strumento ideale che la tradizione filocalica propone, in quel contesto ascetico ed ecclesiale, è la preghiera del cuore, la preghiera di Gesù. Nella sua formulazione più comune la preghiera di Gesù richiama l’invocazione del cieco a Gesù: “Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me”, alla quale la tradizione russa ha aggiunto ‘di me, peccatore’. La ripetizione di questa invocazione mira a far concentrare tutte le nostre energie direttamente su Gesù. L’energia spirituale è attenta unicamente alla Presenza del Signore dentro di noi; l’energia mentale è tutta intenta alle semplici parole della preghiera senza divagare in immagini o percezioni di qualsiasi tipo; l’energia affettivo-volitiva resta tesa completamente ad aderire al Signore presente nel nostro cuore.
Il fatto che la preghiera di Gesù sia presentata come un metodo particolare di preghiera ingenera un pericoloso equivoco. L’equivoco di scambiare la preghiera appunto con un metodo di concentrazione. Così facendo, tutta l’essenza di questa preghiera ci resterebbe inaccessibile. Paisij Veličkovskij, seguendo il suo amico e maestro Basilio di Poiana Mărului, dice che la struttura fondamentale della preghiera è data dall’attenzione e dal pentimento. Nessuna tecnica di preghiera garantisce il risultato della preghiera. Perché? Perché la preghiera non sboccia in conseguenza della capacità di usare una tecnica appropriata, ma unicamente in conseguenza della capacità di essere obbedienti ed umili, frutti appunto del pentimento. Parlo dell’obbedienza nel senso di quell’espressione così cara alla tradizione: “Ho visto il mio fratello, ho visto il mio Signore” [13]. Paisij la ripeteva spesso e diceva che su di essa era fondata l’organizzazione interiore di una Comunità, che voglia vivere fino in fondo il mistero di comunione con Dio e con i fratelli. La santità non è una perfezione che si guadagna; la santità è la capacità di vivere in sintonia con Qualcuno. Ora, a partire dalla Parola di Dio come dalla parola dei Padri che commentano quella Parola, la luce che spunta in cuore e che ci mostra poco a poco tutte le cose non proviene che da questo: quella Parola rivela, fa sentire una comunione. La santità rivela appunto la comunione tra due persone. E la vita spirituale potrebbe essere definita semplicemente così: ‘mettere Qualcuno vivente in comunione con qualcuno vivo’, Qualcuno con la ‘Q’ maiuscola con qualcuno con la ‘q’ minuscola. E questo è esattamente il valore dello studio delle Scritture e dei Padri. In questo la tradizione ortodossa ha da insegnarci nel senso che della cosa custodisce più genuinamente il mistero e la profondità, il significato ecclesiale. Ma è possibile accedere al mistero della comunione senza passare attraverso il pentimento? Con l’insistenza sul pentimento, la tradizione orientale custodisce il meglio dell’insegnamento patristico sulla preghiera. Il pentimento porta l’anima a trovarsi dentro il mistero. La concentrazione di cui parlano i testi spirituali a proposito della pratica della preghiera non procede dallo sforzo di introspezione psicologica o di attenzione mentale; deriva dalla intensità del pentimento. La concentrazione, l’attenzione e quindi il senso della presenza del Signore è direttamente proporzionale al pentimento, e non solo al pentimento rispetto ai propri peccati, ma alla coscienza del proprio stato di peccatori. L’intensità della nostra invocazione nella preghiera risulta direttamente proporzionale alla visione interiore di quanto il nostro cuore sia asservito al e dal peccato, alle e dalle ‘passioni’. Più è vera la coscienza del nostro essere peccatori davanti a Dio, più bruciante si fa il pentimento e più vivo l’amore a Dio e al prossimo. In realtà, non sono i nostri sforzi a vincere il male; è la forza del pentimento a bruciare le nostre passioni ed ogni pensiero cattivo. Qui sta tutta l’essenza della preghiera di Gesù. In questo senso va anche compresa l’affermazione patristica più volte ripetuta nella Filocalia che la preghiera, strutturata sull’attenzione e sul pentimento, costituisce l’attività propria di un uomo spirituale.
La questione ‘Filocalia’ oggi.
Il punto centrale sembra quello di riprendere in tutto il suo vigore la visione antropologica dei Padri. Una delle più belle definizioni di uomo nella storia del cristianesimo è quella fornita da Gregorio di Nazianzo: l’uomo è un ‘animale chiamato a diventare Dio’ (ζῶον θεούμενον)[14], riprendendo un’affermazione di Basilio Magno il quale definisce l’uomo una creatura ‘ordinata a diventare Dio’ (θεός κεκελευσμένος). L’uomo è definito non nella sua ‘natura’, ma nella sua ‘persona’. La specificità dell’essere umano risiede nel fatto precipuo che è ‘ordinato a diventare Dio’. Ne deriva che il valore della vita viene definito in rapporto al progresso verso la perfezione, vale a dire verso il Cristo: diventare figli come il Figlio, diventare figli nel Figlio. Di qui l’importanza di saper procedere lungo questa traiettoria precisa in modo, dicono i Padri della Filocalia, ‘scientifico’, vale a dire senza improvvisazioni, approssimazioni, sentimentalismi, tutte cose che promanano dal nostro fondo passionale non purificato. Allora riprendere la ‘scienza dello spirito’ è il primo dei frutti di un sapiente accostarsi alla Filocalia. Scienza, che va intesa come la capacità di tradurre in valori concreti il tesoro della fede, in valori vitali che coinvolgano tutto il nostro essere . Sembra che noi si possa diventare buoni sforzandoci semplicemente di compiere tanti atti buoni. Ma come sarebbe possibile operare il bene se il male non è stato vinto stabilmente nel nostro cuore? Fin tanto che non impariamo a distinguere con lucidità i nostri pensieri segreti e, invocando il Signore, a respingere quelli che non si accordano con i suoi comandamenti, come potrà venire illuminato il nostro cuore da compiere il bene secondo Dio? Come potrà adorarlo in spirito e verità, in pentimento ed umiltà, per ricevere quel perdono che noi stessi siamo invitati a dare al nostro prossimo, testimoniando così il nostro amore? Ma per arrivare a questo punto abbiamo bisogno di indicazioni precise e sicure per procedere nel nostro cammino spirituale. L’apertura alla Filocalia potrebbe riuscirci di grande aiuto per questo instancabile lavorio interiore del cuore, che è il luogo per eccellenza dell’azione dello Spirito, il luogo della nostra trasfigurazione.
Ed è proprio questo che dovremmo imparare dalla tradizione filocalica delle Chiese d’Oriente: il senso della lotta contro le nostre passioni, i nostri pensieri, per imparare a pregare. Combattere i pensieri che ci illudono non significa distruggerli, ma trasfigurarli perché (sembra un paradosso, ma è così!) in ogni nostro pensiero, anche cattivo, in ogni nostro peccato, di qualsiasi tipo, vi sta come racchiuso un anelito che va liberato perché il cuore torni a vivere profondamente e liberamente. E l’anelito è in diretta dipendenza con la presenza del Signore nel cuore. In altre parole, combattere contro le passioni non significa altro che cercare di ridare ai nostri pensieri l’oggetto ed il contenuto loro proprio, il Cristo, per mezzo del quale tutto è stato fatto e ad immagine del quale noi siamo stati creati e nel quale tutto ritorna, riconciliato, a Dio. Il Cristo è il fondamento della nostra purificazione e la trasfigurazione della nostra mente, che è possibile realizzare progressivamente concentrando i nostri pensieri su di Lui, punto a cui tende direttamente la pratica della preghiera.
- Dumitru Stăniloae (1903-1993)[15], il maggior teologo ortodosso romeno recentemente scomparso, ha una bella espressione relativa all’infinità del cuore umano nel suo ‘Corso di ascetica e mistica’. Dice: “I nostri peccati, le nostre passioni, come possono essere definiti? Sono un attaccamento infinito a ciò che è finito”. Anche in questo il cuore umano ha la percezione netta di desiderare l’infinito. Si tratta di ridare il contenuto infinito a questo attaccamento infinito. E questo è esattamente il lavoro dell’ascesi, questo è essenzialmente ciò che avviene nella preghiera. Se la preghiera ci mette in comunione con Dio, comunione di Persone, allora la porta di accesso a tale comunione non può che essere il pentimento, perché il pentimento è ciò che fa cadere ogni barriera di separazione, ci ‘concentra’ nella comunione con Dio, ci rende eminentemente persone, non più alienati nelle cose o nelle illusioni che creano barriere. Così, più ognuno perde la sua individualità alienata, la sua chiusura, più si apre alla comunione, più diventa persona tra persone, più è assunto nella comunione con Dio e con i fratelli. E se questa eredità è custodita nella tradizione filocalica delle Chiese d’Oriente, ciò non significa che i cristiani d’Oriente l’abbiano vissuta o la possano vivere meglio dei cristiani d’Occidente. Ogni dono comporta una responsabilità e la responsabilità non è che condivisione di doni.
p. ELIA CITTERIO
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[1] Cfr. Theodore STYLIANOPOULOS, The Philokalia: A Review Article, THE GREEK ORTHODOX THEOLOGICAL REVIEW 26 (1981) nr. 3, pp. 252-263; Kallistos WARE, Philocalie, DS 12 (1984) 1336-1352; I. CITTERIO, L’orientamento ascetico-spirituale di Nicodemo Aghiorita, Alessandria 1987; George S. BEBIS, Introduction, in NICODEMOS OF THE HOLY MOUNTAIN, A Handbook of Spiritual Counsel, New York-Mahwah 1989, pp. 5-65; E. CITTERIO, La scuola filocalica di Paisij Veličkovskij e la Filocalia di Nicodemo Aghiorita. Un confronto, in T. SPIDLIK, K. WARE, E. LANNE, M. VAN PARYS e AA.VV.,“Amore del bello. Studi sulla Filocalia”, Atti del Simposio internazionale sulla Filocalia, Pontificio Collegio Greco, Roma, novembre 1989, Bose 1991, pp. 179-207; Philip SHERRARD, The Revival of Hesychast Spirituality in Christian Spirituality: Post-Reformation and Modern, a cura di Louis Dupré e Don E. Saliers, New York 1991 (World Spirituality, 18), pp. 417-431; Kallistos WARE, Possiamo parlare di spiritualità della Filocalia? in T. SPIDLIK, K. WARE, E. LANNE, M. VAN PARYS e AA.VV.,“Amore del bello. Studi sulla Filocalia”, pp. 25-52; Antonios-Aimilios N. TACHIAOS, La creazione della Filocalia e il suo influsso spirituale nel mondo greco e slavo in N. KAUTCHTSCHISCHWILI, G. M. PROCHOROV, F. VON LILIENFELD E AA.VV., Nil Sorskij e l’esicasmo, a cura di A. Mainardi, Bose 1995, p. 227-249.; Nikolaj N. LISOVOJ, Due epoche, due Filocalie: Paisij Veličkovskij e Teofane il Recluso in N. KAUCHTSCHISCHWILI, A.-AI. N. TACHIAOS, V. PELIN e AA.VV., Paisij, lo starec, a cura di A. Mainardi, Bose 1997, p. 183-215.
[2] Ed. a cura di J. Armitage Robinson, Cambridge 1893 oppure quella in SC 226 (E. Junod, 1973) e 302 (M. Harl, 1983).
[3] Per farsi un’idea della diffusione di questa silloge, basta considerare le edizioni e le versioni nelle principali lingue. In greco: Venezia 1782, in-folio di XVI+1207 pagine a due colonne; 2° ed. Atene 1893 , in due tomi, con l’aggiunta dei capitoli 15-83, attribuiti al patriarca Callisto; 3° ed. Atene 1957-1963, in 5 tomi; 4° ed. Atene 1974-1976, in 5 tomi.
In slavonico: Dobrotoljubie (a cura di Paisij Veličkovskij), Mosca 1793, in-folio di 721 pagine, in tre parti, comprendente 15 dei 36 autori dell’ed. greca. Tra gli anni 1797 e 1800 fu stampata l’aggiunta di una quarta parte, di p. 466, comprendente altri 9 autori. Le edizioni successive presentano in un unico tomo le quattro parti: 2° ed. 1822, 3° 1832, 4° 1840, 5° 1851, 6° 1857. Nel 1990, a Bucarest, è stata ristampata l’editio princeps del 1793 più la quarta parte, in riproduzione anastatica, in-folio di 1187 pagine, a cura di Dan Zamfirescu.
In russo: Dobrotoljubie ( a cura di Teofane il Recluso ), Mosca 1877-1889, in 5 voll; ristampa Jordanville, New York 1963-1966. Altre due ristampe sono uscite: una a Parigi nel 1988 e una alla Lavra della Trinità di san Sergio a Sergiev Posad nel 1992.
In romeno: Filocalia ( a cura di Dumitru Stăniloae ), Sibiu 1947-1948, voll. 1-4; Bucarest 1976-1981, voll. 5-10; Roman 1990, vol. 11; Bucarest 1991, vol. 12. Sono anche state raccolte e pubblicate, con uno studio introduttivo di Virgil Cândea, le antiche versioni romene dei testi filocalici nei due volumi della Filocalia (a cura di Doina Uricariu), Bucureşti 2001, ed. Universalia.
In inglese: Philokalia ( a cura di G.E.H. Palmer, Philip Sherrard, Kallistos Ware ), London & Boston 1979-1995, voll. 1-4 (vol. 5 in preparazione)
In francese: Philocalie ( a cura di B. Bobrinskoy, tr. di Jacques Touraille ), Bellefontaine 1979-1991, fasc. 1-11. Una ristampa in due tomi a cura di O. Clément è uscita a Parigi nel 1995.
In italiano: Filocalia ( a cura di M. Benedetta Artioli e M. Francesca Lovato ), Torino 1982-1987, in 4 voll.
In greco moderno: Φιλοκαλια ( a cura di Ant. G. Galitis ), Atene 1984-1987, in 4 voll.
Edizioni parziali : l’eccellente scelta di testi a cura di J. Gouillard, Petite philocalie de la prière du coeur, Parigi 1953, ha conosciuto più edizioni in varie lingue, come tedesco, spagnolo, italiano, arabo.
[4] Una messa a punto delle varie questioni inerenti all’argomento, si trova negli studi di A. Rigo. In particolare, si vedano i suoi “La preghiera di Gesù”, PAROLA SPIRITO E VITA 25 (1992) 245-291; I PADRI ESICASTI, L’amore della quiete. L’esicasmo bizantino tra il XIII e XV secolo,a cura di A. Rigo, Qiqajon, Bose 1993.
[5] PAISIJ VELIČKOVSKIJ, Autobiografia di uno starec. Introduzione, traduzione e note a cura della comunità dei Fratelli Contemplativi di Gesù, ed. Scritti monastici, Abbazia di Praglia 1988, p. 60 (ora ristampato presso le ed. Qiqajon, Bose 1998). Cfr. anche JURIJ M. KOBIŠČANOV, Le radici famigliari di Paisij Velyčkovs’kyj in N. KAUCHTSCHISCHWILI, A.-AI. N. TACHIAOS, V. PELIN E AA.VV., Paisij, lo starec. Atti del III Convegno ecumenico internazionale di spiritualità russa “Paisij Veličkovskij e il suo movimento spirituale”, Bose, 20-23 settembre 1995, a cura di A. Mainardi, Qiqajon, Bose 1997, pp. 97-114.
[6] “Prima di tutto, un traduttore di libri deve essere istruito completamente, cioè non deve solo conoscere la grammatica, l’ortografia e le caratteristiche di entrambe le lingue, ma deve anche essere preparato e non superficialmente, negli studi superiori, intendo dire la retorica, la poetica, la filosofia e la stessa teologia. Ma io, sebbene nella mia giovinezza avessi frequentato per quattro anni le scuole di Kiev, avevo appreso in parte solo la grammatica latina, senza accedere agli insegnamenti superiori, per il desiderio di farmi monaco.”, Seconda lettera a Teodosio, tr. it. p. 287. Il testo completo, secondo l’edizione di V. Pelin, “The Correspondence of Abbot Paisie from Neamts, III. Letter to Theodosie, Archimandrite at the Sofroniev Hermitage”, in REVUE DES ETUDES SUD-EST EUROPEENNES 32 (1994), pp. 349-366, ora nel volume Sf. PAISIE DE LA NEAMŢ, Cuvinte şi scrisori duhovniceşti, vol. I, Chişinău 1998, p. 35-64. Nella versione italiana di A. Mainardi, si può leggere in : N. KAUCHTSCHISCHWILI, A.-AI. N. TACHIAOS, V. PELIN E AA.VV., Paisij, lo starec, Qiqajon, Bose 1997, p. 270-304.
[7] Cfr. D. RACCANELLO, La preghiera di Gesù negli scritti di Basilio di Poiana Mărului, Alessandria 1986. [in versione romena: Rugăciunea lui Iisus în scrierile stareţului Vasile de la Poiana Mărului cu traducerea integrală a Scrierilor, a cura di M.-C. Oros e I. I. Ică, Deisis, Sibiu 1996].
[8] Isaac Dascălul è l’unico biografo a dare questa precisazione. Cfr. “Biografia inedită a stareţului Paisie cel Mare”, a cura di D. Zamfirescu, in REVISTA FUNDAŢIEI DRĂGAN 3-4 (1987), pp. 457-556.
[9] Significativa la testimonianza di Nicodemo Aghiorita: «[Nicodemo] venne a sapere della buona fama del cenobiarca Paisij, di origine russa, il quale si trovava nella Bogdania [=Moldavia] e dirigeva più di mille fratelli. Siccome insegnava loro la preghiera del cuore e lui stesso [Nicodemo] amava questa divina pratica, si imbarcò per partire alla ricerca della sua diletta divina preghiera». Si veda: “Vita, azioni e lotte ascetiche sostenute a gloria della nostra Chiesa dal beato monaco Nicodemo, ricolmo di ogni sapere e degno di perenne memoria, descritte dal suo fratello in Cristo, ieromonaco Euthymio” in GRIGORIOS O PALAMAS 4 (1920), p. 641.
[10] Si veda D. Zamfirescu, “Biografia inedită a stareţului Paisie cel Mare”, p. 547. Cfr. Lettera ai padri rimasti a Dragomirna dopo lo spostamento nel monastero di Secu, in Adunare a cuvintelor celor pentru ascultare, Neamţ 1817, pp. 352-353. Cfr.ancora Lettera per i fratelli alla mietitura, in Adunare a cuvintelor, p. 339. Il testo di questa lettera si può trovare anche in I. BĂLAN, Pateric românesc ce cuprinde viaţa şi cuvintele unor cuvioşi părinţi ce s-au nevoit în mînastirile româneşti secolele XIV-XX, Bucarest 1980, p. 256-259. Cfr. anche Sf. PAISIE DE LA NEAMŢ, Cuvinte şi scrisori duhovniceşti, vol. II (Chişinău 1999), pp. 167-172, 162-166; vol. I (Chişinău 1998) , pp. 17-22.
[11] Cfr. E. CITTERIO, La scuola filocalica di Paisij Velichkovskij e la Filocalia di Nicodimo Aghiorita. Un confronto, in T. SPIDLIK, K. WARE, E. LANNE, M. VAN PARYS e AA.VV., Amore del bello. Studi sulla Filocalia, Qiqajon, Bose 1991, pp. 187-8.
[12] Valga per tutti la testimonianza di Grigorie Dascălul : “Mostrerò invece come e quando, con la venuta di questo beato starec e il costituirsi di questa grande comunità, si sia dato avvio, secondo la benevola provvidenza dell’Altissimo, ad un’opera che ora non ha riscontro in tutta l’Ortodossia”. Cfr. Povestire din parte a vieţii prea cuviosului părintelui nostru Paisie [1817] in D. Zamfirescu, Paisianismul, un moment românesc în istoria spiritualităţii europene, Roza vânturilor, Bucureşti 1996, p. 119.
[13] “Bisogna prostrarsi ai piedi dei fratelli che vengono: con questo ci prostriamo a Dio, e non a loro. Quando vedi il tuo fratello, vedi il Signore Dio tuo”, in Vita e detti dei Padri del deserto, a cura di Luciana Mortari, Città nuova, Roma 1975, vol. I, p. 148 (Apollo, 3).
[14] In Sanctum Pascha, hom. 45,7.
[15] Si veda il bel saggio di Maciej BIELAWSKI, Părintele Dumitru Stăniloae, o viziune filocalică despre lume, Deisis, Sibiu 1998. Ricchissimo di informazioni e contenente la bibliografia completa del grande teologo: Persoană şi comuniune., a cura di Ioan I. Ică jr., Sibiu 1993.